Renato Zero: “Sono single e resto single. Un artista depresso? È un cattivo esempio. La mia corazza si apre con la password ‘amore’. E quello del pubblico è una responsabilità” - la Repubblica

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Renato Zero: “Sono single e resto single. Un artista depresso? È un cattivo esempio. La mia corazza si apre con la password ‘amore’. E quello del pubblico è una responsabilità”

Quattordici eventi sold out appena conclusi, altri 22 appuntamenti tra l’estate e l’autunno in tutta Italia. E il nuovo album, ‘Autoritratto’: “Il mio è fedele, perché sono severo con me stesso, non cancello né lacrime né rughe”

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La conversazione inizia e va lontano, dove vuole lui. Perché Renato Zero è ironico, lucido e visionario, armato di passione e disincanto, non è un caso se continua a essere così amato. Per dirla con Franco Battiato è davvero ‘un essere speciale’. Un nuovo disco, Autoritratto, il tour che lo porterà in giro l’estate (14 e 16 giugno a Bari, il 21 e il 22 giugno a Napoli, 19 e 20 luglio in Sardegna a Santa Margherita di Pula, e poi in autunno tantissime altre date, per tornare a Roma al Palazzo dello Sport il 10 novembre). Sarà a Milano, al Forum di Assago il 29 e il 30 settembre, giorno del suo compleanno: festeggerà i 74 anni sul palco.

Fare un ‘Autoritratto’ è la cosa più complicata.

“È difficile farlo fedele all’originale, si esagera con le linee per stendere le rughe o allontanare la presenza di una lacrima. Deve essere di consistenza e di severità verso sé stessi, se no che autoritratto è? Il mio è fedele”.

In Fa che sia l’amore canta: “Forse sarai fragile ma immensamente umano”. Non pensa che tutta questa smania di perfezione abbia messo in difficoltà un sacco di gente?

“Competere con sé stessi è molto più efficace e utile piuttosto che affidarsi ai modelli correnti, perché sono frutto anche di una esasperazione di certe smanie, della volontà di mostrarsi, di affidare la propria credibilità all’aspetto fisico, alle griffe, agli involucri, dettati dal consumismo. Questo mondo è veramente buio e fragile, la globalizzazione ha vinto anche sull’originalità”.

L’amore che riceve dal pubblico da più di 50 anni è anche una responsabilità?

“Lo è. Il pubblico non è un’entità fragile. Il fatto che mi abbia scelto dopo una militanza così lunga, mi rassicura sul fatto che questo affetto me lo sia meritato, e comincia a essere universale. Anche chi non possiede i miei lavori mi strizza l’occhio e condivide il mio percorso. Da una parte è come aver preso un Oscar, dall’altra, sento quasi l’obbligo di dover mantenere questo status”.

È difficile?

“No, non è complicato. Ho un rapporto con la musica e la professione severo, questo non mi permette di fare svisate”.

Per essere davvero liberi ci vuole più coraggio o incoscienza?

“Entrambe le cose. E non bastano neanche quelle, la tenuta è fondamentale. Se uno si ritrova nel diluvio può stare sotto l’acqua per un certo tempo ma deve trovare il modo. La mia esposizione correva rischi, dovevo trovare riparo dal modo aggressivo con cui mi contestavano. È servito a formarmi questa corazza, penetrabile solo con una password: amore”.

Ha detto: “Single sono nato e single resterò, perché sono fidanzato con tutta questa gente”.

“È vero, lo ribadisco. Se avessi dovuto riempire la piazza del letto, mi sarei limitato. Mi sento altruista se posso scoccare le mie frecce verso la felicità di qualcuno. Chiariamoci però, non è che dico: da domani nessuno si sposi o nessuno contragga giuramenti sentimentali. Quando mi imbatto in una coppia o in una famiglia felice, mi ricordo della mia. Era una felicità ben riuscita”.

Suo padre, poliziotto, quando scoprì che si cambiava in ascensore, le disse: “Se ti senti così, devi uscire di casa così”. Ospite da Fabio Fazio ha raccontato che aveva paura di uscire di casa, ma che ha vinto parlando con chi la insultava. Ha notato come ancora oggi sia pericoloso il confronto?

“Certo, ancora si rischia. Ma il rischio oggi chiama all’appello maestri, istituzioni. Il manganello non deve essere usato impropriamente, per sedare un certo tipo di irruenza dobbiamo ricevere esempi, occorre che qualcuno ci indichi una via di uscita: che sia un politico, un amministratore comunale, un docente. Vedo grande superficialità, non c’è tutto questo interesse verso le minoranze e la gente indifesa. Mi pare che i ricchi trovino sempre modo di non correre rischi”.

Che rapporto ha con il potere?

“Credo che il potere equivalga alla solitudine: se non c’è generosità, senza condividerlo non ha senso. Va dato in quantità ragionevole. La cultura è un potere, se la cultura diventa una questione opinabile ecco che gli squilibri appaiono evidenti. Se non avessi presenza non salirei sul palco, un artista depresso è un cattivo esempio e fa danni”.

Le è capitato di esserlo?

“Depresso no, ma un po’ scorato verso certe situazioni in cui mi imbatto, sì. Mi procurano tristezza, imbarazzo, non vorrei che tutti i giorni fosse domenica ma quando assisto alle ingiustizie o vedo che alcuni sono dimenticati, provo un senso di impotenza. Quando andavo in visita al Santa Lucia - adesso lo faccio con meno frequenza - trovavo persone in abbandono totale e lì un artista può elargire un sorriso e una carezza. Ma quando le famiglie, gli amici vengono meno a questa chiamata, la situazione si fa più dura. La cosa a cui tengo di più è sapere il mio pubblico felice: è il compito dell’artista. È stato il compito di Mastroianni, di Totò”.

Sente l’affetto?

“Sì, a partire dalla mia famiglia. Ho visitato tutti gli anfratti della vecchiaia, della solitudine. La mia era una Roma spaccata, il Vaticano e lo Stato, la borgata e i Parioli. Poi c’era un benessere, a volte solo appariscente, travestito, perché dietro si celavano la depressione e l’insoddisfazione… Il denaro e i privilegi non reggono di fronte allo specchio e al guardarsi dentro. Poi c’è da dire che i nobili, in quella Roma del 1950, erano numerosi e a volte molto attivi, si prestavano alla beneficenza, sostenevano della cause. Non era una nobiltà amorfa”.

Cosa la fa più soffrire?

“L’egoismo. Se le persone con potere facessero in modo di creare un benessere a chi sta al piano di sotto, avremmo risolto. Se il popolo stesse bene non ci sarebbero rapine e scippi. Non capisco perché non fanno questa equazione: i miliardi sono inutili in una tasca sola”.

Chi sono i suoi amici?

“La maggior parte sono medici. Professori, esperti di una certa caratura, ai quali vado bussando spesso. Molti di loro hanno risolto anche problemi di persone vicine o lontane, come il professor Rebuzzi. Anche lì, non facciamo scoppiare una guerra ingiusta e dannosa, il medico deve essere pagato quello che vale e non sottopagato: tanti dei nostri medici sono nel Qatar con stipendi favolosi. Non va bene”.

Il rapporto con l’età?

“Gli anni passano. Non mi faccio negare nulla di quello che è l’approvvigionamento emozionale. Sarebbe stato brutto, orripilante, se fossi rimasto sull’amaca a dondolarmi. E invece il fatto di essermi speso nei rapporti umani, con gli amici, i miei fratelli, non mi fa dubitare della bontà del tempo trascorso”.

Ha conosciuto tutti, il legame con gli altri artisti com’è?

“Ho chiamato Angela Luce e l’abbraccerò sul palco di Napoli; non la sentivo da un po’ è stata felice della mia chiamata, ci sono affetto e rispetto. Quelli che mi legano anche a Peppino di Capri, che verrà. Ho avuto tanti amici: Giancarlo Cobelli, Carlo Giuffrè, Sophia Loren e la mamma Romilda, che mi portò al compleanno di Carroll Baker. Ho avuto la fortuna di essere amico di Federico Fellini, vede come la vita può essere generosa. Federico era unico, con quella nota infantile del ragazzo che si stupiva, creava stupore perché era il primo a meravigliarsi”.

Ha detto che la fede “disturba chi non ce l’ha”. Lei crede?

“Sono stato allevato dalle suore del Sacro Cuore, abitavamo a Roma a via Ripetta, all’epoca la direttrice offrì a papà due banchi per me e per la mia sorella minore, eravamo cinque figli. Avevo tre zii sacerdoti, mi hanno trasmesso la curiosità e un senso di rispetto verso Dio e la fede. Io l’ho abbracciata. Poi parliamo della moralità?”.

Parliamone.

“La gente è stata educata con l’idea: ‘Vai all’inferno’… Ma se c’è la buona fede il peccato cambia strada. Il peccato è di chi lo ritiene possibile”.

Canta: "Viva la Rai, quante battaglie nei corridoi, poveri noi se non si mettessero d'accordo alla Rai, paghiamo allora quest'abbonamento per mantenerli in salute e in sentimento perché oramai questo cervello avrà un padrone, lo sai". Che effetto le fa oggi?

(Ride) “È attuale… Decisero di farlo diventare l’inno della Rai, con mia grande soddisfazione. Alla fine dei giochi penso che un organismo come la Rai dovrebbe rappresentare il Paese nella sua consapevolezza. Mi piacerebbe che i giovani vedessero i programmi di Pier Paolo Pasolini, di Mario Soldati che andavano a scavare nel Paese: questo era il servizio pubblico. Improvvisamente sono sbucati i salotti bene arredati e poco convincenti che danno adito a una spaccatura che non fa bene. Bisognerebbe riscoprire un’Italia meno ridondante. Invece il Paese appartiene a quelli che hanno la voce più grossa e battono il pugno sulla scrivania”.

È felice?

"Ci sto provando. Chi ha messo in circolo la felicità era consapevole che non fosse una vittoria alla lotteria. Sono momenti, giorni, anni, strette di mano, addii, ripensamenti. La felicità è un frullatore meraviglioso”.

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