(PDF) "Una rosa d’oro per Bisanzio. Pio II, Tommaso Paleologo e l’omaggio papale al «glorioso passato» bizantino", in "Le arti e gli artisti nella rete della diplomazia pontificia", Roma 2022, pp. 83-89, 145-146. | Teodoro De Giorgio - Academia.edu
Le arti e gli artisti nella rete della diplomazia pontificia estratto dal volume a cura di MARCO COPPOLARO GIULIA MURACE GIANLUCA PETRONE Arte / Storia estratto La pubblicazione è frutto delle giornate internazionali di studio tenute presso la Pontificia Università Gregoriana il 15 e il 16 ottobre 2021 con il coordinamento scientifico di Ilaria Fiumi Sermattei e Roberto Regoli. Comitato scientifico: Stefano Andretta, Giovanna Capitelli, Cristiano Giometti, Silvano Giordano, Laura Iamurri, Massimo Moretti, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Roberto Regoli, Alessandro Zuccari. Il presente volume è stato realizzato grazie a: © Proprietà letteraria riservata Gangemi Editore spa Via Giulia 142, Roma www.gangemieditore.it Nessuna parte di questa pubblicazione può essere memorizzata, fotocopiata o comunque riprodotta senza le dovute autorizzazioni. Le nostre edizioni sono disponibili in Italia e all’estero anche in versione ebook. Our publications, both as books and ebooks, are available in Italy and abroad. ISBN 978-88-492-4576-9 I testi del presente volume sono stati sottoposti a double-blind peer review. estratto LE ARTI E GLI ARTISTI NELLA RETE DELLA DIPLOMAZIA PONTIFICIA a cura di MARCO COPPOLARO - GIULIA MURACE - GIANLUCA PETRONE estratto Sommario Arte e diplomazia pontificia. Alcune note introduttive allo studio di un rapporto complesso 7 Marco Coppolaro - Giulia Murace - Gianluca Petrone prima parte Strategie e pratiche della diplomazia culturale: mecenati, committenti e agenti Juan de Marrades e il San Giovanni Battista di Niccolò dell’Arca alla corte dei Borgia Antonella Parisi Il dono numismatico di Sisto V ai Principi «moderni» e una singolare interpretazione del solido di Arcadio in una lettera del cardinale Montalto (scritta da Antonio Maria Graziani) Massimo Moretti 13 21 Un agente segreto del cardinale Mazzarino a Roma: padre François Duneau SJ e le arti (1652-1661) Yvan Loskoutoff 25 Roma-Varsavia-Vienna. Cultura artistica e cultura materiale nella nunziatura di Polonia di Andrea Santacroce Cecilia Mazzetti di Pietralata 33 L’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Portogallo e la Santa Sede nel 1728: l’impatto sugli artisti e sulle commissioni in corso Teresa Leonor M. Vale 43 Mecenatismo tra diplomazia e tentativi di autopromozione: la serie Chigi Zondadari Vincenzo Stanziola 51 La imagen de Pío IX en un contexto republicano: delicados equilibrios diplomáticos Marcela Drien - Fernando Guzmán 57 seconda parte Scambi di doni diplomatici: un intreccio di valori religiosi, politici e culturali Una rosa d’oro per Bisanzio. Pio II, Tommaso Paleologo e l’omaggio papale al «glorioso passato» bizantino Teodoro De Giorgio Un dono di Pio V a Filippo II: il viaggio in Spagna di dodici busti di imperatori romani Carme Narváez La distribuzione degli agnus dei: una via della politica diplomatica pontificia in epoca moderna (1550-1600) Minou Schraven 83 91 99 estratto Stocco e berrettone: doni papali ai gran maestri di Malta quali difensori della Chiesa Sante Guido 109 «Anche i doni hanno la loro stella». I doni diplomatici nell’età della Restaurazione pontificia Ilaria Fiumi Sermattei 119 Malachite as material and symbol in diplomatic relations between the Russian Empire and the Holy See in the 19th Century Ludmila A. Budrina 129 Doni per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Politica delle arti, strategie diplomatiche e rivendicazioni identitarie Manuel Barrese 137 terza parte L’artista e le opere nelle dinamiche diplomatiche: la peculiarità di Roma Il Primaticcio a Roma: tra diplomazia e antiquaria Carmelo Occhipinti 163 L’enciclopedia del mondo. Paolo V Borghese alla prova della “globalizzazione” nella Sala Regia al Quirinale Loredana Lorizzo 171 Il Vascello di Francia. La celebrazione della monarchia francese nella residenza dell’abate Elpidio Benedetti Riccardo Gandolfi 179 Domenico Guidi, il principe Vaini e una statua raffigurante Luigi XIV. Il valore diplomatico di un’iconografia del potere negli equilibri tra Francia, Impero e Papato Marco Coppolaro 187 Antonio Canova e la diplomazia artistica. Per una lettura storica del Monumento Stuart nel quadro dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e corona britannica Alessio Costarelli 197 Il «Canova conquistatore». Storie di opere, principi e diplomazia al tempo di Pio VII Lisa Cattaneo Ferdinando Cavalleri pittore: relazioni diplomatiche tra la corte sabauda, l’aristocrazia anglosassone e la corte pontificia nella prima metà dell’Ottocento Laura Facchin 203 225 estratto estratto Una rosa d’oro per Bisanzio. Pio II, Tommaso Paleologo e l’omaggio papale al «glorioso passato» bizantino Teodoro De Giorgio ei documenti dell’Archivio Vaticano, pubblicati da Eugène Müntz nel 1878, il nome di Simone di Giovanni Ghini, «aurifaber florentinus» operante a Roma dal 1434 al 1475, ricorre, insieme a quello del suo allievo Marco Lazzari, in numerose note di pagamento della Camera Apostolica1. Già al servizio di Eugenio IV (1431-1447) e di Nicola V (1447-1455), fu l’orafo prediletto di Pio II Piccolomini (1458-1464) che, oltre alla tiara aurea per la sua incoronazione del 3 settembre 1458, gli commissionò doni diplomatici per regnanti e alti dignitari del suo tempo. Tra questi figuravano lo stocco pontificio e, soprattutto, la rosa d’oro, le due più prestigiose attestazioni della benevolenza papale del tardo Medioevo. Nel primo caso si trattava di una spada onorifica destinata ai condottieri che si erano distinti nella difesa della cristianità o nel servizio della Santa Sede, come Federico III d’Asburgo, il marchese Alberto Achille del Brandeburgo, il duca Filippo di Borgogna, il re Luigi XI di Francia e il doge di Venezia Cristoforo Moro2. Nel secondo, invece, di un cespo di rose in oro e pietre preziose, o in alternativa di una singola rosa, concesso a personalità e luoghi che il pontefice aveva particolarmente a cuore3. La rosa d’oro, simbolo cristico il cui utilizzo era riservato al papa, era connessa alla celebrazione della quarta domenica di Quaresima, detta Dominica Laetare Ierusalem in omaggio all’omonimo cantico del profeta Isaia (54,1; cfr. 66,10) e all’introito della Messa4. Tale celebrazione, ancora oggi, segna una pausa nel cammino penitenziale della Quaresima, consentendo il ricorso al colore liturgico rosa al posto del viola5. Da fine umanista e da scaltro diplomatico quale era, negli anni del suo pontificato, Pio II ricorse al dono della rosa d’oro per intessere relazioni culturali e politiche e per rimarcare i suoi patrocini territoriali, come attestano le commissioni a Simone Ghini dei sei esemplari menzionati nei documenti vaticani, donati rispettivamente: nel 1459 al Comune di Siena «per il suo glorioso N 1 E. Müntz, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et XVIe siècle. Recueil de documents inédits tirés des archives et des bibliothèques romaines. Martin V-Pie II (1417-1464), Parigi 1878, pp. 302 e sgg. Per gli anni precedenti si veda A. M. Corbo, Artisti e artigiani in Roma al tempo di Martino V e di Eugenio IV, Roma 1969, pp. 117 e sgg. 2 Ibidem. 3 Sulla rosa d’oro cfr. A. Schield, The Golden Rose, in «The Month», XCV (1900), pp. 294-304; E. Cornides, Rose und Schwert im päpstlichen Zeremoniell. Von den Anfängen bis zum Pontifikat Gregors XIII, Vienna 1967; C. Burns, Golden Rose and Blessed Sword, Glasgow 1970; M. Dykmans, Le cérémonial papal de la fin du Moyen Âge à la Renaissance, 4 voll., Bruxelles-Roma 1977-1985, vol. I, pp. 35-38; K. Otavsky, La Rose d’or du Musée de Cluny, in «Revue du Louvre», XXXVI (1986), pp. 379-385, in particolare p. 381; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, Torino 1994, pp. 115-117; N. J. Morgan, Papal rose (ad vocem), in The Dictionary of Art, vol. XXIV, New York 1996, pp. 36-37; A. Paravicini Bagliani, Le Chiavi e la Tiara. Immagini e simboli del papato medievale, Roma 1998, seconda ed. con aggiunte, Roma 2005, pp. 56-58; Id., Autour de la Rose d’or du ‘comte de Neuchâtel’ au Musée de Cluny, in In dubiis libertas. Mélanges d’Histoire offerts au professeur Rémy Scheurer, a cura di P. Henry, M. de Tribolet, Hauterive 1999, pp. 59-65; Id., La rosa d’oro, in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto, P. Supino Martini, 2 voll., Firenze 2002, vol. I, pp. 439-441. Lo stelo poteva essere anche in argento, come nel caso della rosa donata da Bonifacio IX (1389-1404) ad Astorgio Manfredi, per il quale si veda l’inventario del 25 giugno 1488 conservato nell’Archivio Notarile di Faenza (d’ora in poi ANF), ms. 1488-1°, f. 234v: «Jtem rosa aurea cum pede argentj, que vulgariter dicitur “la roxa”». 4 Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, a cura di P. Fabre, L. Duchesne, 3 voll., Parigi 1889-1952, vol. II, nr. 36, p. 150. 5 P. Guéranger, L’anno liturgico. Avvento-Natale-Quaresima-Passione, Alba 1959, pp. 586-592. 83 estratto passato» nella persona di Niccolò Buoninsegni, priore della città6, e a un ignoto destinatario7; nel 1460 a Giovanni II d’Aragona e Navarra; nel 1462 al natio borgo di Corsignano (Pienza) e a Tommaso Paleologo, despota di Morea e fratello del deposto imperatore d’Oriente Costantino XI; nel 1464 al duca di Milano Francesco Sforza. L’ignoto destinatario potrebbe essere identificato – come si propone in questa sede – con Ludovico II Gonzaga, marchese di Mantova, che dal 27 maggio 1459 al 19 gennaio 1460 ospitò nel suo marchesato l’omonimo Concilio che deliberò in merito alla riconquista di Costantinopoli, sottratta dagli Ottomani ai Paleologhi nel 1453. Il 18 dicembre 1461 Gonzaga ricevette in segno di apprezzamento da Pio II la creazione a cardinale del figlio Francesco con il titolo di Santa Maria Nuova (1461-1483) e, come ha documentato Roberto Brunelli, in data non meglio precisata la rosa d’oro8. Delle rose d’oro realizzate da Ghini si conserva il solo esemplare donato al Comune di Siena, esposto nell’anticappella del Museo Civico del Palazzo Pubblico senese (tav. 23). Da un singolo stelo verticale, munito di grosse spine ricurve, si sviluppa un cespo di rose finemente modellate, delle quali la centrale sovrasta le restanti, mentre uno zaffiro di colore blu simula l’effetto di una goccia di rugiada che scivola delicatamente sulle foglie. Lo stelo è innestato su due ampolle sovrapposte, dalla classica forma globulare con collo svasato, che fanno memoria dell’acqua e del vino del sacrificio eucaristico. La composizione è conclusa da una base quadrangolare in legno. Origine, simbologia e conferimento della rosa d’oro Prima di proseguire con la presente disamina, è opportuno soffermarsi seppur brevemente sul complesso significato simbolico della rosa d’oro, le cui attestazioni documentarie più antiche risalgono al principio del pontificato di Leone IX (1049-1054), quando la badessa del monastero benedettino di Sainte-Croix-en-Plaine, noto anche come Heiligenkreuz, a Woffenhein in Alsazia, fondato dai genitori del papa e posto sotto la giurisdizione petrina, inviava a Roma, con cadenza annuale e almeno otto giorni prima della domenica Laetare, la rosa, del peso di due once (54,50 grammi) e fabbricata «sicut fieri solet»9: formula latina che lascerebbe intendere – secondo Joseph Catalano e Gaetano Moroni – l’esistenza di una consolidata tradizione10. Nella quarta domenica di Quaresima il papa portava la rosa in processione equestre dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme, immagine della Gerusalemme celeste, fino al Palazzo del Laterano, dove la offriva al prefetto di Roma (praefectus Urbi). Dai cerimoniali papali del XII secolo – gli ordines di Albino (1189) e Cencio (1192) – si apprende che l’inizio del pontificato era segnato dal possesso simbolico della rosa d’oro unta di balsamo11, che il neoeletto riceveva nella sua camera 6 Cfr. M. Collareta, Rosa d’oro (scheda di catalogo), in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena. 1450-1500, catalogo della mostra (Siena, Chiesa di Sant’Agostino, aprile-luglio 1993), a cura di L. Bellosi, Milano 1993, cat. 11, pp. 146-147; Museo Diocesano di Pienza, a cura di L. Martini, Siena 1998, p. 90; L. Martini, Le opere, gli ambienti. Tabulae picta e altri ornamenti per la Cattedrale di Pienza, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A. Angelini, Cinisello Balsamo 2005, pp. 275-277. 7 E. Müntz, Les arts…, cit., pp. 313 e sgg. 8 F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, 5 voll., Mantova 1954-1957, vol. I, p. 120; R. Brunelli, I Gonzaga e la Chiesa. Passaggi di una relazione plurisecolare, in I Gonzaga e i Papi. Roma e le corti padane fra Umanesimo e Rinascimento (1418-1620), atti del convegno (Mantova-Roma, 21-26 febbraio 2013), a cura di R. Salvarani, Città del Vaticano 2013, pp. 29-42, in particolare p. 34. Sulla scelta di Mantova e sul ruolo di Ludovico Gonzaga cfr. G. B. Picotti, La dieta di Mantova e la politica dei veneziani, Venezia 1912, pp. 58-64; I. Bini, Mantova sede papale durante la dieta convocata da Pio II, in «Civiltà Mantovana», III (1984), pp. 7-27; R. Tamalio, La memoria dei Gonzaga. Repertorio bibliografico gonzaghesco (1473-1999), Firenze 1999, pp. 12-14. 9 Papa Leone IX, Epistolae et decreta pontificia, in Patrologiae Cursus Completus. Series Latina, a cura di J. P. Migne, vol. CXLIII, Parigi 1853, coll. 591-804, in particolare col. 635. 10 G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol. LIX, Venezia 1852, p. 115; J. Catalano, Sacrarum Caeremoniarum sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, 2 voll., Roma 1750-1751, vol. I, pp. 265 e sgg. Cfr. inoltre A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., p. 134, nota 35; Id., Le Chiavi…, cit., p. 56. 11 Le Liber Censuum…, cit., vol. II, nr. 17, p. 294. 84 estratto privata dalle mani del camerlengo e nel cui bocciolo versava del muschio, simbolo del «buon profumo di Cristo» (2 Cor 2,15)12. Per Innocenzo III (1198-1216) la rosa rappresentava la triplice substantia di Cristo («deitas, corpus, et anima»), per cui l’oro corrispondeva alla sua divinità, il muschio alla sua umanità e il balsamo al suo spirito razionale13. Il suo successore, Onorio III (1216-1227), andò ben oltre sostenendo, nei due sermoni significativamente intitolati De Laetare, che la rosa rappresentava la Santissima Trinità, poiché l’oro è simbolo della potenza del Padre, il muschio della sapienza del Figlio e il balsamo dell’amore dello Spirito Santo che congiunge le due persone14. Se la rosa d’oro era – come scrive Eugenio III (1145-1153) ad Alfonso di Castiglia – «segno della Passione e della Resurrezione di Gesù Cristo nostro Signore»15, esistevano ragioni ben precise per cui il solo Vicario di Cristo in terra dovesse avere il monopolio di tale simbolo cristico, portandolo in processione e concedendolo in segno di omaggio. Tanto più perché, secondo Innocenzo III, «hunc ergo florem Romanus pontifex repraesentat»16. La processione che da Santa Croce in Gerusalemme raggiungeva il Palazzo lateranense è descritta nell’Ordo XI di Benedetto, canonico di San Pietro dal 1140 al 1143, che riferisce della prassi del papa di tenere in mano la rosa d’oro – non priva delle spine, come attesta l’esemplare senese (tav. 23) – per tutto il tempo dell’omelia, dedicata alla simbologia del fiore medesimo e, in particolare, al significato dei suoi colori e del suo odore: «Dominica Letare Iherusalem, stacio ad Iherusalem in palatio Susurriano, ubi domnus pontifex honorifice cantar Missam, habens in manu sua rosam de auro cum musco. Post Evangelium ascendit pulpitum et predicat de flore et rubore rose et odore, ostendens eam populo. Deinde tractat de Evangelio. Factis laudibus et finita Missa, ibi accipit coronam et coronatus cum processione, sicut mos est, redit ad palatium. Longe ante descensum pontificis descendit prefectus et pedester adextrat eum usque ad locum ubi pontifex descensurus est. Ibi dat ei rosam et prefectus osculatur pedes ejus. Acceptis laudibus et celebrata corona sicut mos est, omnes redeunt ad propria»17. La consegna della rosa d’oro al prefetto dell’Urbe era volta tanto al riconoscimento del prestigio della città e del suo rappresentante investito di funzioni giurisdizionali, che era pur sempre tenuto a manifestare la propria sottomissione al pontefice con il bacio della sacra pantofola18, quanto all’affermazione dell’auctoritas papale, radicata nella tradizione imperiale romana19. In altri casi, il dono della rosa d’oro poteva esprimere gratitudine per l’accoglienza e l’ospitalità riservate al papa, come nei casi degli esemplari offerti da Urbano II (1088-1099) al conte Folco d’Angiò nel corso del suo soggiorno a Tours del 109720, da Innocenzo IV (1243-1254) al capitolo dei canonici di San Giusto a Lione per la sua permanenza dal 1245 al 1251, di cui si conserva nel- 12 A. Rocca, Thesaurus pontificiarum sacrarumque antiquitatum, 2 voll., Roma 1745, vol. I, p. 208. Cfr. A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., p. 116. 13 Papa Innocenzo III, Sermones de Tempora (Sermo XVIII), in Patrologiae Cursus Completus…, cit., vol. CCXVII, Parigi 1855, coll. 393-398, in particolare col. 395. Cfr. E. Eichmann, Weihe und Krönung des Papstes im Mittelalter, Monaco di Baviera 1951, p. 50; E. Cornides, Rose…, cit., p. 29; A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., p. 116, nota 39. 14 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (d’ora in poi BNCR), ms. Sess. 51. Cfr. inoltre C. Horoy, Honorii III opera omnia, in Medii aevi Bibliotheca Patristica ab anno 1217 usque ad Concilii Tridentini tempora, 4 voll., Parigi 1879-1883, vol. I, pp. 787-805. 15 Papa Eugenio III, Epistolae et privilegia, in Patrologiae Cursus Completus…, cit., vol. CLXXX, Parigi 1855, coll. 10131648, in particolare col. 1346. 16 Papa Innocenzo III, Sermones…, cit., coll. 393-398, in particolare col. 395. 17 Le Liber Censuum…, cit., vol. II, nr. 36, p. 150. Cfr. A. Paravicini Bagliani, Il corpo…, cit., pp. 115, 134, nota 35. 18 Si veda T. De Giorgio, Il piede del papa. Il bacio della sacra pantofola tra Medioevo ed età moderna: origine, significato e nuove prospettive d’indagine iconografica, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», XI (2019), 2, pp. 581-599, 767-777. 19 R. Krautheimer, Rome: Profile of a City 312-1308, Princeton 1980, pp. 32-34. 20 O. Holder-Egger, Chronicon Sancti Martini Turonensis, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, vol. XXVI, Hannover 1882, p. 461. 85 estratto la Biblioteca Apostolica Vaticana un disegno settecentesco (tav. 24)21, e da Pio II al menzionato Ludovico II Gonzaga. Omaggio alla vecchia e nuova Bisanzio Ritornando al Concilio di Mantova, promosso da Pio II subito dopo la sua elezione per attuare, d’intesa con i rappresentanti delle potenze italiane e degli stati europei, quel «piano di salvataggio occidentale di Bisanzio», secondo la formula coniata da Silvia Ronchey22. Il progetto di Pio II – come ha rilevato la studiosa – non si limitava alla pianificazione di una mera crociata antiturca, ma doveva essere finalizzato a una vera e propria «rifondazione occidentale» di Bisanzio, che avrebbe avuto indubbie ripercussioni sul piano geopolitico e religioso23. La questione orientale interessava, oltre al papato, le principali signorie italiane, pronte a schierarsi al fianco di Pio II e a dispiegare risorse economiche e umane: gli Sforza, i Montefeltro, gli Este e, soprattutto, i Malatesta, i Gonzaga e i Monferrato, che, grazie alla loro cultura filoellenica e a una fitta rete di relazioni diplomatiche, erano riusciti a imparentarsi con gli ultimi sovrani bizantini24. Teodoro II Paleologo, figlio del basileus Manuele II e despota di Mistrà, aveva infatti contratto matrimonio il 19 gennaio 1420, nella solennità della santa Teofania, con Cleopha Malatesta, figlia di Malatesta IV Malatesta, imparentata per parte di padre con i Gonzaga, gli Sforza e i Montefeltro, e per parte di madre con i Colonna 25. Con lettera datata 8 aprile 1418, Martino V Colonna (1417-1431), in vista del matrimonio della cugina, aveva concesso agli eredi maschi di Manuele II – oltre a Teodoro, figuravano Giovanni VIII, imperatore dal 1425 al 1448, Costantino XI, imperatore fino al fatidico 1453, Andronico, despota di Tessalonica dal 1408 al 1423, Demetrio, despota di Morea dal 1449 al 1460, e Tommaso – la licenza pontificia di sposare fanciulle latine, a condizione che queste ultime conservassero la loro confessione cattolica. Il 19 gennaio 1421, a un anno esatto dal matrimonio del fratello, Giovanni VIII Paleologo, forte del beneplacito papale, sposò, in seconde nozze, Sofia di Monferrato, che – seppure per un solo anno – divenne imperatrice bizantina, prima di essere ripudiata perché ritenuta sterile. Con la conquista ottomana di Costantinopoli, e la conseguente morte di Costantino XI, gli ultimi avamposti bizantini erano nelle mani dei fratelli Paleologhi Demetrio e Tommaso, che si erano rispettivamente schierati al fianco degli invasori il primo e delle potenze occidentali il secondo. Tommaso era dunque, agli occhi dell’Occidente, il legittimo pretendente al trono di Bisanzio e come tale venne convocato dal papa, per il tramite del cardinale Bessarione, per pianificare gli ambiziosi progetti del suo insediamento e della conseguente unificazione delle Chiese di Roma e di Costantinopoli. Nel novembre 1460 Tommaso approdò al molo di Ancona, intenzionato a concludere l’accordo con l’Occidente. A suggello dell’accordo, il Paleologo recava con sé alcuni preziosi doni per il papa dei quali molto si è scritto, a partire dalla compiaciuta relazione autobiografica di Enea Silvio Piccolomini nei suoi Commentarii: le reliquie del capo dell’apostolo Andrea e del braccio del precursore di Cristo, messe in salvo in occasione della caduta di Costan- 21 Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV), Barb. Lat. 3030, f. 94r. Cfr. E. Cornides, Rose…, cit., p. 76; A. Paravicini Bagliani, Le Chiavi…, cit., p. 58, fig. 44. 22 S. Ronchey, Malatesta-Paleologhi: un’alleanza dinastica per rifondare Bisanzio nel quindicesimo secolo, in «Byzantinische Zeitschrift», XCIII (2000), pp. 521-567, in particolare pp. 532-543; Ead., L’enigma di Piero: l’ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro, Milano 2006, pp. 190-191. 23 S. Ronchey, Il «Salvataggio occidentale» di Bisanzio. Una lettera di Enea Silvio Piccolomini e l’allegoria pittorica di Bisanzio nel primo Rinascimento, in Bisanzio, Venezia e il mondo franco-greco (XIII-XV secolo), atti del convegno (Venezia, 1-2 dicembre 2000), a cura di C. A. Maltezou, P. Schreiner, Venezia 2002, pp. 125-150, in particolare pp. 134-135. 24 D. A. Zakythinos, Le déspotat grec de Morée, Parigi 1932-1953, ed. rivista e ampliata a cura di C. Maltezou, 2 voll., Londra 1975, vol. I, pp. 207 e sgg.; S. Ronchey, Malatesta-Paleologhi…, cit., p. 535, note 64-65; Ead., Il «Salvataggio occidentale»…, cit., p. 137. 25 G. Coniglio, I Gonzaga, Milano 1967, pp. 33, 41, 51. 86 estratto tinopoli, e un raffinato piviale opus anglicanum26. Si trattava di doni profondamente simbolici, giacché Andrea era il patrono principale del Peloponneso, dove insisteva il despotato di Morea, e il Battista il protettore della famiglia dei Paleologhi. Lo scambio dei doni tra il papa e Tommaso Paleologo avvenne nei momenti più carichi di significato dell’anno liturgico, ovvero nel corso della Quaresima e della Settimana santa del 1462: nella Dominica Laetare, secondo l’usanza, Pio II offrì la rosa d’oro a Tommaso, al quale aveva concesso anche una generosa rendita (trecento monete d’oro mensili, alle quali il Collegio cardinalizio ne aveva aggiunte altre duecento) e l’ospitalità negli alloggi della Confraternita di Santo Spirito in Sassia 27; nella domenica delle Palme giunse, invece, da Narni a Roma, la reliquia del capo di sant’Andrea che, nella successiva domenica di Pasqua, il papa ordinò che fosse trasferita a Castel Sant’Angelo, per poi trovare degna collocazione accanto alle spoglie di Pietro, fratello di Andrea, nella basilica vaticana. Artefice del busto reliquiario del capo di sant’Andrea, pervenuto in tempi recenti al Museo Diocesano di Pienza, fu ancora una volta l’orafo papale Simone Ghini, che decorò la base con stemmi piccolominei e, tra novembre e dicembre 1463, ricevette un compenso totale di 834 ducati (tav. 25)28. Ma cosa sottendeva la consegna della rosa d’oro all’ultimo dei principi porfirogeniti? Un omaggio al prestigio storico di Bisanzio o un riconoscimento al suo rappresentante per avere accolto l’invito del papa? O forse entrambe le cose? Certo è che la critica moderna non si è interrogata sul significato di tale consegna, considerata una micro-vicenda a margine di una macro-vicenda ampiamente dibattuta. Simbolo dai significati in prevalenza binari, la rosa d’oro – come abbiamo visto – poteva identificare la duplice natura di Gesù Cristo, la sua Passione e la sua Resurrezione, il vicario di Cristo e Cristo medesimo, e finanche la Santissima Trinità. Tuttavia, non doveva sfuggire a Pio II un ulteriore significato della rosa, connesso alla contingenza del salvataggio di Bisanzio, ovvero l’unione tra Chiesa latina e Chiesa bizantina. Dagli scritti del Piccolomini si desume, infatti, che la nuova Bisanzio avrebbe dovuto avere il suo centro politico e religioso a Roma, che avrebbe così assunto il titolo di «Suprema Petri et Pauli Apostolorum Sede»29. Nelle intenzioni del Piccolomini, Pietro e Paolo, Occidente e Oriente, Roma e Bisanzio, papa e basileus si rinsaldavano per ricomporre, nella Concordia Apostolorum, il grande scisma del 1054. E la rosa d’oro doveva fungere da simbolo di tale ricomposizione, che aveva i suoi due poli di riferimento in Pio II e in Tommaso Paleologo. Estremo omaggio al glorioso passato di Bisanzio, la consegna ufficiale della rosa doveva infondere speranza in un altrettanto glorioso futuro sotto l’egida del papa umanista, che con la sua potestà avrebbe definitivamente affermato il primato petrino, già sancito – del resto – l’11 ottobre 1446 dalla Dieta di Francoforte. Speranza, però, destinata a infrangersi con la morte del papa nell’agosto del 1464 e di Tommaso Paleologo nel maggio dell’anno successivo. L’omaggio al passato bizantino doveva così avere la meglio sul miraggio di un futuro che vedeva il papa assurgere a pastore supremo della Cristianità. 26 Enea Silvio Piccolomini, I commentarii, a cura di L. Totaro, Milano 1985, pp. 1495-1557; Il piviale di Pio II, a cura di L. Martini, Cinisello Balsamo 2001, pp. 15-25. 27 P. De Angelis, L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia: dal 1301 al 1500 (Collana di studi storici sull’ospedale di Santo Spirito in Saxia et sugli ospedali romani, 23), Roma 1962, pp. 73-75; P. Helas, Kunst und visuelle Präsenz zweier Hospitäler in Rom: Santo Spirito in Sassia und Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum am Lateran zwischen dem 14. und frühen 16. Jahrhundert, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», XLI (2013-2014), pp. 9-109; A. Esposito, La multiforme attività assistenziale dell’ospedale di Santo Spirito nel tardo medioevo, in Vivere la misericordia nel Trecento: Le miniature del “Liber Regulae” dell’ospedale romano di Santo Spirito in Sassia, a cura di L. Leli, Roma 2018, pp. 77-84, con bibliografia precedente. 28 J. Pieper, Pienza: der Entwurf einer humanistischen Weltsicht, Stoccarda 1997, pp. 124-125, note 352-354. 29 K. M. Setton, The papacy and the Levant (1204-1571). The fifteenth century, Philadelphia 1978, pp. 247-257, 276-303, 317328; S. Ronchey, Il «Salvataggio occidentale»…, cit., p. 143. 87 estratto Valenza multisensoriale della rosa d’oro Per concludere, è interessante soffermarsi su un aspetto connesso alla liturgia della rosa d’oro del tutto trascurato dalla critica e meritevole di approfondimento per la sua potente valenza comunicativa: la facoltà di indurre una risposta multisensoriale nel papa e nei fedeli. Oltre alla vista, il manufatto coinvolgeva tatto, udito, gusto e odorato. Dopo aver mostrato al clero e al popolo dei fedeli la rosa, «quem manu gerebat»30, il papa dedicava l’omelia all’esaltazione delle sue caratteristiche organolettiche, discettando sulla sua composizione materica, sui suoi colori, sul suo profumo, sulle sue spine e sul suo significato simbolico. Sebbene solo al papa spettasse toccare e percepire l’odore della rosa durante la Messa e la conseguente processione, il fedele era interamente coinvolto dalla liturgia che, facendo appello ai suoi sensi, innescava associazioni mentali e reazioni fisiche che avevano il potere di infiammare lo spirito e di offrire conforto nelle avversità. Preziosa in proposito è la testimonianza del cronista francescano Salimbene de Adam da Parma, datata 4 marzo 1285 e maturata nel solco del magistero dei primi due papi del Duecento: «Questa rosa è d’oro e contiene in sé muschio e balsamo. E in queste cose è significata la trinità delle sostanze di Cristo. Nell’oro, che è il più nobile dei metalli, è significata l’eccellenza della divinità […] Nel balsamo, che è caldo ed odorifero, è significata l’anima di Cristo, che fu piena di ferventissima carità […] E l’odore dei carismi spirituali si sparge ovunque […] Nel muschio, che nasce dalla carne dell’unicorno e con il suo aroma conforta le membra spirituali, è significato il corpo di Cristo, assunto dall’umanità di Adamo, il quale per il profumo della sua passione conforta i fedeli a sopportare le avversità»31. Ciascun senso veniva attivato con precisi rimandi per interagire con gli altri e raggiungere quella sinestesia necessaria a produrre effetti benefici a livello del corpo e dello spirito. La rosa d’oro, pertanto, si configurava come uno strumento privilegiato per ascendere, grazie all’intermediazione del papa, nella contemplazione di Dio. La lucentezza dell’oro percepita attraverso la vista e rappresentante lo splendore di Dio, le fragranze del balsamo e del muschio percepite attraverso l’olfatto e rappresentanti il «buon profumo di Cristo»32, l’intrinseco richiamo della rosa al buon sapore del pane eucaristico percepito attraverso il gusto e le parole del papa colte attraverso l’udito e rappresentanti la voce del buon pastore permettevano al popolo di Dio di intraprendere tale percorso di ascensione. Alessandro III (1159-1181), nella sua lettera indirizzata al re di Francia Luigi VII, insiste sulla valenza purificatrice della rosa, il cui profumo prevale sugli odori circostanti al pari della risurrezione di Cristo che prevale sul fetore del peccato: «Odor autem hujus floris, resurrectionis ejus gloriam praefigurat […] Sane hujus mundi anfractus et climata, omnium scelerum foeditate concreta, tantus odor Dominicae resurrectionis aspersit, ut nulla pars orbis alienam se ab odore isto sentiat vel expertem, sed omnes se gaudeant odore hoc suavissimo spirituales nequitias in coelestibus jam vicisse»33. Nell’omelia pronunciata in occasione della Dominica Laetare Sive de Rosa, Innocenzo III esalta apertamente la natura multisensoriale della rosa e le sue tre principali proprietà: «la carità nel colore, la gioia nel profumo, la sazietà nel sapore»34; pone quindi la rosa – immagine del sacrificio di Cristo – in collegamento diretto con il sacramento del pane eucaristico, che nutre a sazietà il fedele (cfr. Gv 6,35) dilettandone la vista, inebriandone l’olfatto con il suo profumo olezzante (cfr. Ct 1,3) e appagandone il gusto (cfr. Sap 16,20): O. Holder-Egger, Chronicon…, cit., p. 461. Salimbene de Adam da Parma, Cronaca, a cura di B. Rossi, Bologna 1987, p. 769. 32 A. Rocca, Thesaurus…, cit., p. 208. 33 Recueil des historiens des Gaules et de la France, vol. XV, Parigi 1808, seconda ed. a cura di M. J. J. Brial, Parigi 1878, p. 794. 34 Papa Innocenzo III, Sermones…, cit., coll. 393-398, in particolare col. 394. 30 31 88 estratto «Haec tria pariter designantur in tribus proprietatibus hujus floris, quem vobis visibiliter praesentamus. Charitas, in colore; jucunditas, in odore; satietas, in sapore; rosa quippe prae caeteris floribus colore delectat, odore recreat, sapore confortat; delectat in visu, recreat in olfactu, confortat in gustu […] Qui odore recreat in olfactu, quia “meliora sunt ubera tua vino, fragrantia unguentis optimis”. Quem adolescentulae dilexerunt, quia “currunt in odore ungentorum suorum” (Ct 1,2-3). Qui sapore confortat in gustu, quia panis quem ipse dat, caro sua est, pro mundi vita (Gv 6,51), omne delectamentum habens, et omnis saporis suavitatem (Sap 16,20)»35. 35 Ivi, coll. 394-395. 89 estratto Tav. 23. Simone di Giovanni Ghini, Rosa d’oro. Siena, Museo Civico. 145 estratto Tav. 24. Rosa d’oro donata da Innocenzo IV al Capitolo dei canonici di San Giusto a Lione, penna su carta. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat. 3030, f. 94r. Tav. 25. Simone di Giovanni Ghini, Busto-reliquiario di sant’Andrea, argento fuso, sbalzato, cesellato, bulinato e dorato con inserimento di gemme. Pienza, Museo Diocesano. 146 estratto FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI DICEMBRE 2022 www.gangemieditore.it estratto In copertina: Giovanni Lanfranco e bottega, Ambasceria cinese, affresco. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala Regia. Per gentile concessione del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica - © Foto G. Schiavinotto. estratto «Anche i doni hanno la loro stella. Il S. Pietro in mosaico che S.S. ha destinato per S.M. Prussiana ne ha avuta una di veramente benefico influsso. Il S.P. non avrebbe mai creduto che un oggetto così tenue meritar potesse cotanto la soddisfazione d’un re sì potente. S.M. vi ha certamente ravvisato un pegno d’un vero e distinto attaccamento per parte del donatore, ed in ciò non si è ingannato» Minuta del cardinale Giulio Maria Cavazzi della Somaglia al rappresentante diplomatico prussiano Christian Karl Josias von Bunsen, 12 giugno 1825. WORLDWIDE DISTRIBUTION EBOOK /APP: & DIGITAL VERSION www.gangemieditore.it