Trump, la Corte suprema pronta ad assolverlo "Non ha istigato un’insurrezione” - La Stampa

Trump è convinto che «la sua difesa sia stata bene accolta», rilancia le accuse a Biden, «tutti questi processi sono interferenze orchestrate da lui» e torna sul 6 gennaio: «Non c’erano armi fra i miei sostenitori». Da Palm Beach può tirare un sospiro di sollievo e anche ironizzare su Nikky Haley, «lasciatela continuare a correre, vincerò io». Mentre il tycoon era in Florida, infatti, alla Corte suprema di Washington i suoi avvocati affrontavano i nove giudici e i legali dello Stato del Colorado. In discussione la decisione della Corte suprema di Denver che in novembre ha escluso Trump dalle primarie per insurrezione.

I nove togati hanno ascoltato per oltre due ore il suo avvocato Jonathan Mitchell, e quelli che rappresentano a diverso grado il Colorado, Jason Murphy e Shannon Stevenson. Dalle domande e dalle reazioni dei giudici – unico termometro per cogliere umori e inclinazioni del tribunale – l’impressione è che il verdetto sarà favorevole all’ex presidente.

La Corte si è aggiornata a venerdì 16 febbraio. Non è detto che quel giorno arriverà la sentenza. I pronunciamenti per questa sessione avvengono fra giugno e luglio, ma gli avvocati delle parti hanno chiesto ai giudici di esprimersi rapidamente. La Corte difficilmente impiegherà tre mesi. Nel caso Bush contro Gore, ad esempio, appena 24 ore dopo gli oral arguments emise il verdetto.

L’udienza è stata – come previsto - molto tecnica e impostata, sia dal legale di Donald Trump sia nelle domande dei giudici, da evitare il quesito sulla colpevolezza o meno di insurrezione per il tycoon.

Solo nelle ultime battute della deposizione dell’avvocato Mitchell è emersa la questione. La protesta del 6 gennaio a Capitol Hill «fu una sommossa», «un evento criminale, vergognoso e violento», ma non «un’insurrezione», ha detto Mitchell. Opinione che è sembrata condivisa da cinque dei giudici conservatori. Sul tema della ribellione invece ha puntato – apparentemente senza successo – Murphy che ha ribadito che i singoli Stati hanno «il potere di proteggere le loro elezioni» non ammettendo i candidati che sono troppo vecchi, che corrono impropriamente per un terzo mandato o come nel caso di Trump «che sono stati coinvolti in un’insurrezione».

La Corte però è sembrata più attenta alle questioni tecniche, tanto che il giudice conservatore Brett Kavanaugh ha sottolineato che non c’è ancora una sentenza in nessuna corte federale su questo.

I giudici quindi si sono confrontati sull’applicabilità del XIV Emendamento e della sua Sezione Tre; se esso scatti automaticamente e se non serva invece un via libera del Congresso per azionarlo. Se un candidato possa essere eletto e quindi prima del giuramento rimosso in base al curriculum di «rivoltoso». Inoltre, è stato sollevato anche se l’Emendamento si applichi ai presidenti o non sia valido soltanto per i funzionari con un ruolo pubblico.

La Sezione Tre del XIV Emendamento, vero nodo del contendere, venne introdotta per impedire che funzionari sudisti macchiatisi di sedizione potessero occupare un ruolo nelle istituzioni post conflitto civile. Risale al 1868 e i giudici ieri hanno dibattuto sul senso di questa decisione e sulle implicazioni attuali. Il giudice capo Roberts ha sostenuto che l’Emendamento in realtà venne scritto per ridurre il potere degli Stati e impedire l’insorgere di nuove tensioni secessioniste, ma non per regolare il processo elettorale. Roberts teme che le conseguenze «siano pericolose» se si affidano a uno Stato o a una manciata di Stati che ne seguono l’esempio «di decidere le elezioni presidenziali».

È stato uno dei passaggi chiave nell’udienza.

Su questa posizione scettica si sono allineate le due giudici liberal Elena Kagan e Ketanjii Brown Jackson. La prima soprattutto ha rilevato i rischi di dare a un singolo Stato il potere di decidere se ammettere o bocciare un candidato alla Casa Bianca. Le conseguenze per la Nazione, ha argomentato, sarebbero potenti.

La seconda ha evidenziato che «il termine presidente nemmeno è citato nell’Emendamento».

Kagan e Roberts sono considerati i due «pontieri» nella Corte Suprema. Il primo è un conservatore moderato scelto da Bush junior, l’altra una liberal attenta a preservare gli equilibri. Spesso i due in passato hanno trovato punti in comune. E la sintonia sull’interpretazione originale del XIV Emendamento potrebbe essere la chiave per rimettere Trump sulle schede. Evadendo così la madre di tutti i quesiti: Trump ha provato a sovvertire l’ordine dello Stato?

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