47 Metri Recensione: gli squali fanno ancora paura

47 Metri Recensione: gli squali fanno ancora paura

47 Metri racconta la storia di due donne bloccate sul fondo del mare, tra squali affamati e bombole dell'aria prossime alla fine.

47 Metri Recensione: gli squali fanno ancora paura
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Due donne bloccate in fondo al mare, degli enormi squali bianchi a impedirne la risalita e tanta tensione. Se dovessimo descrivere con poche parole 47 Metri, pellicola di Johannes Roberts in uscita il 25 maggio nei cinema italiani, useremo sicuramente queste. Attenzione però, perché chi si aspetta il classico "Shark Movie" potrebbe rimanere spiazzato, visto che l'animale, reso famoso da Spielberg come una perfetta macchina di morte, non è l'unico elemento a tenere in scacco le due protagoniste. Una scorta di aria limitata e le comunicazioni con la superficie interrotte sono gli elementi scelti per rendere la tensione ancora più palpabile, per un film molto meno scontato di quanto si possa pensare e che riesce bene a rinnovare una cinematografia di genere che negli ultimi anni ha virato pesantemente sul trash (vedi Sharknado), ma che riesce ancora oggi a proporre spunti interessanti.

Una plot narrativo in crescendo (attenzione, contiene spoiler)

Come in molte pellicole Thriller/Horror, 47 Metri non inizia dal primo minuto a stimolare i sensi dello spettatore puntando sulla tensione emotiva, ma preferisce partire da una quiete pressoché totale per poi trasformarla piano piano in terrore. I primi venti minuti circa del film scorrono dunque piuttosto lenti, con le due protagoniste, Lisa (Mandy Moore) e Kate (Claire Holt), intente a godersi una rilassante vacanza in Messico. Kate, appena lasciatasi con il fidanzato, confessa a Lisa, sua sorella, che uno dei motivi per cui questo è avvenuto è la sua poca voglia di avventure, che il simpatico ex non ha mancato di farle notare. Tra crisi di pianto e depressione, Lisa la convince che l'unico modo per far passare il brutto periodo è quello di smentire l'odiato ex, e le due decidono così di sfruttare al meglio la vacanza facendo un po' di sana bisboccia. In una discoteca, le protagoniste conoscono due ragazzi del posto, che le convincono a partecipare ad un'immersione all'interno di una gabbia, per vedere dal vivo i grandi squali bianchi che vivono nelle acque della zona. Il giorno seguente, sotto la guida del capitano Taylor (Matthew Modine), che rimane però a bordo della barca, le due entrano nella gabbia e vengono calate in acqua, ma qualcosa va storto, il cavo che la sostiene si spezza e inizia così un vero e proprio incubo fatto di buio quasi assoluto e profondi respiri.

Un livello costante di tensione

Come si può ben capire, il rischio per un plot narrativo incentrato su un'unica location, per altro buia e praticamente priva di dettagli, è quello di annoiare lo spettatore. Johannes Roberts, anche sceneggiatore insieme Ernest Riera, è riuscito tuttavia a gestire bene gli 87 minuti del film, che regalano momenti in cui la suspense non manca di certo. Grazie ad inquadrature strette sulle protagoniste e sulla piccola gabbia che le tiene al sicuro, alternate con altre più ampie in cui è il buio a farla da padrone, l'ambiente marino non annoia e anzi, genera una tensione costante nello spettatore. Lisa e Kate sembrano quasi sospese nel tempo nel profondo blu dell'oceano, tempo che purtroppo non hanno a causa della scorta limitata di aria. Da notare anche come lo script, pur prendendosi qualche libertà che chi mastica un po' di subacquea noterà di certo, fa suoi concetti come l'ebrezza da azoto e la malattia da decompressione, per un realismo volutamente cercato ma non riuscito in pieno. A tal proposito, qualche libertà di troppo sulla durata dell'aria nelle bombole in profondità, le fughe delle protagoniste dagli squali non certo realistiche e una piccola incongruenza nel finale, che non vi sveliamo per non rovinarvi la sorpresa, non riescono a rovinare una storia che nella sua semplicità crea disagio nello spettatore. Il respiro affannato delle protagoniste e la loro lotta per la sopravvivenza riescono bene a rappresentare sullo schermo il loro terrore, per una situazione che fin da subito appare critica. Già trovarsi sul fondo del mare, a 47 metri di profondità, senza le necessarie competenze, rappresenta un ostacolo che appare insormontabile, ma se a questo aggiungiamo la presenza degli squali, allora la situazione diventa davvero insostenibile. Interessante, da questo punto di vista, è l'inserimento degli squali stessi nel film.

Dimenticate tutto quello che avete visto ne "Lo Squalo" di Spielberg, perché qui gli animali non sono dipinti come assassini in cerca di carne umana da divorare, ma sembrano quasi creature maestose, enormi masse di muscoli che solcano l'oceano, attirati dall'incuranza dell'uomo per la natura (un tema che viene affrontato, seppur brevemente, in modo diretto nel film) e che sembrano quasi difendere il loro habitat dall'invasione dei sub. Da sottolineare anche la realizzazione degli squali sullo schermo, con una CGI davvero ottima, anche se facilitata dalla scarsa visuale delle profondità marine. Sono molti quindi gli elementi messi in scena per terrorizzare lo spettatore, e va dato merito al regista Johannes Roberts di non aver cercato la strada più semplice per spaventare il pubblico, evitando effetti sonori invasivi, puntando invece su un sound molto più equilibrato e quasi privo di quei picchi di volume che scuotono più le orecchie che le emozioni, e su una fotografia che, nelle sequenze subacquee, riesce bene a mostrare sullo schermo un mondo oscuro e misterioso, in cui l'uomo non è certo al vertice della catena alimentare.

47 Metri 47 Metri, pur non rientrando nei capolavori del thriller, è un film che riesce bene ad intrattenere lo spettatore, creando una tensione che dura dalla discesa agli inferi marini delle protagoniste fino al termine della pellicola. Il colpo di scena finale è meno scontato di quanto si possa pensare, mentre dal punto di vista visivo gli ottimi effetti speciali e una fotografia tarata a puntino per celare più che per mostrare l’ambiente sottomarino, fanno da supporto a uno script che, seppur non privo di mancanze e imprecisioni, regala una sana ora di tensione al pubblico.

6.5

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