ROMA E I REGNI CLIENTI: ARCHELAO E PITODORIDE

“Regni-clienti” è un termine che ricorre spesso nel mondo accademico così come nella manualistica, anche quella più generalista. E’ sicuramente funzionale ma molto impreciso: trasferisce nell’ambito delle relazioni interstatali un rapporto privato (clientelae), tipico della società romana, ma non rispetta l’eterogeneità dei legami di questi Re con Roma. In questo articolo proveremo a vedere proprio questo punto, concentrandoci su alcuni esempi abbastanza interessanti.

Torniamo ad alcune noiosissime nozioni formali prima.
Presso il diritto romano non esisteva alcuna nozione giuridica di Stato-cliente, la cui denominazione era quella di reges socii et amici populi Romani, dunque più che un vero e proprio protettorato nei confronti di un Regno ci si inseriva in un rapporto meramente privato e personale. Questo titolo veniva conferito dal senato romano ai Re che assumevano lo status di amici ma non erano necessariamente legati ad un vero e proprio trattato di alleanza.
Le prime formazioni di questi regni risalgono alle disposizioni di Pompeo, che grazie alla lex manilia acquisì un imperium eccezionale che gli garantì il governo di diverse province in Oriente, oltre al diritto di stringere alleanze e di condurre operazioni militari. A questa prima sistemazione di età repubblicana fecero seguito le disposizioni di Marco Antonio, molto più estese ed arbitrarie in virtù del fatto che non dovette sottoporre le sue scelte ad una ratifica del Senato. In virtù di questa situazione avvenne una vera e propria distribuzione dei territori in Asia Minore a principi locali in qualità di strumenti di dominazione romana. I più attenti di voi sicuramente noteranno che la questione clientelare sembra legata essenzialmente alla Pars Orientalis.
In realtà, dato il carattere abbastanza fumoso della definizione stessa di “cliente”, potremmo citare un numero infinito di casi occidentali.
Le condizioni essenziali erano legate certamente ad alcune situazioni-tipo ravvisabili anche altrove: un contraente maggiore (Roma), più o meno riconosciuto come tale, ed un contraente minore (una dinastia locale) con reciproci vantaggi. L’ultimo punto verrà chiarito nel corso dell’articolo.
Per quanto riguarda gli esempi occidentali, senza dilungarci troppo, le res gestae sono anche in questo caso un ottimo documento da cui ricavare i nomi e i popoli che hanno chiesto l’amicizia del Popolo romano come i Senoni, Caridi, Cimbri e altri popoli germanici; oppure regnanti britanni che si son presentati supplici alla corte augustea come Dumnobellauno e Tincomaro.
Le stesse popolazioni alpine e prealpine, prima di essere inquadrate nel mondo romano (esemplare il caso del Re Cozio, pur nella sua anomalia per essere passato da monarca locale a praefectus) potevano vantare una esperienza clientelare già con Cesare.
La differenza sostanziale tra i due mondi era principalmente di origine statuale ed istituzionale: il mondo orientale presentava una complessità socio-istituzionale molto più avanzata rispetto alla controparte occidentalis.
Torniamo in Oriente e alla pratica di potere “antoniana”.
Il nuovo ordinamento basato sul controllo di Stati-Cliente appariva vantaggioso per diversi motivi. Per Roma, e per il suo approccio pragmatico nella risoluzione dei problemi, l’utilizzo di regnanti locali garantiva maggiore efficienza nell’amministrazione, soprattutto nel districarsi con le questioni etniche e fiscali che molto spesso si basavano su consuetudini radicate in idealità e tradizioni completamente estranee.
Gli stessi nativi, compiaciuti di essere governati da un proprio rappresentante rispetto ad un proconsole, potevano costituirsi come terza parte rispetto alla monarchia locale ed assumere così lo status di interlocutrice specifica rispetto ad un rapporto bilaterale. Da un lato infatti potevano trattare apertamente con la dinastia i termini di sudditanza, dall’altro fare pressione a Roma per scegliere e preservare la propria autonomia, nonostante fosse comunque varia da caso a caso.
Questo approccio pragmatico della politica estera romana fu evidente anche nella scelta dei candidati locali, perché spesso più che ad una scelta si riconobbero situazioni de facto senza alcuna voce in merito.

Ed è proprio il caso di Archelao, re di Cappadocia, che insieme ad Erode di Giudea, Fraate IV di Partia e la regina Pitodoride fu al centro di vastissime implicazioni della politica orientale tra la tarda repubblica e l’età post augustea. Ben 52 anni di regno.
Egli infatti non fu scelto da Antonio ma pose la propria candidatura per iniziativa propria con una scalata locale singolare quanto esemplare per le questioni finora anticipate.
L’idea di insediarsi in Cappadocia fu personale, partendo da possedimenti privati, probabilmente intorno alle città di Archelais o Garsaura ai confini con la Licaonia. La conquista del regno si definì nei contorni di una usurpazione graduale con un proprio impulso a cui solo successivamente venne accordato il beneplacito antoniano.
La politica orientale del Triumviro perseguiva l’ideale di monarchia ellenistica, di Re dei Re nei potentati orientali, di consenso nella regione in preparazione della campagna partica. Questa particolare situazione di necessità venne abilmente sfruttata dai dinasti locali che spesso basavano il proprio potere sul possesso di grandi proprietà terriere, veri e propri signori del reame appartenenti alla nobiltà e al sacerdozio.
L’ascesa di una famiglia però non eliminava l’esistenza di una solida rete di potentati locali, altro elemento essenziale che denota la complessità dei rapporti tra Roma e questi regni. La loro presenza, potremmo affermare, contribuì proprio ad evolvere quel triplice rapporto che abbiamo anticipato precedentemente.
Nel caso specifico di Archelao, usurpatore e dunque mai probabilmente in possesso del consenso dell’intera popolazione, il beneplacito internazionale di Roma servì per consolidare e riconoscere la propria posizione.
Spesso infatti questi regni non possedevano un assetto centralizzato ma erano piuttosto delle società-classiste divise con un sistema di autonomi governi elitari.
Un’altra considerazione da fare, nonostante lo stretto rapporto con Roma anche dal punto di vista del supporto militare, è relativa alla capacità autonoma di agire nella rete delle relazioni di potere nella regione.
Archelao ed Erode, anche in questo caso, sono due splendidi esempi della stretta connessione tra interessi diversi di due sovrani che invece ufficialmente presentavano lo stesso status di rex amicus.
Il primo infatti, dopo aver conquistato la Cappadocia, si rese protagonista di un progetto espansionista tendente ad includere la stessa Giudea, un asse unitario dal Ponto alla Palestina. L’ambizione di Archelao si esplicò con una serie di matrimoni politici che inclusero l’unione con Pitodoride, vedova di Polemone re del Ponto, e soprattutto quello di sua figlia Glafira con il figlio di Erode, Alessandro.
Proprio quest’ultimo, insieme al fratello Aristobulo, fu al centro di una serie di congiure abilmente orchestrate dal padre, che avrebbe tentato in questo modo di affermare il suo predominio a discapito del suo concorrente più pericoloso per l’influenza in oriente.
Prima di proseguire oltre, e confondere ulteriormente il lettore con legami dinastici difficili da esplicare con chiarezza in poche righe, è bene forse sottolineare il network di interessi e rapporti sociali assolutamente indipendente e autonomo che già traspare.
Questi regnanti non erano semplici burattini nelle mani di Roma. Coltivavano ambizioni, sfruttavano il proprio status internazionale garantito dall’ombra dell’Urbe per espandersi a discapito degli altri.

Pitodoride è in questo il riflesso del suo secondo marito.
Figlia di Pitodoro, asiarca, sposò in prime nozze Polemone, il sovrano del Ponto che discendeva da una importante famiglia della provincia d’Asia; suo padre, il retore Zenone di Laodicea sul Lico, riuscì ad impedire che la propria città si alleasse con la Partia. Per questo Marco Antonio lo premiò rendendo il figlio, Polemone appunto, re del Polemoniaco. Questa situazione fu confermata da Augusto.
Dopo che Polemone morì in una campagna militare, nell’8-7 a.C., Pitodoride ne ereditò il regno continuando a governare anche quando divenne moglie di Archelao di Cappadocia.
Questa coppia regale non si interessò soltanto alla Giudea ma puntò a progetti ben più ambiziosi, al punto da mettere in discussione l’organizzazione stessa del potere romano nella regione.
E quando si parla di grandi ambizioni e di Oriente c’è un solo regno in questione: l’Armenia.
Risparmiamo ai lettori anche il più rapido excursus armeno in quanto spesso risulta poco chiaro agli storici antichi e moderni, tra dinastie locali interne ed esterne che bene o male vengono coinvolte in guerre civili praticamente continue.
Se ad ovest dell’Eufrate l’influenza romana nei giochi di potere fu incisiva ed efficace, nonostante le ambizioni di alcuni grandi regnanti, ad est fu tutta un’altra questione.
Augusto fece ripetuti tentativi di ridurre l’Armenia nello status di regno-cliente, e per Tiberio, in continuità con la linea politica precedente, sembrò non solo possibile ma anche obbligatorio perseguirne l’obiettivo.
Il controllo armeno, o meglio il tentativo di farne uno stato cuscinetto romano, chiaramente non poteva essere accettato dalla Partia. Tenendo presente la realtà decentrata asiatica che abbiamo più volte sottolineato, la questione gravitò spesso intorno al delicatissimo intreccio delle famiglie reali e dei satrapi locali. Una politica contrastata a più riprese da fazioni armene imbevute da una fortissima coscienza etnico-locale (non presente in Cappadocia) in cui piccoli potenti locali potevano aspirare ad una scalata regionale.
Per queste ragioni l’intervento romano si sviluppò attraverso una politica accorta: si cercò costantemente di sfruttare queste divisioni familiari all’interno della casa reale armena oppure le ambizioni e i contrasti dei re orientali e delle nobiltà locali.
Ma anche in questo caso l’intervento parve più un mero riconoscimento di una situazione che si era già evoluta per suo conto in una certa direzione.
Dopo i primi successi diplomatici augustei fece seguito un periodo di torbidi fino al 13-14 d.C., anni poco chiari anche per le fonti antiche.
Ad ogni modo in questa epoca anarchica Archelao di Cappadocia e Pitodoride riuscirono a presentare ed imporre come candidato il proprio figlio, Zenone, in funzione antiromana. In questa visione si può giustificare da una parte l’appoggio delle élites di simpatie nazionali e dall’altra quello dello stesso Artabano, che aveva appena preso potere in Partia ponendo fine all’esperienza filoromana dell’Impero orientale.
Si può percepire, anche in questo caso, una certa ambiguità nelle politiche regionali di questi regnanti che ambiscono sì al riconoscimento internazionale di Roma ma allo stesso tempo coltivano un atteggiamento ostile, al punto dal cercare una doppia legittimità nell’Impero Arsacide.
Questa necessità è anche data dalla precarietà regale, proprio come Archelao può dimostrare, disponendo di deboli basi di consenso locale.
Zenone, essendo figlio di Pitodoride, rientrò nella disputa armena in virtù dei possedimenti della madre nella regione settentrionale oltre alle affinità culturali dei due regni.
In cambio del suo riconoscimento Artabano ottenne la satrapia dell’Adiabene, tra cui l’importantissimo territorio di Nisibi, fondamentale per i movimenti logistici dell’esercito in funzione antiromana.
Questa situazione esplosiva dimostra come fosse facile per questi regni-clienti, pur formalmente amici del Popolo romano, diventare una grave minaccia per l’Urbe.
Ad ogni modo la politica ambiziosa di Archelao non passò indenne. Egli fu infatti convocato da Tiberio per rispondere delle sue azioni.
La sua morte, nel 17 d.C., presenta alcune interpretazioni diverse.
Secondo Tacito fu convocato a Roma e qui sottoposto alle accuse del Senato, finché stremato dalle condizioni umilianti morì (Ann., 2, 42, 4).
Il richiamo fu motivato proprio dai continui tentativi di rivolgimenti politici messi in atto. Il re di Cappadocia probabilmente sperava di porre sulla bilancia delle decisioni il peso della sua influenza in oriente, oltre alle sue amicizie romane.
Quest’ultimo punto è molto interessante e riguarda in orizzontale i rapporti tra l’aristocrazia romana e i reali orientali, ma è un discorso esplosivo e ricco di infinite argomentazioni. E’ parte del problema geopolitico ma è anche fin troppo complesso per una esposizione superficiale come questa.
La fine di Archelao, insieme alla politica antiromana di Zenone e di Artabano, oltre che alle questioni dinastiche in Giudea, causarono una instabilità generale nell’assetto orientale.
Fu necessario l’intervento di Germanico in Oriente, ma soprattutto l’accordo ed il consenso di Pitodoride.
La missione orientale del figlio adottivo di Tiberio è una ulteriore dimostrazione di potenza e di importanza di questi regni spesso sottostimati.
Compiendo un lungo giro per Perinto, Bisanzio e l’imboccatura del Ponto Germanico probabilmente giunse fino a Sinope, meta attestata dalla dedica di una statua del demos ad Agrippina.
Questa modifica del percorso, non prevista nel programma che Tiberio aveva presentato in senato, è fondamentale. Il principe romano non avrebbe mai potuto permettersi viaggi turistici, pressato com’era da una Partia sul piede di guerra, nonostante il parere di alcuni storici. La stessa Sinope non può essere interpretata come una mera meta ludica perché rappresentava il limite costiero ovest del Ponto, il regno della regina Pitodoride, madre del presunto reggente d’Armenia.
Un incontro tra i due non è testimoniato e risulterebbe difficile da ipotizzarlo visti i rapporti tesi tra Roma e la vedova di Archelao. E’ ragionevole però interpretare il viaggio costiero di Germanico come necessario per la preparazione diplomatica in previsione della futura missione in Armenia: risolvendo cioè tramite emissari le problematiche legate alla provincializzazione dei territori ereditati da Archelao e quelle riguardanti il riconoscimento di Zenone come re d’Armenia da parte di Roma, ancora una volta de facto.
La risoluzione di queste problematiche poteva avvenire soltanto con l’intesa dei più importanti re confinanti, e Sinope, autentico crocevia tra il Mar Nero e l’Eufrate, rappresentava il miglior luogo dove incontrare ambascerie.
La stessa tradizione ci da inizio del modus operandi di Germanico in questo senso, attraverso cioè una serie di visite con emissari di regnanti locali.
E infatti nel nuovo inquadramento orientale la regina Pitodoride riottenne, per esempio, alcuni territori del marito tra i quali l’Armenia Minore.
Ad Artaxana, con l’assenso dei nobili ed una grande partecipazione popolare, Zenone fu incoronato da Germanico con la tiara, simbolo della regalità armena.
Questo atto è da considerare come la prima vera incoronazione di un re in Armenia da parte di Roma.
La fine dei giulio-claudi e l’avvento di Vespasiano vengono visti di solito come la fine del sistema clientelare, almeno per quanto riguarda l’Oriente.
In realtà proprio la mancanza di una definizione istituzionale di questi rapporti rendono l’argomento abbastanza scivoloso. La pratica di potere era certamente cambiata ma il rapporto privato (dimensione peraltro originaria), intessuto tra Roma e i potentati locali, rimase sempre costante.
Le élites locali continuarono a tessere relazioni internazionali, reti socio-economiche al di là degli stessi confini. Le aristocrazie locali forse persero la corona ma non la regalità.

Scritto da Giuseppe Giordano

Fonti:

M. Pani, Roma e i re d’Oriente da Augusto a Tiberio: Cappadocia, Armenia, Media Atropatene, Bari 1972

C. Letta, S. Segenni (a cura di), Roma e le sue province. Dalla prima guerra punica a Diocleziano, Città di Castello 2015

D. M. Robinson, Ancient Sinope in: The American Journal of Philology, Baltimore 1906

M. Sartre, L’Orient romain: Provinces et sociétés provinciales en Méditerranée orientale d’Auguste aux Sévères, Paris 1991

J. Gagé, “Basiléia”: les césars, les rois d’orient et les “mages”, Paris 1968

M. L. Chamont, l’Arménie entre Rome et l’Iran. I. De l’avènement d’Auguste à l’avenèment de Dioclétien, ANRW II Prinzipat 9.1, 1976, pp. 71-194.

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