Principio di chiarezza e di sinteticità degli atti processuali
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Magistratura Indipendente

PENALE  

Principio di chiarezza e di sinteticità degli atti processuali

  Penale 
 giovedì, 13 luglio 2023

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regolamento ministeriale di attuazione dell’art. 121 c.p.c. e dell’art. 46 disp. att. c.p.c.

Angelo SCARPATI, Giudice civile Tribunale Torre Annunziata

 
 

Il principio di chiarezza e di sinteticità degli atti processuali nel regolamento ministeriale di attuazione dell’art. 121 c.p.c. e dell’art. 46 disp. att. c.p.c.

Il D. Lgs. n. 149 del 2022, dando attuazione allo specifico criterio di delega contenuto nell’articolo 1, comma 17, lett. d), della legge n. 206 del 2021, ha introdotto, nel processo civile, il principio di sinteticità e chiarezza degli atti processuali; da un lato, infatti, è stato modificato ( dall’art. 3, comma 9, lettere a) e b) e dall’art. 4, comma 3, lett. b) del D. Lgs. 149 del 2022) l’art. 121 cpc, con la espressa codificazione dei cennati principi di chiarezza e sinteticità, con riferimento sia agli atti del giudice che a quelli delle parti, dall’altro, nel corpo dell’art. 46 disp. att. c.p.c, sono stati introdotti, per gli scritti difensivi ( nonché per i provvedimenti del giudice), criteri e limiti dimensionali, da individuarsi con decreto adottato dal Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Nazionale Forense; criteri, va precisato, soggetti ad aggiornamento con cadenza almeno biennale.

In attuazione, dunque, di quanto disposto dall’art. 46 disp. att. c.p.c, il Ministro della Giustizia ha adottato uno schema di decreto – cui ha fatto seguito il parere del Consiglio Superiore della Magistratura e del Consiglio Nazionale Forense, mentre si è in attesa del parere del Consiglio di Stato – recante “ Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo”.

Prima, tuttavia, di esaminare il contenuto, nei suoi tratti salienti, dello schema del decreto ministeriale attuativo dell’art. 46 disp. att. c.p.c. – il cui originario contenuto, come anticipato, è stato poi in parte modificato in ragione del recepimento dei rilievi del Consiglio Superiore della Magistratura e del Consiglio Nazionale Forense -, non può sottacersi che la indicata modifica degli artt. 121 cpc e 46 disp. att. cpc si era resa necessaria, sostanzialmente, per due ordini di motivi: in primo luogo, lo sviluppo del processo civile telematico, che, come è noto, impone nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali da leggere tramite video, sia per le parti che per il giudice; ancora, l’avvento dell’informatica e delle banche dati, che consentono di redigere atti mediante operazioni di “taglia e incolla” e che, nel quotidiano, portano verso una crescita “ quantitativamente” rilevante degli atti di parte ( fenomeno, peraltro, che si è accentuato a seguito del passaggio dal bollo, commisurato al numero delle righe per pagina, al contributo unificato, che invece da tale numero prescinde, essendo quantificato in misura forfettaria).

Va detto, inoltre, che l’attuazione, da parte del regolamento ministeriale, nell’ambito del processo civile, della disciplina dettata dagli artt. 121 cpc e 46 disp. att. cpc, si pone sulla scia di un percorso già da tempo cristallizzato nel processo amministrativo – sia pure con elementi di rilevante diversità, e di cui appresso si darà contezza -, nel quale la codificazione di regole relative alla redazione sintetica degli atti è stata introdotta dapprima con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 25.5.2015 ( in attuazione di quanto previsto dall’art. 120 comma 6 c.p.a.), e poi dall’art. 7 bis d. l. 31 agosto 2016 n. 168 il quale, introducendo l’art. 13 ter delle disposizioni di attuazione del c.p.a., ha espressamente previsto, al comma 5, che “ Il giudice è tenuto ad esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti ( id est, limiti dimensionali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 Dicembre 2016, sentiti il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio Nazionale forense e l’Avvocato Generale dello Stato, nonché le Associazioni di categoria degli Avvocati amministrativisti, ndr). L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”.

È evidente, allora, come la scelta operata nel processo amministrativo sia stata, inequivocamente, quella di prevedere una specifica sanzione processuale collegata alla inosservanza delle disposizioni afferenti ai limiti e ai criteri per la redazione degli atti di parte, e ciò sia consentendo al giudice amministrativo di non esaminare il contenuto degli atti difensivi eccedenti i limiti individuati nel modello adottato con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sia prevedendo che il mancato esame delle questioni ivi rappresentate non costituisce motivo di impugnazione.

Diversamente, ed in linea con quanto stabilito nell’art. 1, comma 17, lett. e), della legge delega n. 206 del 2021, l’art. 46 disp. att. cpc, espressamente ha invece ribadito che la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico degli atti di parte, nonché dei criteri e dei limiti di redazione degli stessi, non comporta la loro invalidità, fermo restando che siffatta violazione può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese di lite; allo stato, dunque - e ciò costituisce un punto fermo dell’intero impianto della novella del 2021 -, la mancanza di sinteticità degli atti di parte non è specificamente sanzionata, nel processo civile, sotto il profilo della loro validità e/o della loro inammissibilità.

In tal senso si è espressa, invero, anche la S.C. che, con una recentissima pronuncia (Cass., Sez. II, Ord., 16 marzo 2023, n. 7600), ribadendo l’assenza, nel processo civile, di una specifica sanzione per la mancata sinteticità degli atti di parte, ha chiarito che,  “in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali - che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile-, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019)”.

Venendo all’esame, nello specifico, dello schema di decreto ministeriale – recante, come accennato, “ Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo” - deve, in via preliminare, precisarsi che esso ha non solo dato attuazione ai criteri specifici individuati dal legislatore delegante ( e ciò si è detto, ad esempio, in ordine alla esclusione di una sanzione processuale per omessa sinteticità degli atti), ma ha, vieppiù, recepito alcune importanti osservazioni del Consiglio Superiore della Magistratura ( rinvenibili nella delibera del 21 settembre 2022, resa in sede di parere allo schema di decreto legislativo attuativo della legge delega n. 206 del 2021, oltre che nel parere reso il 7 giugno 2023), nonché parte dei contenuti del Protocollo d’intesa sul processo civile in Cassazione del 3 marzo 2023, stipulato tra la Corte Suprema di Cassazione, la Procura Generale della Corte di Cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato e il Consiglio Nazionale Forense.

Assume rilievo, anzitutto, l’art. 2 del regolamento il quale, nell’individuare i criteri di redazione degli atti processuali delle parti private e del Pubblico Ministero ( atto di citazione, ricorso, comparsa di risposta, memoria difensiva e atto di intervento), dopo averne disciplinato, in maniera puntuale, la specifica articolazione ( comprensiva, tra l’altro, dell’intestazione, delle generalità delle parti nonché dell’esposizione distinta, in parti dell’atto separate e rubricate, dei fatti e dei motivi in diritto), ha espressamente previsto, alla lettera c), che detti atti devono contenere l’indicazione di parole chiave che individuano l’oggetto del giudizio, nel numero massimo di dieci, così recependo quanto in tal senso già disposto nel citato Protocollo del 3 marzo 2023, stipulato presso la Corte Suprema di Cassazione; ancora, alla lettera f), accogliendo una specifica indicazione del Consiglio Superiore della Magistratura, il decreto dispone che, al fine di rendere più agevole la lettura a video degli atti processuali, devono essere utilizzati link che richiamino gli allegati, i documenti offerti in comunicazione ( da indicarsi in ordine numerico progressivo e da denominarsi in modo corrispondente alo loro contenuto), oltre che i riferimenti normativi e giurisprudenziali.

Congiuntamente, e dunque in una prospettiva chiaramente sistematica, vanno invece esaminati gli articoli 3 e 6 del regolamento, disciplinando, il primo, i limiti dimensionali degli atti processuali e, il secondo, le tecniche redazionali degli stessi.

In particolare, l’art. 3 dispone che, con riguardo all’atto di citazione, al ricorso, alla comparsa di risposta e alla memoria difensiva, agli atti di intervento, all’atto di chiamata in causa del terzo, alla comparsa conclusionale, nonchè agli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione, il limite dimensionale massimo ( nel cui computo, in ogni caso, non si tiene conto degli spazi) è di 50.000 caratteri ( corrispondenti approssimativamente a 25 pagine nel formato di cui all’art. 6); con riguardo alle memorie, alle repliche e in genere a tutti gli altri atti del giudizio, detto limite è di 25.000 caratteri ( corrispondenti approssimativamente a 13 pagine nel formato di cui all’art. 6); da ultimo, è di 4.000 caratteri ( corrispondenti approssimativamente a 2 pagine nel formato di cui all’art. 6) per le note di trattazione scritta ex art. 127 ter cpc.

Quanto alle tecniche di scrittura degli atti di cui sopra, l’art. 6, come anticipato, ha previsto che essi debbano essere redatti mediante caratteri di tipo corrente, preferibilmente utilizzando caratteri di dimensioni di 12 punti, con interlinea di 1,5 e con margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri; il comma 2, peraltro, precisa che, nel corpo dell’atto, non sono consentite note, salvo che per la sola indicazione degli estremi dei precedenti giurisprudenziali - senza tuttavia trascrizione della massima o del contenuto del provvedimento-, nonché dei riferimenti dottrinari – senza trascrizione dei relativi testi -.

Tale, sostanzialmente, l’originario impianto del regolamento ministeriale, non può sottacersi che il confronto con il Consiglio Superiore della Magistratura e con il Consiglio Nazionale Forense ha portato a significative modifiche dello stesso, soprattutto in ordine al contenuto ( e all’estensione) degli articoli 4 e 5, concernenti la disciplina delle esclusioni e delle deroghe ai cennati limiti dimensionali da rispettare in sede di redazione degli atti di parte.

Se, infatti, il testo originario dell’articolo 4 disponeva ( e tuttora dispone) l’esclusione di detti limiti per gli elementi ( dell’atto processuale) in esso espressamente indicati – tra gli altri, l’intestazione, l’indicazione delle parti, le parole chiave, le conclusioni, l’indicazione dei mezzi di prova e, nelle impugnazioni, gli estremi del provvedimento impugnato -, il nuovo testo, sulla scorta dei rilievi sollevati in tal senso dal Consiglio Nazionale Forense, non solo sottrae all’operatività di detti limiti anche la indicazione degli estremi dei precedenti giurisprudenziali e dei riferimenti dottrinari, ma, soprattutto, esclude in radice l’operatività del regolamento ministeriale per tutte le controversie il cui valore si attesta al di sopra dei 500.000,00 euro, controversie considerate di per sé stesse di particolare complessità.

Resta immutato, di contro ( nonostante i rilievi sollevati, sul punto, dal Consiglio Superiore della Magistratura nel parere reso il 7 giugno 2023) l’originario contenuto dell’art. 5 ( sul quale, invece, particolare apprezzamento è stato espresso dal Consiglio Nazionale Forense), secondo il quale i limiti dettati dall’art. 3 possono essere, in ogni caso, superati se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti: in tal caso, il difensore deve esporre sinteticamente nell’atto le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento dei limiti stessi.

È stato, dunque, confermato il principio secondo cui, in via generale, la deroga ai limiti dimensionali da rispettare in sede di redazione degli atti di parte è rimessa alla valutazione esclusiva e soggettiva del difensore ( allorquando, come detto, la controversia presenti questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti), e ciò ancorchè, con il cennato parere del 7 giugno 2023, il Consiglio Superiore della Magistratura avesse sottolineato la necessità ( così come previsto, per il processo amministrativo, nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato attuativo dell’art. 13 ter disp. att. c.p.a.) che fosse il giudice ad autorizzare preventivamente siffatta deroga; al contempo, tuttavia, è lo stesso articolo 5 a prevedere che il difensore, in caso di superamento dei limiti dimensionali, dopo l’intestazione dell’atto, deve inserire un indice, preferibilmente con collegamenti ipertestuali, nonché una breve sintesi del suo contenuto, al fine di facilitarne la lettura.

Da ultimo, quanto alla data di operatività del regolamento, il Ministro della Giustizia, recependo una richiesta concordemente rivolta, in tal senso, sia dal Consiglio Superiore della Magistratura ( nel parere del 7 giugno del 2023), sia del Consiglio Nazionale Forense, ha differito l’originario termine, già fissato al 30 giugno 2023 dall’art. 12 del decreto, al 1 settembre del 2023, disponendo, peraltro, la sua applicazione anche per i procedimenti già pendenti a detta data.

In conclusione, può dunque ragionevolmente affermarsi che, ormai, i principi di sinteticità e di chiarezza degli atti processuali di parte ( oltre che dei provvedimenti del giudice), sono immanenti al processo civile, in quanto funzionali a garantire sia la ragionevole durata del processo ( secondo un principio costituzionalizzato con la modifica dell’articolo 111 della Costituzione), sia la primaria esigenza di una leale collaborazione tra le parti processuali, e tra queste e il giudice.

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