Dario, 25 anni, studente di architettura, è aggrappato al suo equilibrio da adolescente non cresciuto: vive ancora a casa con i suoi e ha lo stesso gruppo di amici dal liceo. Poi i suoi genitori partono per le vacanze, ma lui decide di rimanere a Roma durante le vacanze estive per poter stare con gli amici di sempre. Primo tra tutti Sandro, l’eterno amico dai tempi delle medie, che sa tutti di lui e conosce – e giudica, con affetto ma anche quando serve severità: è un po’ la sua coscienza critica – le sue debolezze. In realtà tutti gli amici per l’estate hanno organizzato qualcosa con le rispettive fidanzate e lui rimane da solo.

Nel torrido agosto romano, un infortunato fantozziano gli permette di conoscere al pronto soccorso Caterina, e inizia una relazione, poi andata in crisi per la sua paura di un rapporto stabile; poi è la volta di Lara, la ragazza “irraggiungibile” che ha sempre amato, e quando inizia una nuova relazione con lei tornerà nella sua vita anche Caterina. Chi scegliere tra le due? Soprattutto, Dario dovrà scegliere se restare nella sua comfort zone o lasciarsi finalmente andare liberandosi dalle sue paure. Facile a dirsi, ma per lui è come buttarsi da un trampolino di 30 metri.

Troppo azzurro è l’esordio alla regia di Filippo Barbagallo, figlio del produttore Angelo che creò la Sacher Film con Nanni Moretti prima di mettersi in proprio. A scanso di equivoci, il figlio ha scelto altri produttori e interlocutori per fare cinema ma sono evidenti certi riferimenti non solo del cinema amato e realizzato dal padre ma proprio anche proprio dei primi film “autarchici” dell’“amico di famiglia”: in particolare, il Michele Apicella di Ecce Bombo e degli altri primi film sembra far capolino (essendo poi anche lui autore, regista e interprete), ovviamente in versione contemporanea e senza peraltro alcun interesse per la politica ma solo per la sfera dei sentimenti, tra amore, timidezza e incontri fortunati. Un altro modello – anche se il giovane autore ha escluso di essere partito da essi, ma semmai di averli introiettati – è quello dei primi film di Massimo Troisi; mentre certe scene al museo ricordano alcuni film di Woody Allen.

Barbagallo jr ha un buon gusto visivo – nasce fotografo –  e una certa capacità di dirigere gli interpreti, tutti molto affiatati come i giovani Alice Benvenuti, Martina Gatti e Brando Pacitto; come opera prima Troppo azzurro ha buon ritmo, ha una durata ideale (solo 88 minuti) e si fa vedere, a tratti anche divertente grazie a una buona autoironia e discrete gag (come il braccio ingessato al pronto soccorso che innesca l’incontro con Caterina).

Il problema è che difficile da un lato credere che ragazze carine e spigliate come Caterina e Lara riescano a sopportare per più di una serata un eterno bamboccione come lo stralunato Dario; e dall’altro è quasi impossibile empatizzare e immedesimarsi con le sue paure così caricaturali e replicate (la timidezza è scusabile, ma una tale insicurezza, pigrizia, indolenza e paura verso le donne in un’unica persona molto meno), tanto che è forse molto più facile che mandino sui nervi. Ma alla Festa del Cinema di Roma 2023, dove fu presentato in anteprima, il film ebbe un buon successo: il che fa pensare che esistano ancora giovani di oggi così immaturi e bloccati sulle proprie paure e che in fondo, pur raccontati mille volte dal cinema, Barbagallo e altri neo registi facciano ancora bene a rappresentarli; anche se le novità qui sono più formali – in certe soluzioni da video contemproranei – che narrative.

Bel cameo dei genitori Valeria Milillo e Valerio Mastandrea, che insinua la domanda più interessante del film: «Ma tu sei felice?». peccato non averr sviluppato questo dialogo con il padre, che avrebbe dato più spessore a un’operina a tratti introigante e divertente ma troppo esile per diventare un buon film.

Antonio Autieri

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