La rivoluzione religiosa in "Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco" - Treccani - Treccani

La rivoluzione religiosa

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Alessandro Cavagna
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Considerata a lungo come una reazione agli abusi ecclesiastici, la Riforma protestante è piuttosto il segno della profonda crisi religiosa che travaglia l’Europa moderna. La rapida diffusione delle idee dei riformatori, favorita dall’uso della stampa e delle lingue volgari nel contesto di una nuova concezione dell’uomo e dei suoi bisogni, porta a una spaccatura dell’unità religiosa che aveva fino ad allora contraddistinto l’Europa. Ne derivano la nascita delle chiese confessionali e un più stretto rapporto tra religione e politica.

Origini e significati della Riforma

A lungo la storiografia tradizionale ha ritenuto che la Riforma protestante e la conseguente rottura dell’unità del mondo cristiano siano nate da una reazione agli abusi ecclesiastici, alla eccessiva mondanizzazione della Chiesa, alla corruzione del clero e agli eccessi della fiscalità pontificia, condannata dai contemporanei come ingiusta e simoniaca. In realtà, pur non negando la validità di ognuno di questi motivi, si ritiene oggi che il problema delle origini della Riforma vada cercato in un più ampio quadro di riferimenti culturali, sociali e politici, e in un contesto più generale di crisi religiosa interna alla Chiesa stessa.

È stato il celebre storico francese Lucien Febvre che per primo ha messo in luce come la Riforma sia espressione innanzitutto dell’esigenza di una nuova religiosità e dell’aspirazione di larghi strati di fedeli al ritorno alla semplicità originaria della vita cristiana. Lo stesso Febvre ha osservato: “all’inizio del Cinquecento, in un momento particolarmente interessante dell’evoluzione della società umana, la Riforma fu il segnale e l’opera di una profonda rivoluzione del sentire religioso [...] Migliaia di cristiani d’Europa non fecero loro le dottrine di quelli che venivano in genere detti ‘i malsenzienti della fede’ soltanto per creare Chiese distinte dalla Chiesa romana. Separarsi dalla Chiesa non era né il fine né la volontà di uomini che pretendevano, al contrario, di essere mossi sinceramente dal solo desiderio di restaurarla sul modello di una Chiesa primitiva. Per questo essi parlano di ‘riforma’, sentendo profondamente l’esigenza di dare alla Chiesa la ‘forma’ che essa ha avuto al tempo degli apostoli”.

Qualche anno più tardi si fanno promotori di queste idee uomini di Chiesa, come Martin Lutero, monaco agostiniano, o Huldrych Zwingli, un sacerdote le cui ansie di rinnovamento trovano una vasta eco in molte regioni d’Europa.

Nell’arco di qualche decennio, in modi diversi e in misura certo assai variabile, una vera e propria rivoluzione della sensibilità religiosa investe il Vecchio Continente, traducendosi nella costituzione di nuove Chiese, ognuna con la sua dogmatica e i suoi rituali, che ne distruggono l’antica unità religiosa e lo dividono in due aree: quella rimasta cattolica e quella protestante che comprende la Scandinavia, gran parte della Germania e della Svizzera, i Paesi Bassi e l’Inghilterra. Non ne rimangono estranei nemmeno Paesi di forte e consolidata tradizione cattolica, come la Francia, l’Italia e la Spagna. La Riforma inoltre nasce nel grande alveo della cultura europea. Un filo sottile ma profondo unisce infatti il protestantesimo al grande movimento culturale rinascimentale. L’umanesimo, con la sua aspirazione a un ritorno alle fonti, con la nascita della filologia moderna applicata alla esegesi biblica, con il suo richiamo alla purezza evangelica e a una religione non mascherata da vane superstizioni, aveva non solo inferto un duro colpo all’autorità della Chiesa quanto soprattutto creato le condizioni perché la cultura europea assimilasse i motivi di protesta della Riforma. Esigenze di rinnovamento religioso avevano trovato tra l’altro già espressione nel movimento della devotio moderna e nelle correnti dell’umanesimo cristiano, il cui esponente più noto è Erasmo da Rotterdam. Autore di un’edizione critica in latino del Nuovo Testamento greco (1516), il pensatore fiammingo ritiene che per tornare allo spirito originario del cristianesimo sia necessario epurare le Sacre Scritture da tutte le incrostazioni e gli errori introdottivi da secoli di ignoranza e superstizioni. In altri scritti – l’Enchiridion militis christiani (1504), l’Elogio della pazzia (1511), l’Institutio principis christiani (1516) e il De libero arbitrio, pubblicato nel 1524 in opposizione alla tesi luterana circa l’impossibilità per l’uomo di operare liberamente, Erasmo indica il valore propositivo di una fede vissuta interiormente senza mediazioni sacerdotali, grazie alla quale ogni fedele può instaurare un rapporto diretto con Dio. Egli sostiene inoltre una mordace polemica nei confronti della corruzione imperante nella corte pontificia e contro tutte le manifestazioni esteriori del culto. La sua opera può considerarsi la formulazione più convincente della dottrina della libertà cristiana e avrà grande influenza tra gli ambienti riformati romani, specie nel gruppo di alti prelati che faceva capo a Reginald Pole, Gaspare Contarini, Giovanni Morone e Gerolamo Seripando.

La Riforma non avrebbe avuto comunque successo se a essa non si fossero intrecciate anche motivazioni politiche. Persino in Italia, dove comunque il movimento protestante assume dimensioni di portata molto minore che altrove, si svolgono avvenimenti significativi al riguardo. A Firenze, dopo la cacciata dei Medici avvenuta nel 1494, la predicazione del frate Girolamo Savonarola solleva un’ondata di protesta popolare contro papa Alessandro VI Borgia e contro la corruzione dei costumi del clero. Altrove l’intreccio tra religione e politica è ancora più evidente. Nei principati territoriali della Germania, nelle città svizzere e ancor più nella Chiesa anglicana risulta determinante, per l’affermazione della Riforma, l’interesse degli Stati moderni a secolarizzare i beni ecclesiastici e a estendere la propria autorità anche alla sfera religiosa ed ecclesiastica. Partito da una sentita e profonda istanza di reazione al deterioramento ecclesiastico e pontificio e da una più generale crisi di identità religiosa che travaglia tutta l’Europa moderna, il protestantesimo finisce con il formulare una nuova intuizione dell’uomo e della sua spiritualità, e una religione più adatta ai nuovi bisogni e alle mutate condizioni della vita sociale del Cinquecento.

Martin Lutero

Sarebbe difficile dire come i fermenti religiosi avrebbero preso la forma di rigide istituzioni ecclesiastiche e precise definizioni dottrinali senza la protesta di Martin Lutero. In una situazione divenuta esplosiva, il suo operato diventa la scintilla in grado di far divampare un incendio colossale. Lutero nasce in Sassonia, in una famiglia discretamente agiata: suo padre, piccolo imprenditore minerario, avrebbe voluto avviarlo agli studi giuridici, ma un drammatico senso del peccato e della pochezza umana spinge il giovane Lutero a prendere i voti nell’ordine agostiniano. Anche la vita del convento, pur condotta con rigorosa severità, non riesce a fargli superare l’angoscia per la quasi inaccessibile salvezza: Lutero è convinto che l’uomo, per sua natura perverso, pecchi senza scrupolo e dimentichi la colpa commessa che può perderlo per l’eternità. Nessuna penitenza è sufficiente per sfuggire alla dannazione, né gli pare affidabile la dottrina delle indulgenze, che fin dai tempi delle crociate è stata professata dalla Chiesa: essa afferma che i santi hanno accumulato più meriti di quanto sia necessario per la loro personale salvezza, e a questo tesoro sono da aggiungersi i meriti infiniti di Gesù Cristo, lasciati a Pietro e ai suoi successori perché li amministrino. Inesauribile è dunque il patrimonio di indulgenze di cui la Chiesa può disporre e, secondo una dottrina controversa, l’autorità del papa si sarebbe estesa anche sulle anime del Purgatorio, le cui pene potrebbero essere ridotte o addirittura annullate da qualche pio vivente che acquisti indulgenze a loro beneficio. Lutero, inviato a Roma nel 1511 per sbrigare alcuni affari per conto del suo ordine, decide di praticare tutti i modi per ottenere indulgenze: visita santuari, venera reliquie, sale ginocchioni la Scala santa. Si narra però che, giunto all’ultimo gradino della Scala, si sia rizzato in piedi domandandosi: “sarà poi vero?” Nella disperazione in cui è immerso, Lutero arriva – come egli stesso dichiara – a odiare Dio. Per distoglierlo dall’ossessione del peccato, il vicario generale degli agostiniani tedeschi, Johann von Staupitz, che anche in seguito lo avrebbe sostenuto, lo indirizza agli studi universitari di teologia, e a Wittenberg – dove da poco l’elettore di Sassonia Federico III il Saggio ha fondato una famosa università – Lutero consegue il dottorato. Nel corso delle sue prime lezioni, la lettura del salmo XXII lo colpisce in modo particolare per le parole del primo versetto, quelle stesse che Cristo ha pronunciato sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Come può Cristo essere stato abbandonato da Dio? È una sensazione che Lutero conosce bene: la sua empietà di figlio di Adamo lo separa da Dio. Ma Cristo non è empio; in realtà egli, che era senza peccato, si è fatto peccatore per amore degli uomini assumendo in sé la loro iniquità fino a condividerne l’infinita distanza da Dio. Perciò gli uomini, pur non potendo non essere pieni di desideri impuri e immersi nel peccato, possono salvarsi, e Dio non è soltanto il terribile giudice che condanna, ma anche il misericordioso che salva. Questi due aspetti della divinità gli si rivelano: “quando scoprii” – confida in seguito Lutero stesso – “la concatenazione fra la giustizia di Dio e l’affermazione ‘il giusto vivrà per fede’ (Romani, I, 17), allora cominciai a capire che giustizia di Dio significa quella giustizia per mezzo della quale Dio, soltanto per sua grazia e misericordia, ci giustifica”.

L’idea della giustificazione per fede, di per sé, non avrebbe portato Lutero fuori dalla Chiesa romana, ma fu piuttosto la pratica delle indulgenze a provocare l’occasione della rottura.

Le 95 tesi di Lutero

Nel 1514 Alberto di Hohenzollern, già vescovo di Magdeburgo e di Halberstadt, briga per ottenere anche la principale arcidiocesi della Germania, quella di Magonza, che lo rende al tempo stesso cancelliere dell’impero ed elettore imperiale. L’abuso del cumulo dei benefici è evidente e la curia romana, per concedergli la dispensa pontificia, chiede il versamento di 10 mila ducati, che vanno a sommarsi ai 14 mila dovuti per la conferma: una somma enorme che il potente prelato ottiene in prestito dai Fugger, i grandi banchieri di Augusta. Perché estingua il debito, il papa Leone X gli concede la pubblicazione nei suoi territori di un’indulgenza per otto anni, che ha per finalità la costruzione della basilica di San Pietro a Roma: a questo scopo sarebbe stata devoluta metà delle offerte, l’altra metà sarebbe stata incamerata dal prelato tedesco. Ma i frati incaricati della raccolta e lo stesso Tetzel, il domenicano a cui è attribuito il compito di dirigere la predicazione, agiscono con tanta grossolanità da suscitare scandalo ben oltre i confini dei Paesi in cui operano. Sono rimasti famosi i versi rimati (tradotti in italiano, dicono: “Non appena il soldo nella cassetta rimbalza, l’anima in cielo balza”) con cui propagano la dottrina delle indulgenze.

Su di essa Lutero aveva già espresso i suoi dubbi in alcuni sermoni; come dottore di teologia ha pieno diritto di argomentare e sostenere le sue idee e per questo pubblica in latino le sue tesi a stampa, e il 31 ottobre 1517 le affigge alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, secondo la consuetudine per cui un teologo rinomato può diffondere liberamente la propria opinione nel mondo accademico. Nei 95 punti delle tesi Lutero protesta contro l’esosità dei questuanti che sfruttano il povero popolo tedesco; mette in discussione il potere del papa sulle anime del purgatorio e condanna la “dannata e peccaminosa dottrina umana” (ossia, non frutto di rivelazione divina) delle indulgenze, sostenendo che il papa e la Chiesa possono annullare solo le penitenze da loro imposte sulla terra.

Lutero afferma infine che non c’è remissione per il peccatore che si curi unicamente di sfuggire alle pene: solo del peccato deve preoccuparsi e avere orrore, e solo dalla parola vivificatrice di Cristo, dalla fede in essa, potrà ottenere salvezza.

La diffusione delle tesi di Lutero

Dopo l’affissione delle 95 tesi, la polemica divampa immediatamente, anche grazie alla nuovissima arte della stampa che viene sfruttata con sorprendente abilità. Opuscoli, libelli, invettive, apologie, il tutto accompagnato da incisioni satiriche comprensibili anche per gli illetterati, dilagano per la Germania e i Paesi vicini. Le 95 tesi, tradotte in tedesco, vengono diffuse a tal punto che anche gli artigiani e i contadini mostrano di esserne a conoscenza o almeno di saperne il significato essenziale: solo alla Scrittura si deve prestare fede, tutto il rimanente – commentari e dottrine di teologi, canoni, decretali e bolle papali – è privo di valore. Si avverte, ancora una volta, una certa rispondenza fra la dottrina di Lutero e le posizioni di Erasmo da Rotterdam che ha già affermato la necessità di rianimare la fede mediante la diffusione delle Sacre Scritture. Nei Colloqui, che Erasmo ha redatto nel 1522 per l’apprendimento del latino nelle scuole, il formalismo religioso viene ripetutamente deriso: pellegrinaggi e offerte votive sono inutili, il cristiano deve dedicarsi piuttosto a opere di carità; il cristianesimo non si pratica astenendosi dal burro e dal formaggio in Quaresima, ma praticando l’amore del prossimo. Se più tardi il grande umanista rifuggirà da quello che gli sembra un atteggiamento sovvertitore, allora si sente invece in sintonia con quella protesta e il suo interessamento favorisce certamente la diffusione delle dottrine luterane.

Le tesi di Lutero raggiungono soprattutto larghi strati della popolazione tedesca e in questo senso il significato della Riforma Protestante può essere visto in relazione alle trasformazioni che la società europea conosce in quegli anni: i cavalieri sono una classe indebolita dal maggior potere acquisito dai principi dell’impero e impoverita dalla nuova forza acquistata dalle borghesie nelle città tedesche; i mercanti e gli artigiani, invece, sono stati rinvigoriti dallo sviluppo economico di quegli anni e dalle nuove realtà urbane; mentre i contadini hanno visto peggiorare le loro condizioni per cause opposte e concomitanti, come la reazione feudale e la penetrazione della proprietà borghese nelle campagne. Ma se non si tiene presente la forza del sentimento religioso, non si arriva a capire perché classi e ceti così differenti e mossi da differenti interessi, che in quegli stessi anni provocano agitazioni e violenti scoppi insurrezionali, possano impegnarsi a fondo nella Riforma: essa anima nuove speranze e sembra aprire nuove vie al loro riscatto o alla loro ascesa sociale, soddisfacendo al tempo stesso il bisogno di una fede elementare e accessibile a tutti. La salvezza si ottiene per fede, grazie al beneficio che Cristo ha offerto agli uomini con la sua espiazione del peccato originale; la verità sta nelle Scritture rivelate da Dio, non nelle dottrine e nei dogmi elaborati da teologi e canonisti.

Il pensiero di Lutero mina alla base l’edificio su cui da secoli la Chiesa è stata costruita e altre scosse sono provocate dall’attacco ai sacramenti, perché Lutero riconosce soltanto quelli istituiti da Cristo, il battesimo e l’eucarestia, mentre considera gli altri sacramenti solo come cerimonie edificanti, spesso contaminate da superstizioni. Anche la messa viene posta in discussione: per il riformatore non vi si compie alcun sacrificio, infatti eucarestia significa ringraziamento e l’uomo che la celebra non può compiere il miracolo di trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù; se nelle due specie vi è presenza reale di Dio, è solo perché Dio è onnipresente.

Così il sacramento dell’eucarestia deve tornare a essere la “cena del Signore”, un rito di comunione con Dio, una comunione tanto più stretta in quanto viene negato il sacramento dell’ordinazione sacerdotale: il ministro di Dio è un cristiano incaricato dalla comunità di svolgere un compito particolare, non un sacerdote, perché tutti i cristiani sono tali. La dottrina del sacerdozio di tutti i credenti distrugge alla base la teocrazia ecclesiastica; Lutero istituisce così un diverso rapporto fra l’uomo e la divinità. Dio è sovrano e, come tante volte l’ingiustizia terrena appare opera di cattivi ministri contro il volere del re, giusto e generoso, così il clero è venuto a intromettersi tra il fedele e il Signore: ma a Lui, onnipotente, è possibile accedere senza intermediari.

Ancora lo storico Febvre ha mostrato il parallelismo fra questo fervore religioso verso Cristo re, che ne esalta la maestà unica e divina, e le tendenze assolutistiche del tempo, volte a eliminare il giogo vessatorio dei grandi feudatari che vorrebbero attribuirsi porzioni dell’autorità monarchica.

La Chiesa condanna le tesi di Lutero

L’ampiezza del seguito che Lutero ottiene immediatamente impedisce che la sua parola venga soffocata, come era accaduto ad altri eretici prima di lui. Roma, per vari calcoli di convenienza, reagisce con cautela e solo il 15 giugno 1520 viene pubblicata la bolla che condanna 41 errori di Lutero. Exsurge Domine sono le parole iniziali: “Sorgi, Signore, e giudica la tua causa è [...] Un cinghiale devasta la tua vigna [...]”. Ma il 10 dicembre copia della bolla viene arsa sul rogo a Wittenberg insieme ai volumi delle decretali (le leggi pontificie): la rottura è ormai dichiarata. Lutero– forte della protezione dei suoi seguaci, ma soprattutto del suo principe, Federico il Saggio – ha sfidato la suprema autorità spirituale e così l’anno dopo sfiderà la più alta autorità temporale della cristianità: il 17 aprile 1521, convocato alla dieta di Worms alla presenza del nuovo imperatore Carlo V, è invitato a riconoscere i libri da lui pubblicati e a dichiarare se vuole confermare tutto ciò che ha scritto. Prende tempo per poter dare una risposta meditata, ma l’indomani dichiara di essere pronto a ritrattare solo quando gli venga mostrato con i testi della Scrittura dove stiano i suoi errori. Secondo il primo testo a stampa che racconta quella drammatica scena, a quel punto Lutero avrebbe affermato: “qui io sto, altro non posso fare”. L’imperatore lo pone al bando dai suoi domini. Dopo Worms, Lutero scompare: per salvarlo, Federico il Saggio lo fa rapire e nascondere nel castello della Wartburg, dove il riformatore mette a profitto l’ozio forzato, intraprendendo la traduzione della Bibbia in tedesco. Nell’autunno del 1522 escono a stampa i Vangeli, mentre Die ganze Heilige Schrifft, l’intera Sacra Scrittura, sarà edita a Wittenberg nel 1534. Non è solo una grande impresa religiosa: con quest’opera, scritta nell’alto tedesco della cancelleria sassone, arricchito da espressioni del linguaggio popolare, Lutero fonda la lingua letteraria della Germania moderna.

Ma adesso la sua polemica, più che contro il papa e il clero romano, si rivolge contro quei seguaci che, a suo parere, rischiano di compromettere la causa della Riforma con il loro estremismo: Andrea Carlostadio, Thomas Muntzer, ma anche i cavalieri, capitanati dal condottiero Franz von Sickingen, che nel 1522-1523 muovono guerra all’arcivescovo di Treviri. Lutero si scaglia ancora più violentemente contro i contadini, insorti per rivendicare il ritorno alle “buone leggi antiche”, ossia la liberazione dai vincoli feudali restaurati e divenuti ancor più gravosi negli ultimi tempi. La libertà del cristiano, proclama Lutero, non è “una cosa tutta carnale”; l’eguaglianza fra gli uomini invocata dai ribelli “tende a trasformare il regno spirituale di Cristo in un Regno terreno”.

Il libello che scrive allora è intitolato Contro le empie e scellerate bande dei contadini, e l’invito è rivolto ai principi feudali che stanno conducendo una spietata repressione che Lutero approva: “ora è il tempo della spada, il tempo della collera [...]”. Del resto, l’azione del riformatore è adesso volta a costruire, non senza irrigidimenti dottrinali e il ricorso a testi estranei anche a quelli scritturali, una disciplina ecclesiastica che, in ossequio all’autorità riconosciuta ai governanti da san Paolo, finirà con l’essere sottoposta ai principi, fino a diventare una Chiesa di Stato.

Zwingli e Calvino

Significato e modalità di diffusione della Riforma appaiono strettamente legati alla struttura politica delle regioni in cui si sviluppa. Nei territori della Confederazione svizzera essa trova come suo centro di irradiazione Zurigo, negli anni a partire dal 1523. A promuovere le idee evangeliche è soprattutto Huldrych Zwingli. Sacerdote, di formazione umanista di tipo erasmiano, Zwingli studia i testi di Lutero ed elabora i contenuti teologici della sua dottrina intorno al rifiuto del celibato ecclesiastico e della venerazione delle immagini e sul principio dell’autorità della Sacra Scrittura. Come per la Riforma in Germania, il successo di Zwingli trova forti basi di appoggio nel sostegno delle istituzioni municipali. A Zurigo la compenetrazione tra politica e religione sarà infatti particolarmente forte. Per decreto municipale vengono abolite dalle chiese immagini e reliquie, e i monasteri soppressi sono trasformati in scuole e ospedali; inoltre, viene istituito un tribunale per il controllo della morale pubblica. Dal 1536 Wilhelm Farel, discepolo dell’umanista francese di tendenza evangelica Jacques Lefèvre d’Etaples, organizza su basi politico-comunitarie la chiesa di Ginevra. A questa data risale anche il primo soggiorno nella città di Giovanni Calvino. Nato a Noyon, in Francia, Calvino studia filosofia e diritto a Parigi, ma lascia la Francia in seguito alle persecuzioni dei riformati perpetrate dal re Francesco I. Nel 1536 pubblica a Basilea la Christianae religionis institutio , tradotta in francese nel 1541, in cui espone i principi della sua visione religiosa e dell’organizzazione su cui deve reggersi la Chiesa. Per Calvino, come per gli altri riformatori, la Sacra Scrittura è la sola fonte della parola divina; egli accentua però rispetto a Lutero la dipendenza dell’uomo da Dio in una più articolata e radicale formulazione della teoria della predestinazione. Attraverso Cristo e lo Spirito Santo – afferma Calvino – Dio elargisce la grazia agli uomini secondo il suo insondabile volere, destinando alcuni alla vita eterna e gli altri alla eterna dannazione. Gli eletti non cessano comunque di essere peccatori, ma essi per la grazia ricevuta da Dio acquisiscono la coscienza del peccato e della necessità della penitenza, nella quale devono impegnarsi per tutta la vita. In questo contesto dottrinale le opere sono considerate come frutto e prova della predestinazione alla salvezza. Il calvinista deve sentirsi impegnato in una continua ricerca dentro di sé dei segni della sua appartenenza alla schiera degli eletti. Ne deriva una accentuata consacrazione di ogni attività umana, in quanto il successo e la prosperità materiale raggiunti con un onesto lavoro vengono considerati come prova della predestinazione. Nella concezione calvinista la vocazione diventa quindi un elemento dinamico, che giustifica anche attività tradizionalmente condannate dalla Chiesa, come ad esempio il prestito a interesse o l’attività bancaria. Questa conciliazione operata da Calvino tra religione e denaro e la straordinaria diffusione che le sue idee avranno presso i ceti imprenditoriali e professionali urbani, sono gli elementi per cui lo storico Max Weber sarà portato a sottolineare il ruolo che il pensiero e la teologia calvinisti hanno avuto nello sviluppo di una moderna mentalità produttiva.

Città, lavoro, professione sono quanto mai esaltati nella concezione etica di Calvino e a Ginevra egli riesce anche a organizzare la sua repubblica di “santi”. Il Concistoro ne è l’istituzione più visibile: formato da dodici anziani e dieci pastori, esso ha il compito di sorvegliare la moralità dei cittadini e la condotta degli ecclesiastici. Tutta la vita sociale viene a essere strettamente controllata. L’intolleranza e l’intransigenza governano le città: sono vietati i giochi d’azzardo, gli spettacoli, il lusso. I peccatori sono esclusi dalla comunione e di fatto emarginati dalla vita pubblica. Ma ciò che fa più scalpore è la caccia all’eretico scatenata da Calvino, che vede tra le sue vittime illustri il medico spagnolo Michele Serveto, condannato al rogo per aver sostenuto la preminenza della dimensione unitaria su quella trinitaria di Dio. Il calvinismo si diffonde rapidamente da Ginevra, che diventa il centro della stampa riformata, in una vasta area che comprende alcune regioni della Francia, l’Ungheria, la Transilvania e i Paesi Bassi.

Le Chiese di Stato: i casi della Danimarca e dell’Inghilterra

In Danimarca il sovrano vede nella Riforma uno strumento per ridurre il potere della nobiltà e del clero. Nel 1535 il re Cristiano III impone la Chiesa luterana di Stato, abolisce gli enti ecclesiastici e ne incamera i beni.

In Inghilterra la nascita della Chiesa anglicana può considerarsi un elemento determinante nella costituzione dello Stato moderno. L’occasione è data dal desiderio del re Enrico VIII di annullare il suo matrimonio con Caterina d’Aragona, zia dell’imperatore Carlo V, dalla quale egli non ha avuto figli maschi. Al rifiuto del pontefice, condizionato da pressioni politiche di vario genere, Enrico VIII con l’Atto di supremazia votato dal Parlamento il 3 novembre 1534 si fa proclamare capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. Viene abolita la giurisdizione papale sia in materia fiscale, sia per quel che riguarda la designazione dei vescovi; sono soppressi conventi e monasteri e i loro beni incamerati, con il consenso di nobili, mercanti e piccoli proprietari che si avvantaggiano della ridistribuzione delle proprietà ecclesiastiche. La riforma voluta da Enrico VIII è di natura essenzialmente politico-costituzionale: egli attua una separazione dalla Chiesa di Roma, un vero e proprio scisma che pone la Chiesa anglicana sotto la diretta autorità della monarchia, senza toccare nessuno dei contenuti teologici. Tutti i dogmi e i sacramenti cattolici sono infatti mantenuti in vigore. L’apertura dell’anglicanesimo alla Riforma protestante avverrà poi con il suo successore Edoardo VI Tudor che tra il 1549 e il 1552 fa approvare una dottrina e una liturgia ufficiali contrassegnati da una sorta di sincretismo tra luteranesimo e calvinismo. Anche la Scozia aderisce al calvinismo grazie alla predicazione del religioso John Knox, mentre l’Irlanda si mantiene tenacemente cattolica.

Riforma protestante e mondo moderno

La stampa ha un ruolo determinante nella diffusione delle idee riformate. Oltre agli scritti di Lutero, la Riforma produce una massa enorme di libri e opuscoli polemici e teologici che vengono stampati e diffusi in Europa in dimensioni mai conosciute fino ad allora. Dalla lontana Sassonia la parola di Lutero arriva in Svizzera, in Danimarca, in Svezia, ma anche in Italia, sede del papato ma non estranea a un autoctono movimento riformatore. Sin dall’inizio degli anni Venti le opere dei grandi riformatori circolano largamente, dapprima nelle edizioni originali, poi ben presto in traduzioni destinate anche a grandi tirature. Venezia è la città italiana che più di ogni altra è al centro della produzione e della circolazione di materiale a stampa eterodosso. Basti dire che il Trattato utilissimo del Beneficio di Christo, messo all’Indice nel 1559, nel giro di sei anni vi viene stampato in circa 40 mila copie; si tratta di uno dei libri fondamentali per la Riforma in Italia, che riprendeva i concetti di giustificazione per fede e predestinazione.

Predicatori e monaci itineranti contribuiscono inoltre a portare le nuove idee fuori delle aule universitarie o degli studi conventuali, sedi tradizionalmente adibite alle controversie teologiche. Su questioni religiose ci si confronta e si dibatte nei circoli dotti dei laici, come accade tra quanti si riuniscono a Napoli intorno al teologo spagnolo Juan de Valdés e a GiuliaGonzaga, contessa di Fondi, figlia di Ludovico. Ma anche tra tessitori, falegnami, calzolai e bottegai di città come Modena, Lucca, Mantova e la stessa Napoli, la discussione sui problemi della fede e delle novità d’Oltralpe, sulla predestinazione e sul libero arbitrio negli anni Trenta del Cinquecento diventano quotidiano argomento di conversazione. La straordinaria velocità impressa alla circolazione delle idee riformate non sarebbe stata possibile senza il perfezionamento raggiunto contemporaneamente dall’arte tipografica.

L’altro aspetto innovativo di quella che può considerarsi una vera e propria rivoluzione culturale è dato dall’uso della lingua volgare. La Bibbia, tradotta in tedesco dallo stesso Lutero, diventa un testo accessibile a tutti, la cui lettura è addirittura prescritta dalla religione protestante che promuove una vera e propria campagna contro l’analfabetismo. Nel giro di qualche decennio la geografia europea dell’alfabetizzazione sarà segnata da una precisa linea di demarcazione: a nord, nelle aree di maggiore diffusione della Riforma, si registrano livelli di alfabetizzazione dei ceti nobiliari e professionali molto più alti che nell’Europa mediterranea, dove la Chiesa cattolica continua a conservare salde radici.

A queste si aggiungono anche altre riflessioni sugli elementi di modernità che la Riforma porta con sè. Si è già detto che nella prima fase di elaborazione delle nuove dottrine il ruolo del clero risulta determinante. In seguito appare altrettanto determinante la rivendicazione da parte dei laici di un loro coinvolgimento diretto nell’affrontare questioni teologiche che implicano scelte etiche e di vita pratica. Inoltre la negazione di ogni forma di mediazione ecclesiastica e della pratica dei sacramenti costituiscono gli altri aspetti di un nuovo modo per l’individuo di rapportarsi a Dio. L’estensione del problema religioso alla vita morale e civile inverte, poi, quella tendenza alla secolarizzazione della cultura sviluppatasi con il pensiero rinascimentale. La fiducia nelle possibilità dell’uomo propria dell’umanesimo sembra esaurirsi nel ritorno alla supremazia del sentire religioso su ogni altro aspetto della vita sociale.

Le discriminazioni per ragioni di fede diventano prassi tristemente nota in tutta l’Europa del tempo. Al progressivo irrigidirsi delle Chiese protestanti nel quadro di profili dottrinari e normativi sempre più bloccati, trova riscontro, nell’area cattolica, il comprimersi della vita religiosa tra conformismo devozionale e autoritarismo ecclesiastico. Un nuovo problema si profila allora nella storia europea: l’inizio dell’emigrazione religionis causa e quello della presenza di minoranze religiose all’interno di contesti poco disponibili alla tolleranza.

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