Persona di Ingmar Bergman: capolavoro senza tempo | Recensione

Persona di Ingmar Bergman: un capolavoro senza tempo | Recensione

Persona è un film del 1966 diretto dal regista svedese Ingmar Bergman che, nonostante siano passati anni dalla sua uscita, resta un capolavoro indiscusso. L’assenza di colori non vuol dire che si tratti di un opera ormai superata, al contrario, i contenuti di questo film restano, dopo quasi 60 anni, più che attuali. Se non amate i film in bianco e nero, sappiate che questo saprà stupirvi e farvi riflettere anche dopo avere spento lo schermo del televisore o del pc. Insomma, se vi piace scervellarvi su tutti i possibili significati di un film, questo fa al caso vostro.

Biografia del regista

Ingmar Bergman è un noto registra svedese, nato a Uppsala nel 1918 da un pastore luterano i cui insegnamenti sui concetti di peccato, punizione, perdono e grazia influenzeranno le tematiche affrontate nei film di suo figlio. Dopo un’infanzia caratterizzata dalla continua ricerca di Dio, Ingmar si iscrive dapprima all’Università di Stoccolma, per poi abbandonarla una volta entrato in contatto con il teatro e il cinema. La sua iniziale passione diviene così un lavoro e poi un totale successo. Persona infatti è uno dei tanti capolavori di Bergman, altri sono: Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Sussurri e grida, Fanny e Alexander, opere d’arte che hanno fatto la storia del cinema.

Persona di Ingmar Bergman: trama e riflessione

84 minuti non bastano per riflettere sulla quantità e varietà di spunti che fornisce questa pellicola. Persona di Ingmar Bergman è un film sperimentale, un’avanguardia che attraverso le sequenze, i primi piani e lo stesso bianco e nero rappresenta una riflessione sul concetto di identità, di inconscio e di umanità.

Il film si apre, infatti, con una rapida successione psichedelica di immagini o meglio di simboli: un ragno, un organo sessuale, un’agnello sacrificale, un chiodo che viene impiantato nel palmo di una mano e poi quello che sembra essere un obitorio: qui un bambino si risveglia dal suo sonno, osserva e poi accarezza, attraverso uno schermo, il volto poco chiaro di una donna.

Quella donna è una delle due protagoniste: Elisabet, un’attrice che improvvisamente smette di parlare e che, per questo motivo, è ricoverata in una clinica dove incontra il secondo personaggio fondamentale, Alma, un’infermiera che si prenderà cura di lei. Su suggerimento della dottoressa dell’ospedale, le due donne vanno a passare del tempo in una casa al mare, qui l’una ha solo la compagnia dell’altra e mentre Alma prende a raccontarsi, ad aprirsi e a sfogarsi, Elisabet resta sempre attenta ad ascoltarla. Quello che è inizialmente solo un monologo diventa la confessione di peccati mai detti, peccati taciuti troppo a lungo.

Elisabet, invece, rimane nel suo mutismo, le uniche sue parole sono quelle contenute in una lettera indirizzata alla dottoressa della clinica, parole che non riguardano la sua persona, ma la persona di Alma e i suoi peccati. Elisabeth, infatti, forse perché attrice di mestiere, resterà a lungo nascosta, non aprirà mai bocca se non per difendersi da una pentola d’acqua bollente che sta per esserle rovesciata addosso. Non metterà in luce i suoi peccati ma sarà Alma a farlo per lei.

Elisabet ha sempre tenuto in segreto la volontà di non avere un figlio. Ha recitato, per accontentare chi le stava intorno, il ruolo di buona donna e quindi di madre, seppur ripugnando questo ruolo e il figlio stesso. Ha preferito quindi chiudersi nel suo mutismo e così cessare di recitare una parte che odia. Il rapporto tra le due protagoniste diventa man mano sempre più intenso e passionale fine a divenire violento: questo le porterà a fondersi e sarà, da questo momento in poi, difficile scindere le due persone, le due identità.

Alma ed Elisabet tornano a casa, entrambe non possono fare a meno dei ruoli a loro imposti, non riescono a liberarsene:  termina così il capolavoro di Bergman, con l’immagine di una pellicola che è ormai finita. 

Donne e società in Persona di Ingmar Bergman

Alma ed Elisabet sono entrambe due donne, hanno un lavoro e hanno un ruolo ben definito all’interno della società:  essere donne, mogli e madri. Eppure le vite e le identità delle due sembrano non coincidere con questi dettami, sono peccatrici, non hanno rispettato i ruoli a loro affidati, anche se ci hanno provato e continueranno a farlo fino alla fine del film. Non a caso, il titolo di Persona deriva dal latino e indica la maschera indossata dall’attore, la parte che recita, il ruolo che interpreta.

Quello che invece differenzia i due personaggi è che Alma riesce a sfogare, a buttare tutto fuori anche se in un monologo che a un certo punto si trasforma in fastidiosa logorrea, mentre Elisabet tace, l’unica parola che riesce effettivamente a pronunciare è «Nulla». 

Lettura in chiave moderna

Il ruolo della donna non è mai stato semplice, al contrario, è sempre stato costretto all’interno di confini ben delineati da una società patriarcale. La donna deve essere una buona donna e dunque una brava figlia, poi una brava moglie e un’ottima madre. Ancora oggi, dopo 60 anni dalla realizzazione del film Persona di Ingmar Bergman e nonostante ci siano stati dei giganteschi passi avanti nella società odierna, per la donna che non desidera essere madre spesso resta la gogna: se non vuoi figli sei egoista, vuoi divertirti, pensare alla carriera e per questo sei una donna buona a nulla. Bergman quindi, anticipa magistralmente un tema più che attuale, ed è anche per questo motivo che Persona merita di essere guardato.

Fonte immagine: Prime video, copertina ufficiale del film Persona di Ingmar Bergman

A proposito di Martina Napolitano

Classe '99, sono nata a Salerno ma vivo a Napoli. Sono una studentessa di Mediazione culturale presso l'Orientale di Napoli, studio Inglese e Arabo e sono prossima al conseguimento della laurea triennale.

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