Mala – Roma criminale, il primo libro di Francesca Fagnani, in uscita il 30 aprile per i tipi di SEM e in vendita su Amazon ad un prezzo scontato, è un’inchiesta, come il titolo lascia presagire, sulla malavita romana dell’ultimo lustro, a partire dall’omicidio di Francesco Piscitelli, detto Diabolik, avvenuto nel 2019. Un evento che ha strappato il velo di una pace apparente, portando in superficie i conflitti tentacolari e i complessi rapporti tra organizzazioni criminali di estrazione anche molto diversa, che si contendono le piazze più importanti dello spaccio e del commercio illegale della Città Eterna.
Piscitelli, capo ultrà della Lazio e noto narcotrafficante ha rappresentato, fino al suo decesso il trait d’union fra gli interessi del clan camorristico Senese, comandato da Michele ‘o Pazzo, cui lo stesso Diabolik era affiliato, e le bande di narcotrafficanti albanesi che cercano di accaparrarsi il potere, dopo anni passati come “manovalanza al servizio delle altre consorterie; in vent’anni si sono presi mezza Roma, sono tra i narcos più potenti d’Europa, trattano direttamente coi cartelli sudamericani, alla pari con la ’ndrangheta, e hanno codici molto simili ai loro.”
Intervistata il 21 aprile dal settimanale Oggi, Fagnani traccia un sintetico quadro della situazione socio-politica che sta al centro del libro: “A Roma agiscono figure criminali che tengono la città da 40 anni. Come Michele Senese, al vertice di un cartello del narcotraffico in cui sono cresciute figure importantissime. O come Ciccio D’Agati, da decenni referente di Cosa Nostra a Roma. Nel libro cerco di ricostruire l’organigramma di questo cartello, a cominciare dalla guerra di potere tra due gruppi criminali molto forti che si è scatenata dopo la morte di Piscitelli.
Una lotta che Fagnani ha deciso di raccontare con rigore giornalistico, quasi documentario, affidandosi a molte fonti primarie, come intercettazioni ambientali: “Mi pareva il modo più giusto di raccontare i protagonisti: attraverso le loro stesse parole. Non c’era bisogno di mediazione, sono dialoghi incredibili che svelano un mondo di doppi e tripli giochi, di persone che si autodefiniscono “la Cassazione” o “l’Isis” e donne che chiamano le pistole “le mie bambine“.
Fulcro della narrazione, come detto, l’omicidio di Piscitelli, cui Fagnani dedica un capitolo particolarmente importante, dal titolo altisonante, L’appuntamento: “Ho deciso di fare di Piscitelli una sorta di fil rouge del racconto di quel mondo perché sedeva a tutti i tavoli che contano della criminalità romana. Era un buon modo per raccontare le maggiori consorterie che la compongono: la ’ndrangheta, gli albanesi, i Casamonica. [Piscitelli] dava fastidio perché si sentiva più forte e autonomo di quello che era. Si comportava da re mentre il re in carica è Senese. Pretendeva di stabilire pax mafiose e alleanze non avendone i gradi. Anche in quel mondo ti devi saper comportare. È morto da uomo libero, ma su di lui c’era un’indagine che solo quando è morto ha potuto svelare la sua reale caratura“.
Il libro è anche un viaggio nei meandri di una violenza animale inaspettata, mediante la quale le figure criminali cercano di tacitare dissidenti e mettere fuori gioco i concorrenti: “Non ho mai avuto paura, non entrando in contatto con boss come Ciccio D’Agata, almeno: girando nelle periferie, dove è molto facile rischiare di esser menati, ho imparato presto ad avere un approccio neutro, curioso e soprattutto non giudicante“.
Ma la testimonianza lasciata a Teresa Ciabatti, per Sette, è di quelle che non si dimenticano, e restituisce l’idea del clima: “Francesco Vitale detto Ciccio Barbuto, trafficante, ha un grosso debito con l’albanese Elvis Demce. Viene sequestrato e torturato per una notte e un giorno in un appartamento della Magliana. Gli aguzzini si danno il cambio, senonché uno di questi esce per comprare da mangiare. In quei pochi minuti Vitale decide di lanciarsi dalla finestra, gli pare l’unica via di salvezza. A dimostrazione che abbia provato a salvarsi i fili staccati degli stendini e le impronte delle mani sporche di sangue sulla facciata del palazzo“.
Ancora: “Gualtiero Giombini detto il Vecchio muore, il suo fisico non regge a sevizie, ustioni, fiamma ossidrica, bitume bollente, gelo, dal momento che viene lasciato due giorni nudo legato all’addiaccio. Sul referto è scritto: deceduto a causa di polmonite“.
Per Fagnani, quella di questo libro è stata un’esperienza profonda e sfiancante: “Quando ho scritto “fine” non sono riuscita a chiudere il file per una settimana. Non riuscivo a staccarmi. Ci ho lavorato sei mesi, studiando un’intera libreria di atti giudiziari“.