Napoli, Napoleone. La morte di Dio, 07/05/2024

L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'elaborazione del lutto

di Isabella Ferrara

Davide Sacco elabora, a partire da Hugo, il racconto del funerale di Napoleone, in scena al Bellini di Napoli con Lino Guanciale e Simona Boo.

NAPOLI, 7 maggio 2024 - Portare sul palco una morte e il successivo funerale non è impresa da poco. Scriverne come evento è più usuale. Evento fu in effetti il funerale di Napoleone a Parigi il 15 dicembre 1840, vent'anni dopo la sua morte, raccontato da Victor Hugo, quando ancora nella storia il ricordo delle vittorie, come delle sconfitte, era vivo. Inscenarlo, dirigerlo e recitarlo oggi, quando Napoleone è solo nei libri e nei film, e quando la morte che ci passa accanto ci lascia soli in un dolore nascosto, perché chi soffre spaventa, è un rischio poetico e romantico.

Il regista Davide Sacco in scena ci va rischiando, muovendosi nel testo con parole che prendono solo spunto da quelle che furono di Hugo, e pensieri ed emozioni che naturalmente scaturiscono quando si ha il coraggio di guardarsi dentro e intorno. Attraverso la capacità attoriale e scenica di Lino Guanciale, interprete di un figlio orfano, trasmette un flusso emotivo che unisce la dimensione pubblica di un lutto, a quella intima. Una dimensione umana ritagliata all’interno di una storica; quella storia fatta da eroi, da imperatori, grandi condottieri, e semplici individui che silenziosamente hanno vissuto amando, amati, odiati, a volta compianti. Il passaggio dimensionale, di tempo, di spazio e di emotività, è continuo. Da un registro rumoroso, chiassoso e troppo affollato, ad un altro intimo, solitario, silenzioso se non fosse per il canto di un cuore che piange, per il fluire di pensieri e parole che invadono la mente, gli occhi, i gesti di un figlio che deve seppellire suo padre. Sia il fragore della folla, che il dolore di un cuore vengono resi tangibili, colpiscono l’orecchio dello spettatore influenzandolo a proprio piacimento, dal canto a tratti quasi angelico di Simona Boo, che sul palco dà voce, a volte sommessa e a volte urlata, alle emozioni della folla e a quelle di un uomo ormai orfano.

La commozione di alcuni momenti è vivida, le parole giuste al momento giusto entrano, senza forzare, negli angoli più reconditi in cui nascondiamo paure e dolori, laddove i vuoti rimbombano e gli sgomenti riecheggiano come percosse. Che fastidio certo rumore disturbante, che invasione sfacciata nel dolore di una perdita. È il mondo esterno che continua a girarci intorno mentre vorremmo solo essere lasciati soli nel silenzio della sofferenza, per un ultimo abbraccio con chi abbiamo perduto. È la richiesta irrispettosa della nostra faccia da pubblico, come quando neanche il cappello alcuni si tolsero per salutare il feretro di un Napoleone imperatore morto. La polvere e la terra, il legno e le luci, il buio e la penombra, il trascinarsi di figure senza una identità spiegata stanno lì a cornice della morte di un imperatore, di un dio, di un uomo qualsiasi, di un padre come tanti e come nessun altro. Le contraddizioni dell’amore, degli errori, dei malintesi, dei distacchi, e delle assenze sono tutte presenti solo per dissolversi di fronte ai ricordi di un figlio, alle gioie e alle delusioni. Di fronte alle debolezze di chi ha amato, o non ha saputo farlo, di chi c’è sempre stato o di chi ha lasciato vuoti incolmabili. Di uomini che tornano ad esserlo perdendo qualsiasi identità apparente.

Lo spettacolo finisce e sembra durato solo pochi minuti, forse perché lascia la sensazione che ci sia ancora qualcosa da sviluppare, che ci sia necessità di tornare ancora nella dimensione intima abbandonando un Napoleone lontano, non più imperatore, e recuperare la vividezza emotiva. Forse perché, invece, non resta altro da dire quando il tonfo della realtà ci sposta dal rumore e dal silenzio per costruire una dimensione nuova e consapevole, personale e unica.


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