Le arti e gli artisti
nella rete della
diplomazia
pontificia
estratto dal volume
a cura di
MARCO COPPOLARO
GIULIA MURACE
GIANLUCA PETRONE
Arte
/
Storia
estratto
La pubblicazione è frutto delle giornate internazionali di studio tenute presso la Pontificia Università
Gregoriana il 15 e il 16 ottobre 2021 con il coordinamento scientifico di Ilaria Fiumi Sermattei e
Roberto Regoli.
Comitato scientifico: Stefano Andretta, Giovanna Capitelli, Cristiano Giometti, Silvano Giordano,
Laura Iamurri, Massimo Moretti, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Roberto Regoli, Alessandro
Zuccari.
Il presente volume è stato realizzato grazie a:
©
Proprietà letteraria riservata
Gangemi Editore spa
Via Giulia 142, Roma
www.gangemieditore.it
Nessuna parte di questa
pubblicazione può essere
memorizzata, fotocopiata o
comunque riprodotta senza
le dovute autorizzazioni.
Le nostre edizioni sono disponibili
in Italia e all’estero anche in
versione ebook.
Our publications, both as books
and ebooks, are available in Italy
and abroad.
ISBN 978-88-492-4576-9
I testi del presente volume sono stati sottoposti a double-blind peer review.
estratto
LE ARTI E GLI ARTISTI
NELLA RETE DELLA
DIPLOMAZIA PONTIFICIA
a cura di
MARCO COPPOLARO - GIULIA MURACE - GIANLUCA PETRONE
estratto
Sommario
Arte e diplomazia pontificia. Alcune note introduttive allo studio di un rapporto complesso 7
Marco Coppolaro - Giulia Murace - Gianluca Petrone
prima parte
Strategie e pratiche della diplomazia culturale: mecenati, committenti e agenti
Juan de Marrades e il San Giovanni Battista di Niccolò dell’Arca alla corte dei Borgia
Antonella Parisi
Il dono numismatico di Sisto V ai Principi «moderni» e una singolare interpretazione
del solido di Arcadio in una lettera del cardinale Montalto (scritta da Antonio Maria
Graziani)
Massimo Moretti
13
21
Un agente segreto del cardinale Mazzarino a Roma: padre François Duneau SJ e le arti
(1652-1661)
Yvan Loskoutoff
25
Roma-Varsavia-Vienna. Cultura artistica e cultura materiale nella nunziatura di
Polonia di Andrea Santacroce
Cecilia Mazzetti di Pietralata
33
L’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede nel 1728:
l’impatto sugli artisti e sulle commissioni in corso
Teresa Leonor M. Vale
43
Mecenatismo tra diplomazia e tentativi di autopromozione: la serie Chigi Zondadari
Vincenzo Stanziola
51
La imagen de Pío IX en un contexto republicano: delicados equilibrios diplomáticos
Marcela Drien - Fernando Guzmán
57
seconda parte
Scambi di doni diplomatici: un intreccio di valori religiosi, politici e culturali
Una rosa d’oro per Bisanzio. Pio II, Tommaso Paleologo e l’omaggio papale
al «glorioso passato» bizantino
Teodoro De Giorgio
Un dono di Pio V a Filippo II: il viaggio in Spagna di dodici busti di imperatori romani
Carme Narváez
La distribuzione degli agnus dei: una via della politica diplomatica pontificia in
epoca moderna (1550-1600)
Minou Schraven
83
91
99
estratto
Stocco e berrettone: doni papali ai gran maestri di Malta quali difensori della Chiesa
Sante Guido
109
«Anche i doni hanno la loro stella». I doni diplomatici nell’età della Restaurazione
pontificia
Ilaria Fiumi Sermattei
119
Malachite as material and symbol in diplomatic relations between the Russian
Empire and the Holy See in the 19th Century
Ludmila A. Budrina
129
Doni per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Politica delle arti, strategie
diplomatiche e rivendicazioni identitarie
Manuel Barrese
137
terza parte
L’artista e le opere nelle dinamiche diplomatiche: la peculiarità di Roma
Il Primaticcio a Roma: tra diplomazia e antiquaria
Carmelo Occhipinti
163
L’enciclopedia del mondo. Paolo V Borghese alla prova della “globalizzazione” nella
Sala Regia al Quirinale
Loredana Lorizzo
171
Il Vascello di Francia. La celebrazione della monarchia francese nella residenza
dell’abate Elpidio Benedetti
Riccardo Gandolfi
179
Domenico Guidi, il principe Vaini e una statua raffigurante Luigi XIV. Il valore
diplomatico di un’iconografia del potere negli equilibri tra Francia, Impero e Papato
Marco Coppolaro
187
Antonio Canova e la diplomazia artistica. Per una lettura storica del Monumento
Stuart nel quadro dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e corona britannica
Alessio Costarelli
197
Il «Canova conquistatore». Storie di opere, principi e diplomazia al tempo di Pio VII
Lisa Cattaneo
Ferdinando Cavalleri pittore: relazioni diplomatiche tra la corte sabauda,
l’aristocrazia anglosassone e la corte pontificia nella prima metà dell’Ottocento
Laura Facchin
203
225
estratto
estratto
Una rosa d’oro per Bisanzio. Pio II, Tommaso Paleologo
e l’omaggio papale al «glorioso passato» bizantino
Teodoro De Giorgio
ei documenti dell’Archivio Vaticano, pubblicati da Eugène Müntz nel 1878, il nome di Simone di Giovanni Ghini, «aurifaber florentinus» operante a Roma dal 1434 al 1475, ricorre, insieme a quello del suo allievo Marco Lazzari, in numerose note di pagamento della
Camera Apostolica1. Già al servizio di Eugenio IV (1431-1447) e di Nicola V (1447-1455), fu l’orafo
prediletto di Pio II Piccolomini (1458-1464) che, oltre alla tiara aurea per la sua incoronazione del
3 settembre 1458, gli commissionò doni diplomatici per regnanti e alti dignitari del suo tempo.
Tra questi figuravano lo stocco pontificio e, soprattutto, la rosa d’oro, le due più prestigiose attestazioni della benevolenza papale del tardo Medioevo. Nel primo caso si trattava di una spada
onorifica destinata ai condottieri che si erano distinti nella difesa della cristianità o nel servizio
della Santa Sede, come Federico III d’Asburgo, il marchese Alberto Achille del Brandeburgo,
il duca Filippo di Borgogna, il re Luigi XI di Francia e il doge di Venezia Cristoforo Moro2. Nel
secondo, invece, di un cespo di rose in oro e pietre preziose, o in alternativa di una singola rosa,
concesso a personalità e luoghi che il pontefice aveva particolarmente a cuore3. La rosa d’oro,
simbolo cristico il cui utilizzo era riservato al papa, era connessa alla celebrazione della quarta
domenica di Quaresima, detta Dominica Laetare Ierusalem in omaggio all’omonimo cantico del
profeta Isaia (54,1; cfr. 66,10) e all’introito della Messa4. Tale celebrazione, ancora oggi, segna una
pausa nel cammino penitenziale della Quaresima, consentendo il ricorso al colore liturgico rosa
al posto del viola5.
Da fine umanista e da scaltro diplomatico quale era, negli anni del suo pontificato, Pio II ricorse al dono della rosa d’oro per intessere relazioni culturali e politiche e per rimarcare i suoi patrocini territoriali, come attestano le commissioni a Simone Ghini dei sei esemplari menzionati
nei documenti vaticani, donati rispettivamente: nel 1459 al Comune di Siena «per il suo glorioso
N
1 E. Müntz, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et XVIe siècle. Recueil de documents inédits tirés des archives et des
bibliothèques romaines. Martin V-Pie II (1417-1464), Parigi 1878, pp. 302 e sgg. Per gli anni precedenti si veda A. M. Corbo,
Artisti e artigiani in Roma al tempo di Martino V e di Eugenio IV, Roma 1969, pp. 117 e sgg.
2 Ibidem.
3 Sulla rosa d’oro cfr. A. Schield, The Golden Rose, in «The Month», XCV (1900), pp. 294-304; E. Cornides, Rose und
Schwert im päpstlichen Zeremoniell. Von den Anfängen bis zum Pontifikat Gregors XIII, Vienna 1967; C. Burns, Golden
Rose and Blessed Sword, Glasgow 1970; M. Dykmans, Le cérémonial papal de la fin du Moyen Âge à la Renaissance, 4 voll.,
Bruxelles-Roma 1977-1985, vol. I, pp. 35-38; K. Otavsky, La Rose d’or du Musée de Cluny, in «Revue du Louvre», XXXVI
(1986), pp. 379-385, in particolare p. 381; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, Torino 1994, pp. 115-117; N. J. Morgan, Papal rose (ad vocem), in The Dictionary of Art, vol. XXIV, New York 1996, pp. 36-37; A. Paravicini Bagliani, Le
Chiavi e la Tiara. Immagini e simboli del papato medievale, Roma 1998, seconda ed. con aggiunte, Roma 2005, pp. 56-58;
Id., Autour de la Rose d’or du ‘comte de Neuchâtel’ au Musée de Cluny, in In dubiis libertas. Mélanges d’Histoire offerts au
professeur Rémy Scheurer, a cura di P. Henry, M. de Tribolet, Hauterive 1999, pp. 59-65; Id., La rosa d’oro, in Studi sulle
società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto, P. Supino Martini, 2 voll., Firenze 2002, vol. I, pp.
439-441. Lo stelo poteva essere anche in argento, come nel caso della rosa donata da Bonifacio IX (1389-1404) ad Astorgio
Manfredi, per il quale si veda l’inventario del 25 giugno 1488 conservato nell’Archivio Notarile di Faenza (d’ora in poi
ANF), ms. 1488-1°, f. 234v: «Jtem rosa aurea cum pede argentj, que vulgariter dicitur “la roxa”».
4 Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, a cura di P. Fabre, L. Duchesne, 3 voll., Parigi 1889-1952, vol. II, nr. 36, p. 150.
5 P. Guéranger, L’anno liturgico. Avvento-Natale-Quaresima-Passione, Alba 1959, pp. 586-592.
83
estratto
passato» nella persona di Niccolò Buoninsegni, priore della città6, e a un ignoto destinatario7;
nel 1460 a Giovanni II d’Aragona e Navarra; nel 1462 al natio borgo di Corsignano (Pienza) e a
Tommaso Paleologo, despota di Morea e fratello del deposto imperatore d’Oriente Costantino XI;
nel 1464 al duca di Milano Francesco Sforza. L’ignoto destinatario potrebbe essere identificato
– come si propone in questa sede – con Ludovico II Gonzaga, marchese di Mantova, che dal 27
maggio 1459 al 19 gennaio 1460 ospitò nel suo marchesato l’omonimo Concilio che deliberò in
merito alla riconquista di Costantinopoli, sottratta dagli Ottomani ai Paleologhi nel 1453. Il 18
dicembre 1461 Gonzaga ricevette in segno di apprezzamento da Pio II la creazione a cardinale del
figlio Francesco con il titolo di Santa Maria Nuova (1461-1483) e, come ha documentato Roberto
Brunelli, in data non meglio precisata la rosa d’oro8. Delle rose d’oro realizzate da Ghini si conserva il solo esemplare donato al Comune di Siena, esposto nell’anticappella del Museo Civico del
Palazzo Pubblico senese (tav. 23). Da un singolo stelo verticale, munito di grosse spine ricurve, si
sviluppa un cespo di rose finemente modellate, delle quali la centrale sovrasta le restanti, mentre
uno zaffiro di colore blu simula l’effetto di una goccia di rugiada che scivola delicatamente sulle
foglie. Lo stelo è innestato su due ampolle sovrapposte, dalla classica forma globulare con collo
svasato, che fanno memoria dell’acqua e del vino del sacrificio eucaristico. La composizione è
conclusa da una base quadrangolare in legno.
Origine, simbologia e conferimento della rosa d’oro
Prima di proseguire con la presente disamina, è opportuno soffermarsi seppur brevemente sul
complesso significato simbolico della rosa d’oro, le cui attestazioni documentarie più antiche
risalgono al principio del pontificato di Leone IX (1049-1054), quando la badessa del monastero
benedettino di Sainte-Croix-en-Plaine, noto anche come Heiligenkreuz, a Woffenhein in Alsazia,
fondato dai genitori del papa e posto sotto la giurisdizione petrina, inviava a Roma, con cadenza
annuale e almeno otto giorni prima della domenica Laetare, la rosa, del peso di due once (54,50
grammi) e fabbricata «sicut fieri solet»9: formula latina che lascerebbe intendere – secondo
Joseph Catalano e Gaetano Moroni – l’esistenza di una consolidata tradizione10. Nella quarta
domenica di Quaresima il papa portava la rosa in processione equestre dalla basilica di Santa
Croce in Gerusalemme, immagine della Gerusalemme celeste, fino al Palazzo del Laterano,
dove la offriva al prefetto di Roma (praefectus Urbi). Dai cerimoniali papali del XII secolo – gli
ordines di Albino (1189) e Cencio (1192) – si apprende che l’inizio del pontificato era segnato dal
possesso simbolico della rosa d’oro unta di balsamo11, che il neoeletto riceveva nella sua camera
6 Cfr. M. Collareta, Rosa d’oro (scheda di catalogo), in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena. 1450-1500, catalogo della mostra (Siena, Chiesa di Sant’Agostino, aprile-luglio 1993), a cura di L. Bellosi, Milano 1993, cat. 11, pp. 146-147;
Museo Diocesano di Pienza, a cura di L. Martini, Siena 1998, p. 90; L. Martini, Le opere, gli ambienti. Tabulae picta e altri
ornamenti per la Cattedrale di Pienza, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A.
Angelini, Cinisello Balsamo 2005, pp. 275-277.
7 E. Müntz, Les arts…, cit., pp. 313 e sgg.
8 F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, 5 voll., Mantova 1954-1957, vol. I, p. 120; R. Brunelli, I Gonzaga e
la Chiesa. Passaggi di una relazione plurisecolare, in I Gonzaga e i Papi. Roma e le corti padane fra Umanesimo e Rinascimento (1418-1620), atti del convegno (Mantova-Roma, 21-26 febbraio 2013), a cura di R. Salvarani, Città del Vaticano 2013, pp.
29-42, in particolare p. 34. Sulla scelta di Mantova e sul ruolo di Ludovico Gonzaga cfr. G. B. Picotti, La dieta di Mantova e
la politica dei veneziani, Venezia 1912, pp. 58-64; I. Bini, Mantova sede papale durante la dieta convocata da Pio II, in «Civiltà
Mantovana», III (1984), pp. 7-27; R. Tamalio, La memoria dei Gonzaga. Repertorio bibliografico gonzaghesco (1473-1999),
Firenze 1999, pp. 12-14.
9 Papa Leone IX, Epistolae et decreta pontificia, in Patrologiae Cursus Completus. Series Latina, a cura di J. P. Migne, vol.
CXLIII, Parigi 1853, coll. 591-804, in particolare col. 635.
10 G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol. LIX, Venezia 1852, p. 115;
J. Catalano, Sacrarum Caeremoniarum sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, 2 voll., Roma 1750-1751,
vol. I, pp. 265 e sgg. Cfr. inoltre A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., p. 134, nota 35; Id., Le Chiavi…, cit., p. 56.
11 Le Liber Censuum…, cit., vol. II, nr. 17, p. 294.
84
estratto
privata dalle mani del camerlengo e nel cui bocciolo versava del muschio, simbolo del «buon
profumo di Cristo» (2 Cor 2,15)12. Per Innocenzo III (1198-1216) la rosa rappresentava la triplice
substantia di Cristo («deitas, corpus, et anima»), per cui l’oro corrispondeva alla sua divinità,
il muschio alla sua umanità e il balsamo al suo spirito razionale13. Il suo successore, Onorio III
(1216-1227), andò ben oltre sostenendo, nei due sermoni significativamente intitolati De Laetare,
che la rosa rappresentava la Santissima Trinità, poiché l’oro è simbolo della potenza del Padre,
il muschio della sapienza del Figlio e il balsamo dell’amore dello Spirito Santo che congiunge le
due persone14. Se la rosa d’oro era – come scrive Eugenio III (1145-1153) ad Alfonso di Castiglia –
«segno della Passione e della Resurrezione di Gesù Cristo nostro Signore»15, esistevano ragioni
ben precise per cui il solo Vicario di Cristo in terra dovesse avere il monopolio di tale simbolo
cristico, portandolo in processione e concedendolo in segno di omaggio. Tanto più perché,
secondo Innocenzo III, «hunc ergo florem Romanus pontifex repraesentat»16.
La processione che da Santa Croce in Gerusalemme raggiungeva il Palazzo lateranense è descritta nell’Ordo XI di Benedetto, canonico di San Pietro dal 1140 al 1143, che riferisce della
prassi del papa di tenere in mano la rosa d’oro – non priva delle spine, come attesta l’esemplare
senese (tav. 23) – per tutto il tempo dell’omelia, dedicata alla simbologia del fiore medesimo e, in
particolare, al significato dei suoi colori e del suo odore:
«Dominica Letare Iherusalem, stacio ad Iherusalem in palatio Susurriano, ubi domnus pontifex
honorifice cantar Missam, habens in manu sua rosam de auro cum musco. Post Evangelium ascendit
pulpitum et predicat de flore et rubore rose et odore, ostendens eam populo. Deinde tractat de Evangelio.
Factis laudibus et finita Missa, ibi accipit coronam et coronatus cum processione, sicut mos est, redit ad
palatium. Longe ante descensum pontificis descendit prefectus et pedester adextrat eum usque ad locum
ubi pontifex descensurus est. Ibi dat ei rosam et prefectus osculatur pedes ejus. Acceptis laudibus et
celebrata corona sicut mos est, omnes redeunt ad propria»17.
La consegna della rosa d’oro al prefetto dell’Urbe era volta tanto al riconoscimento del prestigio della città e del suo rappresentante investito di funzioni giurisdizionali, che era pur sempre
tenuto a manifestare la propria sottomissione al pontefice con il bacio della sacra pantofola18,
quanto all’affermazione dell’auctoritas papale, radicata nella tradizione imperiale romana19. In
altri casi, il dono della rosa d’oro poteva esprimere gratitudine per l’accoglienza e l’ospitalità
riservate al papa, come nei casi degli esemplari offerti da Urbano II (1088-1099) al conte Folco
d’Angiò nel corso del suo soggiorno a Tours del 109720, da Innocenzo IV (1243-1254) al capitolo
dei canonici di San Giusto a Lione per la sua permanenza dal 1245 al 1251, di cui si conserva nel-
12 A. Rocca, Thesaurus pontificiarum sacrarumque antiquitatum, 2 voll., Roma 1745, vol. I, p. 208. Cfr. A. Paravicini
Bagliani, Il corpo…, cit., p. 116.
13 Papa Innocenzo III, Sermones de Tempora (Sermo XVIII), in Patrologiae Cursus Completus…, cit., vol. CCXVII, Parigi
1855, coll. 393-398, in particolare col. 395. Cfr. E. Eichmann, Weihe und Krönung des Papstes im Mittelalter, Monaco di
Baviera 1951, p. 50; E. Cornides, Rose…, cit., p. 29; A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., p. 116, nota 39.
14 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (d’ora in poi BNCR), ms. Sess. 51. Cfr. inoltre C. Horoy, Honorii III opera omnia,
in Medii aevi Bibliotheca Patristica ab anno 1217 usque ad Concilii Tridentini tempora, 4 voll., Parigi 1879-1883, vol. I, pp.
787-805.
15 Papa Eugenio III, Epistolae et privilegia, in Patrologiae Cursus Completus…, cit., vol. CLXXX, Parigi 1855, coll. 10131648, in particolare col. 1346.
16 Papa Innocenzo III, Sermones…, cit., coll. 393-398, in particolare col. 395.
17 Le Liber Censuum…, cit., vol. II, nr. 36, p. 150. Cfr. A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., pp. 115, 134, nota 35.
18 Si veda T. De Giorgio, Il piede del papa. Il bacio della sacra pantofola tra Medioevo ed età moderna: origine, significato e
nuove prospettive d’indagine iconografica, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia»,
XI (2019), 2, pp. 581-599, 767-777.
19 R. Krautheimer, Rome: Profile of a City 312-1308, Princeton 1980, pp. 32-34.
20 O. Holder-Egger, Chronicon Sancti Martini Turonensis, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, vol. XXVI,
Hannover 1882, p. 461.
85
estratto
la Biblioteca Apostolica Vaticana un disegno settecentesco (tav. 24)21, e da Pio II al menzionato
Ludovico II Gonzaga.
Omaggio alla vecchia e nuova Bisanzio
Ritornando al Concilio di Mantova, promosso da Pio II subito dopo la sua elezione per attuare,
d’intesa con i rappresentanti delle potenze italiane e degli stati europei, quel «piano di salvataggio
occidentale di Bisanzio», secondo la formula coniata da Silvia Ronchey22. Il progetto di Pio II –
come ha rilevato la studiosa – non si limitava alla pianificazione di una mera crociata antiturca,
ma doveva essere finalizzato a una vera e propria «rifondazione occidentale» di Bisanzio, che
avrebbe avuto indubbie ripercussioni sul piano geopolitico e religioso23. La questione orientale
interessava, oltre al papato, le principali signorie italiane, pronte a schierarsi al fianco di Pio II
e a dispiegare risorse economiche e umane: gli Sforza, i Montefeltro, gli Este e, soprattutto, i
Malatesta, i Gonzaga e i Monferrato, che, grazie alla loro cultura filoellenica e a una fitta rete di
relazioni diplomatiche, erano riusciti a imparentarsi con gli ultimi sovrani bizantini24. Teodoro II
Paleologo, figlio del basileus Manuele II e despota di Mistrà, aveva infatti contratto matrimonio il
19 gennaio 1420, nella solennità della santa Teofania, con Cleopha Malatesta, figlia di Malatesta
IV Malatesta, imparentata per parte di padre con i Gonzaga, gli Sforza e i Montefeltro, e per
parte di madre con i Colonna 25. Con lettera datata 8 aprile 1418, Martino V Colonna (1417-1431),
in vista del matrimonio della cugina, aveva concesso agli eredi maschi di Manuele II – oltre a
Teodoro, figuravano Giovanni VIII, imperatore dal 1425 al 1448, Costantino XI, imperatore fino
al fatidico 1453, Andronico, despota di Tessalonica dal 1408 al 1423, Demetrio, despota di Morea
dal 1449 al 1460, e Tommaso – la licenza pontificia di sposare fanciulle latine, a condizione che
queste ultime conservassero la loro confessione cattolica. Il 19 gennaio 1421, a un anno esatto dal
matrimonio del fratello, Giovanni VIII Paleologo, forte del beneplacito papale, sposò, in seconde
nozze, Sofia di Monferrato, che – seppure per un solo anno – divenne imperatrice bizantina,
prima di essere ripudiata perché ritenuta sterile.
Con la conquista ottomana di Costantinopoli, e la conseguente morte di Costantino XI, gli
ultimi avamposti bizantini erano nelle mani dei fratelli Paleologhi Demetrio e Tommaso, che
si erano rispettivamente schierati al fianco degli invasori il primo e delle potenze occidentali
il secondo. Tommaso era dunque, agli occhi dell’Occidente, il legittimo pretendente al trono di
Bisanzio e come tale venne convocato dal papa, per il tramite del cardinale Bessarione, per pianificare gli ambiziosi progetti del suo insediamento e della conseguente unificazione delle Chiese
di Roma e di Costantinopoli. Nel novembre 1460 Tommaso approdò al molo di Ancona, intenzionato a concludere l’accordo con l’Occidente. A suggello dell’accordo, il Paleologo recava con sé
alcuni preziosi doni per il papa dei quali molto si è scritto, a partire dalla compiaciuta relazione
autobiografica di Enea Silvio Piccolomini nei suoi Commentarii: le reliquie del capo dell’apostolo
Andrea e del braccio del precursore di Cristo, messe in salvo in occasione della caduta di Costan-
21 Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV), Barb. Lat. 3030, f. 94r. Cfr. E. Cornides, Rose…, cit., p. 76; A. Paravicini Bagliani, Le Chiavi…, cit., p. 58, fig. 44.
22 S. Ronchey, Malatesta-Paleologhi: un’alleanza dinastica per rifondare Bisanzio nel quindicesimo secolo, in «Byzantinische Zeitschrift», XCIII (2000), pp. 521-567, in particolare pp. 532-543; Ead., L’enigma di Piero: l’ultimo bizantino e la
crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro, Milano 2006, pp. 190-191.
23 S. Ronchey, Il «Salvataggio occidentale» di Bisanzio. Una lettera di Enea Silvio Piccolomini e l’allegoria pittorica di Bisanzio nel primo Rinascimento, in Bisanzio, Venezia e il mondo franco-greco (XIII-XV secolo), atti del convegno (Venezia, 1-2
dicembre 2000), a cura di C. A. Maltezou, P. Schreiner, Venezia 2002, pp. 125-150, in particolare pp. 134-135.
24 D. A. Zakythinos, Le déspotat grec de Morée, Parigi 1932-1953, ed. rivista e ampliata a cura di C. Maltezou, 2 voll.,
Londra 1975, vol. I, pp. 207 e sgg.; S. Ronchey, Malatesta-Paleologhi…, cit., p. 535, note 64-65; Ead., Il «Salvataggio occidentale»…, cit., p. 137.
25 G. Coniglio, I Gonzaga, Milano 1967, pp. 33, 41, 51.
86
estratto
tinopoli, e un raffinato piviale opus anglicanum26. Si trattava di doni profondamente simbolici,
giacché Andrea era il patrono principale del Peloponneso, dove insisteva il despotato di Morea, e
il Battista il protettore della famiglia dei Paleologhi.
Lo scambio dei doni tra il papa e Tommaso Paleologo avvenne nei momenti più carichi di
significato dell’anno liturgico, ovvero nel corso della Quaresima e della Settimana santa del 1462:
nella Dominica Laetare, secondo l’usanza, Pio II offrì la rosa d’oro a Tommaso, al quale aveva
concesso anche una generosa rendita (trecento monete d’oro mensili, alle quali il Collegio cardinalizio ne aveva aggiunte altre duecento) e l’ospitalità negli alloggi della Confraternita di Santo
Spirito in Sassia 27; nella domenica delle Palme giunse, invece, da Narni a Roma, la reliquia del
capo di sant’Andrea che, nella successiva domenica di Pasqua, il papa ordinò che fosse trasferita
a Castel Sant’Angelo, per poi trovare degna collocazione accanto alle spoglie di Pietro, fratello di
Andrea, nella basilica vaticana. Artefice del busto reliquiario del capo di sant’Andrea, pervenuto
in tempi recenti al Museo Diocesano di Pienza, fu ancora una volta l’orafo papale Simone Ghini,
che decorò la base con stemmi piccolominei e, tra novembre e dicembre 1463, ricevette un compenso totale di 834 ducati (tav. 25)28.
Ma cosa sottendeva la consegna della rosa d’oro all’ultimo dei principi porfirogeniti? Un
omaggio al prestigio storico di Bisanzio o un riconoscimento al suo rappresentante per avere
accolto l’invito del papa? O forse entrambe le cose? Certo è che la critica moderna non si è interrogata sul significato di tale consegna, considerata una micro-vicenda a margine di una macro-vicenda ampiamente dibattuta. Simbolo dai significati in prevalenza binari, la rosa d’oro
– come abbiamo visto – poteva identificare la duplice natura di Gesù Cristo, la sua Passione e la
sua Resurrezione, il vicario di Cristo e Cristo medesimo, e finanche la Santissima Trinità. Tuttavia, non doveva sfuggire a Pio II un ulteriore significato della rosa, connesso alla contingenza
del salvataggio di Bisanzio, ovvero l’unione tra Chiesa latina e Chiesa bizantina. Dagli scritti del
Piccolomini si desume, infatti, che la nuova Bisanzio avrebbe dovuto avere il suo centro politico
e religioso a Roma, che avrebbe così assunto il titolo di «Suprema Petri et Pauli Apostolorum
Sede»29. Nelle intenzioni del Piccolomini, Pietro e Paolo, Occidente e Oriente, Roma e Bisanzio,
papa e basileus si rinsaldavano per ricomporre, nella Concordia Apostolorum, il grande scisma
del 1054. E la rosa d’oro doveva fungere da simbolo di tale ricomposizione, che aveva i suoi due
poli di riferimento in Pio II e in Tommaso Paleologo. Estremo omaggio al glorioso passato di
Bisanzio, la consegna ufficiale della rosa doveva infondere speranza in un altrettanto glorioso
futuro sotto l’egida del papa umanista, che con la sua potestà avrebbe definitivamente affermato
il primato petrino, già sancito – del resto – l’11 ottobre 1446 dalla Dieta di Francoforte. Speranza,
però, destinata a infrangersi con la morte del papa nell’agosto del 1464 e di Tommaso Paleologo
nel maggio dell’anno successivo. L’omaggio al passato bizantino doveva così avere la meglio sul
miraggio di un futuro che vedeva il papa assurgere a pastore supremo della Cristianità.
26 Enea Silvio Piccolomini, I commentarii, a cura di L. Totaro, Milano 1985, pp. 1495-1557; Il piviale di Pio II, a cura di L.
Martini, Cinisello Balsamo 2001, pp. 15-25.
27 P. De Angelis, L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia: dal 1301 al 1500 (Collana di studi storici sull’ospedale di Santo Spirito in Saxia et sugli ospedali romani, 23), Roma 1962, pp. 73-75; P. Helas, Kunst und visuelle Präsenz zweier Hospitäler in
Rom: Santo Spirito in Sassia und Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum am Lateran zwischen dem 14. und frühen 16.
Jahrhundert, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», XLI (2013-2014), pp. 9-109; A. Esposito, La multiforme
attività assistenziale dell’ospedale di Santo Spirito nel tardo medioevo, in Vivere la misericordia nel Trecento: Le miniature
del “Liber Regulae” dell’ospedale romano di Santo Spirito in Sassia, a cura di L. Leli, Roma 2018, pp. 77-84, con bibliografia
precedente.
28 J. Pieper, Pienza: der Entwurf einer humanistischen Weltsicht, Stoccarda 1997, pp. 124-125, note 352-354.
29 K. M. Setton, The papacy and the Levant (1204-1571). The fifteenth century, Philadelphia 1978, pp. 247-257, 276-303, 317328; S. Ronchey, Il «Salvataggio occidentale»…, cit., p. 143.
87
estratto
Valenza multisensoriale della rosa d’oro
Per concludere, è interessante soffermarsi su un aspetto connesso alla liturgia della rosa d’oro
del tutto trascurato dalla critica e meritevole di approfondimento per la sua potente valenza
comunicativa: la facoltà di indurre una risposta multisensoriale nel papa e nei fedeli. Oltre alla
vista, il manufatto coinvolgeva tatto, udito, gusto e odorato. Dopo aver mostrato al clero e al
popolo dei fedeli la rosa, «quem manu gerebat»30, il papa dedicava l’omelia all’esaltazione delle
sue caratteristiche organolettiche, discettando sulla sua composizione materica, sui suoi colori,
sul suo profumo, sulle sue spine e sul suo significato simbolico. Sebbene solo al papa spettasse
toccare e percepire l’odore della rosa durante la Messa e la conseguente processione, il fedele era
interamente coinvolto dalla liturgia che, facendo appello ai suoi sensi, innescava associazioni
mentali e reazioni fisiche che avevano il potere di infiammare lo spirito e di offrire conforto
nelle avversità. Preziosa in proposito è la testimonianza del cronista francescano Salimbene de
Adam da Parma, datata 4 marzo 1285 e maturata nel solco del magistero dei primi due papi del
Duecento:
«Questa rosa è d’oro e contiene in sé muschio e balsamo. E in queste cose è significata la trinità delle
sostanze di Cristo. Nell’oro, che è il più nobile dei metalli, è significata l’eccellenza della divinità […] Nel
balsamo, che è caldo ed odorifero, è significata l’anima di Cristo, che fu piena di ferventissima carità […]
E l’odore dei carismi spirituali si sparge ovunque […] Nel muschio, che nasce dalla carne dell’unicorno
e con il suo aroma conforta le membra spirituali, è significato il corpo di Cristo, assunto dall’umanità di
Adamo, il quale per il profumo della sua passione conforta i fedeli a sopportare le avversità»31.
Ciascun senso veniva attivato con precisi rimandi per interagire con gli altri e raggiungere
quella sinestesia necessaria a produrre effetti benefici a livello del corpo e dello spirito. La rosa
d’oro, pertanto, si configurava come uno strumento privilegiato per ascendere, grazie all’intermediazione del papa, nella contemplazione di Dio. La lucentezza dell’oro percepita attraverso la
vista e rappresentante lo splendore di Dio, le fragranze del balsamo e del muschio percepite attraverso l’olfatto e rappresentanti il «buon profumo di Cristo»32, l’intrinseco richiamo della rosa al
buon sapore del pane eucaristico percepito attraverso il gusto e le parole del papa colte attraverso
l’udito e rappresentanti la voce del buon pastore permettevano al popolo di Dio di intraprendere tale percorso di ascensione. Alessandro III (1159-1181), nella sua lettera indirizzata al re di
Francia Luigi VII, insiste sulla valenza purificatrice della rosa, il cui profumo prevale sugli odori
circostanti al pari della risurrezione di Cristo che prevale sul fetore del peccato:
«Odor autem hujus floris, resurrectionis ejus gloriam praefigurat […] Sane hujus mundi anfractus et
climata, omnium scelerum foeditate concreta, tantus odor Dominicae resurrectionis aspersit, ut nulla
pars orbis alienam se ab odore isto sentiat vel expertem, sed omnes se gaudeant odore hoc suavissimo
spirituales nequitias in coelestibus jam vicisse»33.
Nell’omelia pronunciata in occasione della Dominica Laetare Sive de Rosa, Innocenzo III esalta apertamente la natura multisensoriale della rosa e le sue tre principali proprietà: «la carità nel
colore, la gioia nel profumo, la sazietà nel sapore»34; pone quindi la rosa – immagine del sacrificio
di Cristo – in collegamento diretto con il sacramento del pane eucaristico, che nutre a sazietà il
fedele (cfr. Gv 6,35) dilettandone la vista, inebriandone l’olfatto con il suo profumo olezzante (cfr.
Ct 1,3) e appagandone il gusto (cfr. Sap 16,20):
O. Holder-Egger, Chronicon…, cit., p. 461.
Salimbene de Adam da Parma, Cronaca, a cura di B. Rossi, Bologna 1987, p. 769.
32 A. Rocca, Thesaurus…, cit., p. 208.
33 Recueil des historiens des Gaules et de la France, vol. XV, Parigi 1808, seconda ed. a cura di M. J. J. Brial, Parigi 1878,
p. 794.
34 Papa Innocenzo III, Sermones…, cit., coll. 393-398, in particolare col. 394.
30
31
88
estratto
«Haec tria pariter designantur in tribus proprietatibus hujus floris, quem vobis visibiliter praesentamus.
Charitas, in colore; jucunditas, in odore; satietas, in sapore; rosa quippe prae caeteris floribus colore
delectat, odore recreat, sapore confortat; delectat in visu, recreat in olfactu, confortat in gustu […]
Qui odore recreat in olfactu, quia “meliora sunt ubera tua vino, fragrantia unguentis optimis”. Quem
adolescentulae dilexerunt, quia “currunt in odore ungentorum suorum” (Ct 1,2-3). Qui sapore confortat
in gustu, quia panis quem ipse dat, caro sua est, pro mundi vita (Gv 6,51), omne delectamentum habens,
et omnis saporis suavitatem (Sap 16,20)»35.
35
Ivi, coll. 394-395.
89
estratto
Tav. 23. Simone di Giovanni Ghini, Rosa d’oro. Siena, Museo Civico.
145
estratto
Tav. 24. Rosa d’oro donata da Innocenzo
IV al Capitolo dei canonici di San Giusto a
Lione, penna su carta. Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb.
Lat. 3030, f. 94r.
Tav. 25. Simone di Giovanni Ghini,
Busto-reliquiario di sant’Andrea,
argento fuso, sbalzato, cesellato,
bulinato e dorato con inserimento di
gemme. Pienza, Museo Diocesano.
146
estratto
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI DICEMBRE 2022
www.gangemieditore.it
estratto
In copertina: Giovanni Lanfranco e bottega, Ambasceria cinese, affresco.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala Regia. Per gentile concessione del Segretariato
Generale della Presidenza della Repubblica - © Foto G. Schiavinotto.
estratto
«Anche i doni hanno la loro stella. Il S. Pietro in mosaico
che S.S. ha destinato per S.M. Prussiana ne ha avuta una
di veramente benefico influsso. Il S.P. non avrebbe mai
creduto che un oggetto così tenue meritar potesse cotanto
la soddisfazione d’un re sì potente. S.M. vi ha certamente
ravvisato un pegno d’un vero e distinto attaccamento per
parte del donatore, ed in ciò non si è ingannato»
Minuta del cardinale Giulio Maria Cavazzi della Somaglia al
rappresentante diplomatico prussiano Christian Karl Josias
von Bunsen, 12 giugno 1825.
WORLDWIDE DISTRIBUTION
EBOOK /APP:
& DIGITAL VERSION
www.gangemieditore.it