Gloria!, è buona la prima di Margherita Vicario
Gloria! di Margherita Vicario

Gloria!, è buona la prima di Margherita Vicario

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Tutto è suono, nel giocoso esordio di Margherita Vicario. Gloria! trova espressione nelle sue sonorità, incasellate nella grammatica di una partitura musicale, dove ogni movimento del quotidiano è ritmo e invenzione creativa e dove l’immagine cinematografica è chiamata a seguire, con il suo racconto visivo, l’impulsività di un energico tessuto sonoro. La cantautrice, attrice e regista romana modella le proprie ispirazioni e le riversa sullo schermo, accendendo in Gloria! una vitalità che si compone a tempo di musica, solfeggiata da un femminile sulla strada dell’emancipazione.

In concorso allo scorso Festival internazionale del cinema di Berlino, Gloria! è una storia di ribellione dalla personalità solare, che rivendica una riappropriazione di genere e omaggia la memoria di tutte le compositrici dimenticate dalla Storia. Margherita Vicario dona voce a quelle donne, reclamando un’espressione artistica che sovverte le convenzioni e contrappone, fonde e sovrascrive il passato con il futuro, ammiccando con piglio pop a un cinema brillante, che tradisce alcune delle ingenuità degli esordi ma contagia con la sua febbrile vivacità.

Da qualche parte vicino a Venezia

Galatéa Bellugi in una scena di Gloria!

Gloria! si apre retrospettivamente sull’immagine dell’incorporeo protagonista del racconto: il pianoforte che viene donato all’istituto religioso di Sant’Ignazio è il manifesto di una rottura che porterà alla rivoluzione. È l’evoluzione che irrompe nella tradizione e ne smantella le radici, declinandosi a spazio attorno al quale conoscere solidarietà, empatia, spensieratezza e coraggio. Teresa (Galatéa Bellugi) è una delle orfane che abitano l’istituto; anche lei, come le sue compagne, ha alle spalle un passato di dolore, abbandono e prevaricazioni. Eppure quel luogo lo occupa ai margini, stando attenta a rimanere in silenzio.

Le altre ragazze la conoscono come la muta, la orpellano di cattive parole e arroganti capricci, confacendosi ingenuamente alle leggi di quell’intolleranza alla quale sono esse stesse piegate. Perché Teresa è solo la domestica del posto, ma nasconde un segreto che nessuno conosce e un vissuto a cui è meglio non interessarsi. Ha un talento musicale straordinario, che odora di anacronistica modernità e sfrutta l’immaginazione per far suonare il circostante, armonizzandolo a una voce che piano piano trova fiducia in se stessa.

Lucia (Carlotta Gamba), Prudenza (Sara Mafodda), Marietta (Maria Vittoria Dallasta) e Bettina (Veronica Lucchesi) sono le musiciste del coro di Sant’Ignazio, vessate a loro volta dalla frustrazione del maestro Perlina (Paolo Rossi). Educate alla musica, il loro è un destino scritto nella svilente esecuzione delle partiture di altrui realizzazione, ben lontano da un’autonoma affermazione artistica. E quindi a passo lento, ma vibrante, Gloria! fomenta il desiderio di evasione, indirizzandolo prima nell’illusione sentimentale di Lucia, innamorata e abbandonata dalle promesse di un giovane ragazzo, e poi nelle crescenti aspirazioni delle singole personalità.

All’alba del 1800, è l’imminente visita del nuovo pontefice ad annunciare lo strappo da cui Gloria! prende il ritmo. Sullo sfondo di un irrequieto fermento religioso (che deve qualcosa all’irriverenza di Sister Act), l’inadeguatezza e gli scarsi risultati di Perlina, incaricato di comporre un concerto per l’arrivo di Papa Pio VII, lasciano spazio al germogliare emancipatorio dell’ambizione delle ragazze. Che si riuniscono quasi per caso attorno a quel demoniaco pianoforte, occultato nel deposito dell’istituto.

È Teresa a trovarlo, incorniciata da un montaggio parallelo che agli echi della Rivoluzione francese e ai primi, interiori, moti di ribellione associa quel suo oggetto profetico, l’idea di un cambiamento auto-conquistato, che passa attraverso una musica nuova e prende la forma del punto esclamativo che dà forza al titolo del film. Vicario imbeve il cambiamento di una freschezza registica che si muove di venature pittoriche in inaudite irruzioni contemporanee (di quell’immaginario alla Sofia Coppola), inquinando la classicità con giochi musicali tutti moderni, ammantati da parole semplici e pensieri propri, capaci di scrivere canzoni.

Gloria!, ribellione a tempo di musica

Una scena di Gloria!

Connettersi con la propria vena creativa, però, non è cosa per tutti, e Gloria! fa scivolare il destino più miserevole tra le mani dei suoi uomini, svirgolati da una goffa ridicolizzazione di una virilità fotografata in negativo, che spesso cede a convenzionali contrasti e tonifica il racconto semplificando la scrittura, alleggerita a favore di un curato gusto estetico e una briosa identità musicale.

Perché il palcoscenico di Gloria! è esclusiva liberazione del femminile, stufa dell’inettitudine abusiva del maschile e incalzata dall’antagonismo tra le due compositrici della storia: Teresa e Lucia. In loro vecchio e nuovo si contaminano tra le rispettive doti musicali, gradualmente ammorbidite da una frizione che si rimargina nell’adesione a un ideale comune.

Volteggiando tra notti trasognate, le ragazze imparano a tradurre in musica i propri sogni ricreativi, innescando un frizzante risveglio di coscienza che prende vita dalla reciproca valorizzazione e culmina nella caotica sovversione del concerto che chiude il film. Dove Gloria! sceglie di restituire all’insolenza delle sue donne e dei loro suoni il potere di sovrastare il disordine, la morte, l’arroganza, le gerarchie e la violenza, riscattando la voce di un’emancipazione che non può mai, realmente, essere messa a tacere.

È buona la prima di Margherita Vicario, irresistibile quanto basta a perdonarne le sbavature.


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Laureata in Cinema e Comunicazione. Perennemente sedotta dalla necessità di espressione, comprensione e divulgazione di ogni forma comunicativa. Della realtà mi piace conoscere la mente, il modo in cui osserva e racconta le sue relazioni umane. Del cinema mi piace l’ascolto della sua sincerità, riflesso enfatico di tutte le menti che lo creano. Di entrambi coltivo l’empatia, la lente con cui vivere e crescere nelle sensibilità ed esperienze degli altri

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