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29 agosto 1632, nasce John Locke, il teorico della separazione dei poteri

29 agosto 1632, nasce John Locke, il teorico della separazione dei poteri

John Locke (Wrington, 29 agosto 1632High Laver, 28 ottobre 1704) è stato un filosofo e medico inglese, considerato il padre del liberalismo classico, dell'empirismo moderno e uno dei più influenti anticipatori dell'illuminismo e del criticismo.  

Nacque a Wrington (Somerset), nel 1632; il padre, procuratore e ufficiale giudiziario, combatté durante la prima rivoluzione inglese con l'esercito del Parlamento contro il re Carlo I, che sarà decapitato nel 1649.
Durante la dittatura di Cromwell, John entrò nell'università di Oxford, nel collegio di Christ Church dove, dopo il conseguimento del titolo di baccelliere (1656) e "maestro delle arti" (1658), rimase come insegnante di greco e retorica.
Nel 1666 cominciò a studiare medicina e scienze naturali, entrando in contatto con medici e anatomisti famosi, come Willis e Bathurst, e collaborando con il celebre fisico e chimico Robert Boyle.
Pur non essendo laureato in medicina, esercitò la professione di medico, che gli permise di conoscere Lord Ashley, divenuto in seguito il conte di Shaftesbury di cui divenne medico personale e consigliere, seguendone l'alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario quando Ashley divenne Lord cancelliere.
Nel 1675 Locke si ritirò per motivi di salute in Francia per quattro anni, durante i quali studiò la filosofia di Cartesio, di Gassendi e dei libertini.

Al suo ritorno in Inghilterra riprese a collaborare con Shaftesbury, nel frattempo nominato presidente del consiglio del re Carlo II. Durante la crisi dell'esclusione, che vedeva il Parlamento dividersi fra sostenitori e avversari dell'Exclusion Bill, proposta di legge che escludeva Giacomo, fratello ed erede di Carlo II, dalla successione al trono, Shaftesbury fu tra i maggiori sostenitori della legge: ciò provocò il suo rapido declino, che lo portò a fuggire nei Paesi Bassi nel 1682, dove morì. Locke, temendo la persecuzione contro i whigs, andò anche lui in esilio volontario nei Paesi Bassi, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange e, nel 1688, dopo la vittoria della Gloriosa rivoluzione, tornò in patria al seguito della moglie di Guglielmo III, la principessa Maria, regina sovrana d'Inghilterra e d'Irlanda alla pari del marito dall'11 aprile 1689.

La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime liberale divenne grandissima: ricoprì vari incarichi importanti, tra cui quello di consigliere per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un atteggiamento tollerante rispetto alla schiavitù in America e nel contempo trasse ingenti profitti dalle azioni della Royal African Company, impegnata nella tratta degli schiavi.

Fu in questo periodo che pubblicò le sue opere più importanti, tra le quali, nel 1690, il Saggio sull'intelletto umano.
Passò serenamente gli ultimi anni nel castello di Oates presso il villaggio di High Laver, nell'Essex, dove morì e fu sepolto nel 1704 nella chiesa di Ognissanti. 
Per Locke il potere non è e non può essere concentrato nelle mani di un'unica entità, né tanto meno è irrevocabile, assoluto e indivisibile.
Il potere supremo è il potere legislativo che è supremo, non perché senza limiti, ma perché è quello posto al vertice della piramide dei poteri, il più importante.
È il potere di predisporre ed emanare leggi e appartiene al popolo che lo conferisce per delega ad un organo preposto ad adempierlo, che è costituito dal Parlamento.
Subordinato al potere legislativo, c'è il potere esecutivo che spetta al sovrano e consiste nel far eseguire le leggi.
Successivamente Locke individua altri due poteri ascrivibili ai precedenti:
il potere giudiziario rientrante nel potere legislativo, è preposto a far rispettare la legge, la quale deve essere unica per tutti e deve far sì che tutti siano uguali di fronte ad essa e che ci sia certezza del diritto (principio di legalità). Quindi il potere legislativo esplica due funzioni: quella di emanare leggi e quella di farle rispettare.
Il potere federativo - nel significato derivato dal latino foedus, patto - che rientra nel potere esecutivo e prevede la possibilità di muovere guerra verso altri Stati, di stipulare accordi di pace, di intessere alleanze con tutte quelle comunità extra-pattizie, ovvero che si collocano al di fuori della società civile o politica.
Se così non fosse stato, il popolo aveva il diritto di resistenza contro un governo ingiusto. 

Il potere legislativo, che è il "potere supremo della comunità politica", non può stabilire alcuna legge che sia contraria alla legge di natura; non deve interferire nella libertà individuale dei cittadini e deve quindi essere separato dal potere esecutivo: di fronte alle leggi che egli stesso ha prodotto, il legislatore è uguale a tutti gli altri cittadini.

J. Locke, Secondo trattato sul governo, parr. 135, 136, 138, 143-146, 148

Il potere legislativo è non solo il potere supremo della comunità politica, ma è anche sacro e inalterabile nelle mani nelle quali la comunità lo ha una volta collocato, e nessun editto di nessun'altra persona, quale che sia la forma in cui è concepito o il potere dal quale è sostenuto, ha la forza e l'obbligazione di una legge, se non riceve la sanzione dal potere legislativo, che il pubblico ha scelto e designato. Infatti senza ciò la legge non potrebbe avere ciò che è assolutamente necessario per farne una legge, cioè il consenso della società, perché nessuno può avere il potere di fare leggi sopra la società, se non ha il suo consenso e se non in base all'autorità da essa ricevuta.

In primo luogo il potere legislativo non è né può assolutamente essere in nessuna eventualità un potere arbitrario sulla vita e le fortune del popolo. Infatti esso è soltanto il potere congiunto di ogni membro della società, rassegnato nelle mani delle persone o dell'assemblea che fa da legislatore: perciò non può essere maggiore del potere che quelle persone avevano nello stato di natura, prima che entrassero nella società e consegnassero quel potere nelle mani della comunità: infatti nessuno può trasferire ad un altro piú potere di quello che egli abbia su se stesso, e nessuno ha un potere arbitrario assoluto su se stesso o su chiunque altro, sí da poter distruggere la propria vita o da poter eliminare la vita o la proprietà di un altro. [...] È un potere che non ha altro fine al di fuori della preservazione, e perciò chi lo detiene non può mai avere il diritto di distruggere, rendere in schiavitú o premeditatamente impoverire i sudditi. Le obbligazioni della legge di natura non vengono meno nella società, ma semplicemente in molti casi sono stabilite in maniera piú stretta e ricevono, per opera delle leggi umane, pene note collegate a esse, per rafforzare la loro osservanza. Perciò la legge di natura rimane come una regola eterna per tutti gli uomini, per i legislatori come per gli altri. Le regole che i legislatori elaborano per le azioni degli altri uomini, devono essere, esattamente come le azioni proprie e degli altri, conformi alla legge di natura, cioè alla volontà di Dio, della quale la legge di natura è una dichiarazione. E, poiché la legge fondamentale di natura è la preservazione dell'umanità, nessuna sanzione umana può essere buona o valida, se va contro di essa. In secondo luogo il potere legislativo, ossia l'autorità suprema, non può arrogarsi il potere di governare con decreti arbitrari estemporanei, ma è tenuta ad amministrare la giustizia e a decidere del diritto dei sudditi con leggi stabili e promulgate, e per mezzo di giudici noti e autorizzati. In terzo luogo il supremo potere non può togliere a nessun uomo nessuna parte della sua proprietà senza il suo consenso. [...]

 Il potere legislativo è quello che ha il diritto di dare direttive sul modo in cui la forza della comunità politica deve essere impiegata per conservare la comunità e i membri di essa. Ma le leggi che devono essere costantemente eseguite e la cui forza deve essere sempre in vigore possono essere fatte in un piccolo tempo: perciò non c'è nessun bisogno che il potere legislativo sia sempre in funzione, non avendo sempre qualcosa da fare. Per le persone che hanno il potere di fare le leggi può essere una tentazione troppo grande, rispetto alla fragilità umana, cosí pronta a impadronirsi del potere, avere nelle mani anche il potere di eseguirle: e, con questo, esonerare se stessi dall'obbedienza alle leggi che fanno, e adattare la legge, sia nel farla che nell'eseguirla, al loro interesse privato, arrivando cosí ad avere un interesse distinto da quello del resto della comunità, contrario al fine della società e del governo. Perciò in una comunità politica bene ordinata, nella quale il bene del tutto è considerato nella misura dovuta, il potere legislativo è posto nelle mani di persone diverse, le quali, radunate in assemblea nei modi dovuti, hanno da sole, o insieme con altri, il potere di fare leggi. Ma, una volta che le hanno fatte, dopo essersi separati, sono essi stessi sottoposti alle leggi che hanno fatto; e questo rappresenta un vincolo supplementare e efficace su di essi, perché si prendano cura di fare leggi in vista del pubblico bene.
Ma poiché le leggi, che sono fatte tutte insieme e in breve tempo, hanno una forza costante e duratura, hanno bisogno di un'esecuzione continua e richiedono che qualcuno si prenda cura che questa esecuzione avvenga, è necessario che ci sia un potere sempre in funzione, che vigili sull'esecuzione delle leggi che sono fatte, e che rimanga in forza. E cosí il potere legislativo e il potere esecutivo vengono spesso a essere separati.
C'è un altro potere in ogni comunità politica che si potrebbe chiamare naturale, perché è quello che risponde al potere che ogni uomo naturalmente ha prima di essere entrato in una società, il potere di guerra e di pace, di stipulare leghe e alleanze, e di fare tutte le transazioni possibili con tutte le persone e le comunità fuori della politica; e questo potere può essere chiamato federativo, se a qualcuno cosí piace.
Sebbene, come ho detto, il potere esecutivo e il potere federativo di ogni comunità siano realmente distinti in se stessi, tuttavia essi possono difficilmente essere separati, e collocati, nello stesso tempo, nelle mani di persone distinte. Infatti entrambi, nel loro esercizio, richiedono la forza della società, ed è quasi praticamente impossibile collocare la forza della comunità politica in mani distinte e non subordinate l'una all'altra, o collocare il potere esecutivo e quello federativo in persone che possono agire separatamente, sicché la forza del pubblico sarebbe collocata sotto comandi diversi; il che potrebbe condurre un giorno o l'altro a causare disordine e rovina.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 622-624)

 

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