L'Italia all'inizio del '900: riassunto | Studenti.it

L'Italia all'inizio del '900: riassunto

Riassunto sull'Italia all'inizio del '900: industrializzazione italiana, questione sociale ed emigrazione, classe operaia e sindacalizzazione

L'Italia all'inizio del '900: riassunto
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L'Italia all'inizio del '900

La Toscana all'inizio del '900
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Fra il 1896 e il 1908 l’economia italiana conobbe una fase di profonde trasformazioni:

  • Decollo industriale italiano
  • Protezionismo con le tariffe doganali del 1878
  • L’intervento dello stato
  • Forte crescita settore tessile, industria saccarifera, industria siderurgica, industria idroelettrica, industria meccanica (produzione di automobili, nel 1899 nacque la Fiat, Fabbrica italiana automobili Torino)

Il protezionismo ebbe grande importanza nel favorire il decollo industriale ed il riordino del sistema bancario: nel 1893 fu creata la Banca d’Italia, cioè la Banca centrale incaricata di regolare l’emissione di moneta e il sistema finanziario e creditizio. Nacquero inoltre tre nuovi istituti di credito sul modello della banca mista (svolge una duplice funzione: raccoglie il risparmio dei cittadini e lo investe finanziando società commerciali), come la Banca commerciale italiana e il credito italiano. Importanti sono poi stati altri due fattori:

  • Entrate del turismo
  • Rimesse degli emigrati: gli emigrati che lavoravano all’estero inviavano i loro risparmi in patria.

Fattori questi che permisero all’Italia di equilibrare la bilancia dei pagamenti (saldo delle entrate e delle uscite) in una fase in cui erano necessarie ingenti importazioni di materie prime per sostenere lo sviluppo dell’Industrializzazione.

Sviluppo e squilibri

Questo sviluppo fu caratterizzato fin dall’inizio da pesanti squilibri, il più grave dei quali era lo squilibrio territoriale, il dualismo economico nord-sud, accentuato dalla scelta protezionistica. Il tessuto industriale andava formandosi in modo non omogeneo, concentrandosi nel “triangolo industriale” (Milano, Torino, Genova). La questione meridionale diveniva così uno dei grandi problemi della società italiana

Questione sociale ed emigrazione

Un altro tema fondamentale fu la questione sociale, ovvero il problema delle condizioni di vita delle masse contadine e operaie. Il problema continuava ad essere quello della sopravvivenza, come dimostra l’accrescersi del fenomeno migratorio. Sino alla fine dell’800 si migrava soprattutto dalle regioni settentrionali verso l’America latina, a partire dal nuovo secolo si avviarono migrazioni massicce dal meridione d’Italia verso gli stati uniti.

Il mondo contadino

Il problema sociale riguardava innanzitutto il mondo contadino: le condizioni di vita nelle campagne italiane rimasero a lungo pessime. Le pesanti imposizioni fiscali, la crisi agraria e la scelta protezionistica, provocarono poi un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita. Ai lavoratori non restava quindi che la via delle periodiche rivolte (come i Fasci siciliani) o quella dell’emigrazione.

Il movimento bracciante padano

Nelle campagne padane, dove si ebbe lo sviluppo dell’agricoltura capitalistica, si formò un proletariato agricolo bracciantile che maturò rapidamente una forte solidarietà e coscienza sindacale. A partire dagli anni ottanta si registrò uno sviluppo del movimento organizzato contadino. Obiettivi erano l’aumento della paga, il controllo del collocamento e l’imponibile di manodopera (adozione di regole che vincolassero gli agrari nell’assunzione dei braccianti). Nel 1901 nacque la Fedelterra, una vasta organizzazione contadina di ispirazione socialista.

Classe operaia e sindacalizzazione

Contemporaneamente, veniva a formarsi un proletariato industriale (Proletariato: classe sociale il cui ruolo è quello di prestare la propria forza lavoro dietro il compenso del salario) ma con salari bassissimi, nessuna garanzia del posto di lavoro e del salario, larga diffusione del lavoro minorile.

Lo sviluppo del proletariato di fabbrica portò con se una crescita dell’organizzazione e della coscienza sindacale. Nacque il sindacalismo organizzato, che diede vita in molte città alle camere del lavoro, che organizzavano su base territoriale lavoratori di diversi settori. Nel 1906 nacque la Confederazione generale del lavoro (Cgl), di ispirazione socialista. Gli scioperi aumentarono considerevolmente di numero e di intensità. Gli obiettivi erano:

  • Aumenti salari
  • Riduzione giornata lavorativa (allora di 12 ore)
  • Assistenza in caso di malattia
  • Suffragio universale
  • Diritto di sciopero
  • Riconoscimento legale del sindacato
  • Proteste contro le repressioni attuate dalla politica.

Il movimento operaio tra anarchismo e socialismo

Nei decenni successivi all’Unità d’Italia il movimento operaio italiano aveva visto prevalere la componente mazziniana, ostile alla lotta di classe, e soprattutto l’anarchismo, che rifiutava la partecipazione alla vita politica dello stato e promulgava cospirazioni rivoluzionarie. La sua influenza venne progressivamente declinando man mano che il socialismo di ispirazione marxista si affermava presso la classe operaia. Con lo sviluppo del proletariato industriale settentrionale, erano sorti diversi gruppi di orientamento socialista, che si opponevano agli anarchici sostenendo metodi legali di lotta sindacale e politica. Nel 1892 a Genova, nacque il Partito socialista italiano, in cui ebbe un ruolo sin dall’inizio determinante l’avvocato Turati, socialista con orientamento riformista.

Il ruolo del partito socialista

Il partito socialista si mosse secondo una linea politica ispirata al modello della socialdemocrazia tedesca (orientamento riformista). La nascita del partito socialista fu un evento di grande importanza per il movimento operaio, per l’intera vita politica e sociale italiana. Con esso si costituiva in Italia il primo partito moderno di massa e il movimento dei lavoratori entrava a pieno titolo nella lotta politica e parlamentare.

L’eccidio del 1898 a Milano

Fra il 1898 e il 1900 l’Italia visse la cosiddetta crisi di fine secolo. Nel 1898 esplosero in tutto il paese moti spontanei contro il rincaro del prezzo del pane: il popolo affamato prese d’assalto i forni i mulini ed i municipi. La reazione del governo presieduto dal marchese Di Rudinì, fu ovunque durissima: l’episodio più grave si ebbe a Milano, dove il generale Bava Beccaris cannoneggiò sulla folla (6 maggio 1898) provocando un centinaio di vittime. Fu poi proclamato lo stadio d’assedio a Milano, Livorno, Firenze e Napoli. Il governo fece arrestare dirigenti e deputati repubblicani e socialisti, chiuse i giornali di opposizione, anche cattolici, limitò la libertà di stampa, di associazione e di riunione. I gruppi reazionarismi avanzarono l’idea di un mutamento istituzionale che sottrasse il governo al controllo del parlamento.

Una vittoria democratica

La svolta autoritaria tuttavia non ebbe luogo: la Sinistra radicale e i socialisti si mobilitarono alla camera in difesa delle libertà costituzionali, attuando per la prima volta l’ostruzionismo parlamentare (impedire la votazione di una legge moltiplicando e allungando a dismisura gli interventi dei deputati in aula). Prevalse la corrente facente parte a Giovanni Giolitti, contraria a una riduzione delle libertà civili e democratiche. Molti esponenti della classe dirigente compresero infatti che le rivendicazioni popolari nascevano da un disagio grave.

La crisi del paese doveva essere risolta avviando una legislazione sociale e nel rispetto dell’ordinamento costituzionale libero. Nelle elezioni del giugno 1900, le opposizioni si presentarono unite, il governo (chiaramente di transizione) fu affidato a Saracco. Il 29 luglio 1900 un attentato terroristico scosse la vita del paese: il re Umberto I fu ucciso a Monza dall’anarchico Bresci per vendicare l’eccidio di Milano. La monarchia non ripropose la via autoritaria, data la debolezza del governo saracco il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò il governo a un esponente del liberismo progressista: Zanardelli.

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