Il pagamento di assegno bancario non estingue l'obbligazione in caso di mancato incasso - PuntodiDiritto

Il pagamento di assegno bancario non estingue l’obbligazione in caso di mancato incasso

Il pagamento di assegno bancario non estingue l’obbligazione in caso di mancato incasso. In questo caso, diversamente dal pagamento disposto con assegno circolare, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata pro solvendo, salva diversa volontà delle parti.

La dichiarazione che il creditore rilasci al debitore di avvenuta ricezione in pagamento di un assegno bancario non costituisce quietanza liberatoria in senso tecnico, a prescindere dal nomen che il dichiarante le abbia attribuito, trattandosi di una mera dichiarazione di scienza asseverativa del fatto della ricezione dell’assegno, ma non anche dell’effetto giuridico dell’adempimento dell’obbligazione, il quale consegue solo alla riscossione della somma portata dal titolo.

E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 9 maggio 2024, n. 12685, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato la decisione resa dalla Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1761 del 2019.

La vicenda

Con atto di citazione regolarmente notificato, Giovenale Fulgenzio conveniva in giudizio Gaio Simmaco e Mevia Bruto esponendo di essere l’unico erede di sua madre, Giunone, deceduta in Palermo in data febbraio 2012 senza alcun testamento.

Agiva, quindi, per ottenere una pronuncia dichiarativa della nullità del contratto di vendita del maggio 2008 con cui la madre aveva alienato ai convenuti la nuda proprietà dell’appartamento sito in Palermo, via Fantasia n. 1.

Argomentava che il prezzo di € 65.000,00 non sarebbe stato corrisposto dagli acquirenti, facendo venire meno la causa del contratto; in subordine, chiedeva pronunciarsi la risoluzione per inadempimento.

Deduceva, inoltre, che in data luglio 2009 era stata addebitata sul conto corrente intestato alla madre una somma di € 18.886,00 con assegno circolare, utilizzata dalla Giunone per aprire un libretto di risparmio postale cointestato a Mevia Bruto, nonché che in data luglio 2009 sul libretto era stata addebitata la somma di € 15.000,00 per accendere una polizza vita con beneficiaria la Bruto medesima; chiedeva condannarsi quest’ultima alla restituzione delle somme indebitamente percepite.

Si costituivano i convenuti contestando la ricostruzione dei fatti e chiedendo il rigetto delle domande.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza in data novembre 2016, rigettava le domande proposte, condannando l’attore al pagamento delle spese di lite.

Avverso la pronuncia del Tribunale interponeva appello Giovenale Fulgenzio e la Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1761 del 2019, ha riformato la sentenza impugnata, dichiarando la risoluzione del contratto di compravendita e condannando Mevia Bruto a restituire a Giovenale Fulgenzio la somma di € 19.089,42. Le spese processuali del doppio grado di giudizio sono state poste a carico degli appellati.

Avverso la sentenza d’appello Gaio Simmaco e Mevia Bruto hanno proposto ricorso per la cassazione, affidato a tre motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1206 cod. civ. in relazione all’accoglimento della domanda di risoluzione per grave inadempimento degli acquirenti, formulata con il secondo motivo di appello.

Secondo i ricorrenti, il giudice del gravame avrebbe errato nel ritenere che le dichiarazioni contenute nell’atto di compravendita circa le modalità di pagamento del prezzo – tramite assegno bancario poi non riscosso – fossero inidonee a provare l’avvenuto pagamento del prezzo e, quindi, l’estinzione dell’obbligazione gravante sui compratori.

Hanno sostenuto, inoltre, che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che, non essendo stato negoziato il titolo del 19 maggio 2008, vi sia stato da parte degli acquirenti Simmaco e Bruto un inadempimento di non scarsa importanza, tale da comportare la risoluzione del contratto.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1920 cod. civ. in relazione all’accoglimento del quarto motivo di gravame, avente a oggetto la condanna della Bruto a restituire a G. Fulgenzio la somma di € 19.089,42 di pertinenza della madre.

Secondo i ricorrenti, il giudice del gravame avrebbe errato nel condannare la Bruto alla restituzione della predetta somma, di cui l’importo di € 15.000,00 circa era stato percepito in virtù di una polizza assicurativa stipulata in suo favore, così come avrebbe errato nel qualificare tale polizza come donazione indiretta, in applicazione del principio indicato dalla Suprema Corte con la decisione n. 7683 del 2015, travisando il principio enunciato.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 12685 del 2024, ha ritenuto i motivi non fondati e ha rigettato il ricorso con conseguente conferma della decisione impugnata.

La motivazione

Ha osservato il Collegio che le doglianze dedotte nel primo motivo di ricorso non hanno colto la ratio della decisione.

La Corte di appello, nel richiamare la giurisprudenza della Cassazione, ha evidenziato come il pagamento di assegno bancario non estingue l’obbligazione in caso di mancato incasso.

In questo caso, diversamente dal pagamento disposto con assegno circolare, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata pro solvendo, salva diversa volontà delle parti (Corte di cassazione, Sez. 1, 30 luglio 2009, n. 17749; Corte di cassazione, Sez. 2, 5 giugno 2018, n. 14372), nella specie né dedotta né provata.

Nella decisione impugnata la Corte d’appello ha evidenziato che la documentazione bancaria in atti consente di ritenere acquisita la prova del mancato pagamento e che il mancato versamento appare confermato dal contegno degli acquirenti, i quali non hanno mai negato la circostanza, limitandosi ad insistere sulla rilevanza delle dichiarazioni di cui al rogito, sull’esistenza della provvista e sulla circostanza che l’assegno portasse un numero immediatamente precedente a quello consegnato al notaio per le spese.

In proposito, va ricordato che la dichiarazione che il creditore rilasci al debitore di avvenuta ricezione in pagamento di un assegno bancario non costituisce quietanza liberatoria in senso tecnico, a prescindere dal nomen che il dichiarante le abbia attribuito, trattandosi di una mera dichiarazione di scienza asseverativa del fatto della ricezione dell’assegno, ma non anche dell’effetto giuridico dell’adempimento dell’obbligazione, il quale consegue solo alla riscossione della somma portata dal titolo (Corte di cassazione, Sez. 3, 22 gennaio 2019, n. 1572).

Il Collegio ha precisato che – al di là del caso in esame, in cui la Corte d’appello ha affermato, con statuizione costituente ratio decidendi, che la documentazione bancaria in atti consente di ritenere acquisita la prova del mancato pagamento – poiché l’assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento (Corte di cassazione, Sez. 2, 9 agosto 2011, n. 17127).

Quanto al secondo motivo, come chiarito dalla Suprema Corte, «la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 cod. civ.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (art. 1298, secondo comma, cod. civ.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa» (Corte di cassazione, Sez. 1, 5 dicembre 2008, n. 28839; Corte di cassazione, Sez. 3, 24 febbraio 2010, n. 4496; Corte di cassazione, Sez. 4, 23 settembre 2015, n. 18777).

La Corte di appello si è attenuta a questi principi, spettando alla valutazione di merito, incensurabile in questa sede, la valutazione della prova documentale posta a fondamento dell’insussistenza nella fattispecie di una donazione indiretta.

Avv. Amilcare Mancusi

Ciao, sono un avvocato civilista, ideatore e curatore del sito Punto di Diritto. Sono custode e delegato alle vendite presso il Tribunale di Nocera Inferiore. Mi occupo di consulenza e assistenza legale in materia di esecuzioni immobiliari, problematiche condominiali (sono amministratore di diversi condomini), risarcimento danni, famiglia, successioni e volontaria giurisdizione, consulenza alle aziende. Nel tempo libero sono un runner amatore e leggo con piacere noir e gialli italiani o romanzi di grandi autori moderni.

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