Brian Auger’s Oblivion Express – Live Oblivion Vol. 1 / Vol. 2 (Soul Bank Music) - COOLMag

Era convinto di essere salito volontariamente a bordo di un treno lanciato a tutta velocità verso l’oblìo commerciale, Brian Auger, quando – ormai orfano della formidabile voce di Julie Driscoll sposata con Keith Tippett, pianista jazz/avant garde – decise di sciogliere i Trinity e di fondare gli Oblivion Express. Invece, dopo qualche anno di rodaggio con il nuovo gruppo, accadde l’imprevisto: la loro accattivante fusion a base di rock, jazz, funk, soul e musica latina, piacque ai disc jockey americani che mettevano i dischi nei club per far ballare la gente e a quelli che compilavano le playlist delle stazioni radio FM di musica “black ” ribaltando le sue prospettive di carriera e, in parte, anche la fisionomia del suo pubblico.

«Un giorno», ricorda Auger, «telefonai ad Alex Ligertwood per fargli gli auguri di Natale e gli chiesi: Che fai lì a Parigi? “. Non molto “, rispose lui. Al che gli dissi: Guarda che i nostri 2 nuovi album, Closer To It! e Straight Ahead, sono entrambi nelle classifiche di Billboard ; e non solo in quelle rock, ma contemporaneamente anche in quelle R&B e jazz. Ti piacerebbe tornare in America e rientrare nella band per venire in tour con me? ».

Ligertwood, scozzese di Glasgow dalla voce roca e grintosa che con Auger aveva inciso Second Wind nel 1972 e che in seguito avrebbe fatto parte a più riprese dei Santana, accettò senza pensarci due volte, unendosi a una band che oltre al leader tastierista comprendeva allora un’altra futura star come Steve Ferrone (poi al servizio di Average White Band, Duran Duran, Eric Clapton, George Harrison, Tom Petty & the Heartbreakers e persino dei Pooh), il chitarrista Jack Mills e il bassista Barry Dean.

Per documentare quel tour scelsero nel 1974 di registrare 3 serate al Whiskey a Go Go, il leggendario club sul Sunset Strip di Los Angeles teatro d’innumerevoli show ed episodi rimasti nella storia del rock. Un giorno si presentò per un saluto Keith Moon degli Who, vestito da giullare di corte. «Poi qualcuno ci disse che una sera tra il pubblico c’era John Lennon, e un’altra volta gli Allman Brothers. Anche Bob Dylan venne a vederci in un paio di occasioni». Usarono lo studio mobile Wally Heider Mobile Sound, montato in un grande camion parcheggiato all’esterno del locale e dotato di una tv a circuito chiuso attraverso la quale i musicisti potevano interloquire con i fonici: ne vennero estratti 2 doppi album – uno pubblicato nello stesso 1974, l’altro nel 1976 dalla RCA Victor – che l’etichetta Soul Bank Music, divisione della tedesca K7 dall’anno scorso impegnata in una meritevole campagna di ristampa del back catalog di Auger, ripubblica oggi vendendoli separatamente sotto forma di 2 Cd o di 2 doppi vinili con una rimasterizzazione davvero eccellente.

Il repertorio è tutto edito, ma non aspettatevi una pedissequa ripetizione delle versioni di studio: come spiega Auger, poter contare su un vocalist come Ligertwood era «come avere un altro strumento nella band, dato che canta liberamente e improvvisa molto, mentre stavolta io mi limitavo a qualche armonia vocale e a qualche coro». Quando si tratta di muoversi in libertà e di improvvisare lo stesso Brian non si è mai fatto pregare: men che meno in questo contesto live e a fianco di 3 musicisti decisamente empatici con il suo modo d’intendere la musica. Dean è lo stantuffo della locomotiva, Mills usa spesso la sua chitarra elettrica in funzione ritmica riservandosi comunque lo spazio per qualche svisata jazz rock mentre Ferrone (sostituto sia negli Oblivion Express sia nella Average White Band di Robbie McIntosh, altro grande batterista morto di overdose proprio nel 1974 e proprio a Los Angeles, a cui queste ristampe sono dedicate) incarna una perfetta sintesi di potenza ed eleganza.

«Quando si trattò di registrare il primo set arrivò in ritardo di 40 minuti!», ha ricordato Brian anni dopo. «La sera prima se n’era uscito di città senza considerare che per tornare a Los Angeles avrebbe trovato un traffico intenso. Vi rimase imbottigliato e quando finalmente arrivò si profuse in mille scuse, mentre il manager del Whisky ci intimava di salire immediatamente sul palco. Che cosa suoniamo, Auge? “, mi chiese Steve. Beginning Again“. Quando partimmo con la sua introduzione di batteria era talmente carico di adrenalina che la iniziò a ritmo più sostenuto rispetto a come la suonavamo di solito. Se ascoltate con attenzione, potete quasi percepire il mio pensiero mentre dico a me stesso “Santo cielo, non so se ce la faccio a suonare così veloce! ».

Inutile dire che Brian ci riesce, e che migliore inizio non potrebbe esserci per questo scoppiettante show all’insegna del crossover, quando quello era un termine e un concetto ancora inusitato e Auger ne era un pioniere assoluto, scatenato fra i tasti del suo Hammond e del suo piano elettrico: un vero virtuoso, un keyboard hero in grado di rivaleggiare, su un campo diverso, con il suo grande amico Keith Emerson allora acclamato eroe del prog rock. In scaletta, i Live Oblivion Vol. 1 e Vol. 2 snocciolano 12 brani, più o meno equamente divisi fra originali e cover. Da un lato le strade sdrucciolevoli, le serpentine e i riff rockeggianti di Don’t Look Away e di Second Wind; il groove irresistibile di Truth che fa battere il piede e schioccare le dita e il funk di Straight Ahead; i ritmi e gli umori afrocubani di Whenever You’re Ready e dell’idilliaca, ottimista Happiness Is Just Around The Bend, il singolo che nel 1973 aprì all’Express un binario d’accesso alle radio degli States.

Dall’altro lato, una bella e accurata selezione di standard jazz e soul: la Freedom Jazz Dance del sassofonista Eddie Harris già nel repertorio di Miles Davis; la protest song Compared To What di Gene McDaniels, incisa anche da Roberta Flack, che lo stesso Harris e il pianista e cantante Les McCann proposero al Montreux Festival nel giugno del 1969; Maiden Voyage di Herbie Hancock, che Auger aveva già affrontato nell’ultimo Lp con i Trinity; e poi la poetica ode ai ghetti afroamericani composta da Marvin Gaye con Inner City Blues e soprattutto il riuscitissimo, ipnotico riarrangiamento di Bumpin’ On Sunset del chitarrista Wes Montgomery, con Auger che dispensa magie fra i timbri caldi del suo Hammond B3 mentre Ligertwood aggiunge un breve inserto cantato che cita l’autore del pezzo.

A dispetto delle scelte, non si tratta mai di musica aspra o militante: gli Oblivion Express privilegiano un approccio smooth senza suonare sdolcinati e bilanciando la fedeltà allo spirito degli originali con il desiderio di fare musica comunicativa e danzabile. Sono una vera rhythm machine soul rock, ma con la sofisticazione, la voglia di jammare e la souplesse di un ensemble jazz sanguigno e non cerebrale, lontano da pretese intellettualistiche.

È con dischi come questo che Brian Auger diventerà il padrino dell’acid jazz e un faro per gruppi anni 80-90 come Brand New Heavies e James Taylor Quartet, restando tuttavia unico e inimitabile. Ancora oggi, a 84 anni, sulla breccia con l’entusiasmo di un ragazzino, finalmente riconosciuto come padre nobile del genere. Anche se, purtroppo, fuori dai radar del mainstream.