Johannes Robert Becher, quando la poesia diventa inno nazionale

Johannes Robert Becher
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Il soldato prega più di tutti gli altri per la pace, perché è lui che deve patire e portare le ferite e le cicatrici più profonde della guerra. (Douglas MacArthur)

Oggi tratterò per la prima volta della poesia innodica. Gli inni nazionali sono delle poesie accompagnate da musiche solenni. Il termine, di origine greca, detto salmo nella civiltà ebraica, denotava inizialmente una preghiera alla divinità con accompagnamento strumentale, come è attestato in Egitto, in Mesopotamia, in India, in Grecia (i famosi Inni Omerici) e a Roma (dove la parola inno è sostituita da carmen).

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Terrazza Leuciana
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Anche la cultura cristiana ha una lunga tradizione innodica, ripresa anche dal Manzoni negli Inni Sacri. Solo con la modernità questa tipologia poetica venne intesa come espressione della collettività, come il nostro Inno di Mameli, o di una categoria sociale, quale l’Inno dei lavoratori.

Johannes Robert Becher, il poeta della pace

Il poeta Johannes Robert Becher (Monaco 1891-Berlino Est 1958), figlio di un magistrato, dopo la fine della Prima guerra mondiale si iscrisse al partito antimilitarista dello Spartakusbund (la Lega di Spartaco, il famoso gladiatore di Capua che si ribellò a Roma), fondato nel 1915 da Karl Liebknechet. Quando comprese la pericolosità del partito hitleriano, scappò in Russia, dove collaborò alla rivista Internationale Literatur.

Tornato in Germania alla fine delle ostilità, fu a capo della liberale Kulturbund, (la Lega culturale per il rinnovamento democratico tedesco), sorta nel 1945 a Berlino Est e fu anche ministro dell’istruzione dal 1954. A livello letterario, invece, aderì all’Espressionismo ed al Dadaismo, manifesti della crisi artistica, culturale e politica che stava vivendo la Germania, scrivendo per le riviste antibelliche Die Aktion e Die neue Kunst.

Fu redattore anche del giornale Sinn und Form, che voleva dare voce agli intellettuali senza incorrere nella censura. La sua produzione letteraria è vastissima e segnalo solo le sillogi De profundis Domine (1913) Verfall und Triumph (Decadenza e trionfo, 1914), Maschinenrhythmen (Ritmi meccanici, 1926), Ein Mensch unserer Zeit (Un uomo del nostro tempo 1929), Ausgewahlte Dichtung aus der Zeit der Verbannung (Poesia scelta del periodo dell’esilio, 1933-45), Der Glücksucher (Il cercatore di felicità), Wiedergeburt (Rinascita), Sonett-Liebe ohne Ruh (Amore senza pace, 1957).

Editò anche il romanzo Abschied (Addio, 1946), il dramma Der Weg nach Füssne (La strada per Füssen, 1953) sulla storia del nazionalsocialismo ed un diario. I suoi temi politici ed economici furono inizialmente trattati con fervore lessicale e solo in un secondo momento il Becher decise di usare un linguaggio colloquiale per avvicinarsi a tutto il popolo. Fu l’autore del primo inno nazionale tedesco.

Il primo inno nazionale tedesco per la ricostruzione sociale della Germania

Il poeta compose questa poesia durante l’esilio russo e solo nel 1949 fu promossa ad inno nazionale dal Presidente Wilhelm Pieck, musicata da Hans Eisler. Fu utilizzato fino alla riunificazione delle due Germanie, quando fu sostituito dall’inno attuale.

Auferstanden aus Ruinen
Auferstanden aus Ruinen
Und der Zukunft zugewandt,
Laß uns dir zum Guten dienen,
Deutschland, einig Vaterland.
5 Alte Not gilt es zu zwingen,
Und wir zwingen sie vereint,
Denn es muß uns doch gelingen,
Daß die Sonne schön wie nie
Über Deutschland scheint.
10 Glück und Frieden sei beschieden
Deutschland, unserm Vaterland.
Alle Welt sehnt sich nach Frieden,
Reicht den Völkern eure Hand.
Wenn wir brüderlich uns einen,
15 Schlagen wir des Volkes Feind!
Laßt das Licht des Friedens scheinen,
Daß nie eine Mutter mehr
Ihren Sohn beweint.
Laßt uns pflügen, laßt uns bauen,
20 Lernt und schafft wie nie zuvor,
Und der eignen Kraft vertrauend,
Steigt ein frei Geschlecht empor.
Deutsche Jugend, bestes Streben
Unsres Volks in dir vereint,
25 Wirst du Deutschlands neues Leben.
Und die Sonne schön wie nie
Über Deutschland scheint.

Risorta dalle rovine
Risorta dalle rovine
e rivolta al futuro,
lasciaci servirti bene
Germania, unica patria.
L’antica miseria è da eliminare
E la elimineremo uniti
E dobbiamo far sì che
il sole splenda bello
come mai sulla Germania.
Gioia e pace sian destinate
alla Germania, nostra patria.
Tutto il mondo anela alla pace,
date ai popoli la vostra mano.
Se ci uniamo fraternamente
batteremo il nemico del popolo!
Fate brillar la luce della pace
e che mai più una madre
pianga il proprio figlio.
Lasciateci arare e costruire,
imparate e create come mai prima
e, fiduciosa nella propria forza,
sale e sorge un popolo libero.
Gioventù tedesca, le migliori aspirazioni
del nostro popolo in te si riuniscono,
della Germania diverrai la nuova vita.
Ed il sole, bello come mai
Splende sulla Germania.

I versi sono un’invocazione alla pace per una nazione punita per colpa del Reich e divisa dalle potenze europee con il muro di Berlino, con differenze socioeconomiche profonde di zona in zona. Le ruinen (rovine) fanno riferimento ai bombardamenti che rasero al suolo molte città della Germania, in cui le vittime furono per la maggior parte civili inermi, (Daß nie eine Mutter mehr/Ihren Sohn beweint e che mai più una madre/pianga il proprio figlio vv. 17-18).

Da poco tempo in Medioriente è scoppiata di nuovo una tremenda guerra e per questo che ho scelto senza retorica queste parole poetiche, per immedesimarci in quella gente ferita: come il popolo tedesco descritto nei versi vv 19-22, anche i civili palestinesi ed israeliani vogliono solo continuare ad arare, costruire ed essere un popolo libero. Sperando di cuore che ciò avvenga al più presto, davvero al più presto…