LAUDA in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

LAUDA

Enciclopedia Italiana (1933)

LAUDA

Mario PELAEZ
Fernando LIUZZI

. Componimento poetico di argomento religioso, di carattere popolare, proprio della letteratura italiana dei primi secoli e con pochi riscontri nelle letterature contemporanee d'Europa. I più antichi esempî, di cui avanzano scarsi frammenti, risalgono alla prima metà del sec. XIII; la produzione più abbondante comincia nella seconda metà. Quanto all'origine non par dubbio che la lauda, comunque si determinino i rapporti, debba ricongiungersi alle popolaresche prose o sequenze della liturgia, che in origine sono chiamate anche Laudes ed erano cantate dal popolo in glorificazione di Dio, della Vergine o dei santi. Tali su per giù dovevano essere anche le Laudes cantate da certe associazioni di laici - chiamati laudesi - sorte molto presto per il culto speciale della Vergine. Le loro composizioni, se erano generalmente in latino, non è inverosimile che talvolta fossero in volgare; anzi non è improbabile che qualcuna delle moltissime volgari giunte a noi in raccolte posteriori, sia, per il carattere arcaico della struttura metrica, per lo stile e pel contenuto, un prodotto dei laudesi. Ad ogni modo allo stato presente delle nostre conoscenze la più antica lauda in volgare è quella notissima di S. Francesco (morto 1226) che va sotto il titolo di Laudes creaturarum o Cantico del Sole; forse altri francescani ne composero di simili, ma non ci sono giunte. Nel movimento religioso del 1233 che fu chiamato l'anno dell'Alleluia, per le vie e per le piazze si cantava fra altre una lauda brevissima, riferita dai cronisti, che è un'acclamazione alle persone della Trinità e alla Vergine e pare fosse composta da un frate Benedetto, detto Cornetta, originario dell'Umbria. Come questi rari documenti, così tutta la prima fioritura delle laude ci viene dall'Umbria e si collega al grande movimento religioso dei flagellanti che ebbe sua origine in Perugia nel 1260, fu opera dell'eremita Ranieri Fasani e largamente si diffuse per tutta l'Italia centrale e settentrionale. Sbollito il primo entusiasmo e cessato il costume di girovagare processionalmente, si cominciarono a costituire nell'Umbria e forse primamente a Perugia, ma poi anche in altre città di quella regione e fuori, confraternite (v.) di laici, desiderosi di penitenza. Essi si chiamarono disciplinati, flagellanti o battuti, dal rito della "disciplina" o flagellazione che praticavano insieme col canto delle laude in certi giorni o periodi solenni nei loro oratorî. Le laude contenevano appelli e incitamenti alla penitenza e invocazioni alla misericordia divina, ma anche narravano i fatti della vita di Cristo, le gioie e i dolori della Vergine, le storie dei santi, e avevano un carattere lirico-narrativo.

Sugli stessi argomenti quasi contemporaneamente si composero anche laude a dialogo, che assunsero un carattere drammatico. L'autore, invece di narrare i fatti direttamente, introdusse senz'altro i personaggi a dialogare fra loro su quei fatti e addirittura ad agire secondo il racconto del Vecchio e del Nuovo Testamento o delle leggende sacre. Dapprima fu azione molto semplice, limitata a pochissimi personaggi (p. es. Cristo, la Vergine, S. Giovanni) e si recitava senza alcun apparato scenico; poi questi piccoli drammi si vennero sviluppando e ampliando e si recitarono su una scena con travestimenti dei personaggi e con suppellettili che giovassero a dare l'illusione della realtà. Le confraternite dei flagellanti erano provviste del necessario, e di alcune si conservano ancora gl'inventarî delle vesti e degli oggetti che servivano alla rappresentazione. Da queste laude drammatiche nacque il teatro sacro italiano ed è merito di E. Monaci l'aver rivelato questa discendenza.

Le prime laude drammatiche si hanno a Perugia, donde poi il genere si diffuse e sviluppò nell'Abruzzo, a Roma, in Toscana e in altre regioni d'Italia. Si è discusso molto sulla genesi delle laude drammatiche con poco accordo fra i critici; ma senza dire che era ovvio si pensasse alla grande efficacia che la rappresentazione viva degli avvenimenti avrebbe avuto sul popolo, spinte a quelle composizioni dovettero venire da più parti: dalle forme di poesia drammatica profana in volgare, cioè dai contrasti e dai mimi giullareschi; dal dramma liturgico latino che i flagellanti avevano sotto gli occhi, come quello che soleva seguire il servizio divino della messa; dai testi evangelici e dalle leggende agiografiche, cui si soleva attingere la materia e in cui spesso si trovano scene dialogate.

Il metro nelle due specie di laude fu quello della ballata (v.) in tutte le sue varietà, con prevalenza forse della maggiore con o senza la ripresa, e anche la sestina di ottonarî coi primi quattro versi a rime alternate e gli ultimi due a rima baciata.

L'obbligo dei flagellanti di cantar laude in alcuni giorni della settimana e la consuetudine di rappresentar laude drammatiche moltiplicarono il numero di quelle composizioni, onde si cominciarono a formare i libri di laode" o laudarî, di cui ogni confraternita era fornita, sia che la raccolta fosse compilata da uno o più dei fratelli che ne avessero l'attitudine, sia che, in mancanza di questi, provenisse da un'altra confraternita. Il movimento dei laudarî da uno ad altro sodalizio avveniva anche da una regione all'altra, donde il travestimento linguistico, cui erano sottoposti per adattarli alle esigenze locali, e anche l'adattamento di una lauda in onore di un santo a un altro santo col semplice cambiamento del nome. Né mancano esempî di rifacimenti e rafforzamenti più profondi con accrescimento di diminuzione del numero delle strofe.

Di laude oggi si conoscono non meno di duecento raccolte provenienti da ogni parte d'Italia, ma se ne compilarono altre che sono andate perdute e di cui è rimasta notizia. Alcune sono più ricche, altre meno; alcune contengono laude liriche, altre liriche e drammatiche insieme.

Questi laudarî appartennero a confraternite che si possono spesso identificare e della cui attività religiosa ci dànno un'idea chiara. Tra i laudarî più ricchi sono il Perugino e il Vallicelliano, che hanno laude liriche e drammatiche per tutto il ciclo delle feste annuali, per i santi più venerati dalla confraternita e le laude che si cantavano per i fratelli defunti. Altri laudarî minori sono quello di Orvieto e, fuori dell'Umbria, quelli d'Urbino, di Aquila e di altre città dell'Abruzzo, importanti questi ultimi per la documentazione che offrono dell'ulteriore sviluppo che ebbe la lauda drammatica fino ad assumere, in alcuni esempî, l'imponenza di un vasto dramma. Notevoli in Toscana il laudario dei flagellanti di Cortona e quello della Compagnia dello Spirito Santo di Firenze (v. sotto).

Degli autori non ne conosciamo quasi nessuno: essi componevano le laude, e talvolta forse anche la musica, in servigio della confraternita e non avevano alcuna ambizione di gloria. Oltre Iacopone da Todi (v.) che s'innalza sulla folla degli anonimi a grande altezza e che non appartenne, a quanto pare, ai disciplinati, possiamo ricordare un nome solo, Garzo, che si legge nell'ultima strofa di quattro laude della raccolta cortonese e che, secondo alcuni, per certi indizî, potrebbe essere il bisnonno del Petrarca.

Sotto il rispetto dell'arte, nell'insieme il valore delle laude è scarso: fatti, pensieri e sentimenti sono narrati o espressi sempre con lo stesso tono, dando quasi l'impressione che l'autore sia uno solo. Tuttavia sono documenti sinceri della fede umilmente e sinceramente espressa, e storicamente hanno un grande valore, coll'imponenza del numero, perché attestano non foss'altro il grande movimento delle coscienze verso un rinnovamento morale, che la fede religiosa alimentava e sorreggeva. Non manca d'altra parte qualche buona eccezione specialmente nelle laude liriche e nei laudarî più antichi, come quello di Cortona e l'altro d'Urbino. In alcune laude liriche è notevole l'ingenua e commossa espressione degli affetti della Vergine per il figliuolo nella Natività di Cristo, o del dolore della madre nella Passione e morte di esso; donde la lunga serie dei Pianti della Vergine, tra i quali ve n'ha di belli nel laudario d'Urbino. Nelle laude drammatiche se non manca qua e là il movimento proprio dell'azione e anche l'espressione di affetti gentili (si ricordi il piccolo dramma La Crocifissione di Iacopone da Todi), il pregio maggiore è, in alcune, la grandiosa rievocazione degli avvenimenti, atta a impressionare gli spettatori e indurli a penitenza.

Tutta questa produzione laudistica anonima appartiene agli ultimi decennî del sec. XIII e al sec. XIV, ma in quest'ultimo secolo stesso scrissero laude liriche all'infuori dei flagellanti alcuni rimatori fra cui può essere segnalato per un certo pregio di freschezza e ingenuità Ugo Panziera di Prato, morto forse nel terzo decennio del sec. XIV. Nella seconda metà e sulla fine altri due movimenti religiosi promossero la composizione di laude liriche, in genere nelle stesse forme metriche di quelle dei flagellanti, ma con caratteristiche proprie di contenuto. Il primo è quello che mise capo alla fondazione, in Siena, dell'ordine dei gesuati; e fra i poeti che vi appartennero, emerge per l'ardore mistico il Bianco da Siena. Nel 1399 ebbe inizio l'altro movimento detto dei Bianchi simile nella forma a quello del Fasani, del quale però non ebbe la vitalità né la durata e neppure, nell'ordine letterario, effetti di uguale importanza. Il motivo dominante nelle laude dei Bianchi è l'invocazione alla misericordia di Dio per i peccatori, e l'esortazione alla pace fra gli uomini. La messe di queste laude non è molto abbondante, e il loro valore poetico è pure scarso.

Laude liriche si continuarono a comporre, e con abbondanza, nel sec. XV, da poeti d'arte. Si solevano cantare (spesso, come indicano i manoscritti, sull'aria di una o altra canzone popolare profana) da pie confraternite nei loro oratorî o nelle sacre processioni, per le vie, in occasioni solenni o in casi di pubbliche calamità per allontanare il pericolo. Tra i poeti si possono ricordare a Venezia Leonardo Giustiniani, in Toscana Feo Belcari, Francesco d'Albizzo, Pierozzo Castellano de' Castellani, Lucrezia Tornabuoni, la madre di Lorenzo de' Medici e Lorenzo stesso, Girolamo Benivieni e il Savonarola. Queste laude quattrocentesche, come quelle dei gesuati e dei Bianchi, non cantano più la Passione di Cristo e i fatti collaterali, ma rivelano un carattere più schiettamente lirico e sono esaltazione della fede e del sentimento religioso, calda espressione di amore a Cristo e alla Vergine, e anche non di rado aride parafrasi di precetti cristiani e di concetti teologici.

Con la fine del sec. XV il periodo produttivo delle laude si può dire chiuso; ma non cessò l'interesse, principalmente religioso, che questo genere di composizioni suscitava, anzi si diffuse più largamente con le edizioni a stampa che cominciarono ad apparire nell'ultimo ventennio del quattrocento. Nel secolo XVI la lauda fu ben poco coltivata. Spesso si cantavano le antiche composizioni e chi ne compose di nuove, talvolta tolse da quelle lo spunto o addirittura le parafrasò, come fece Serafino Razzi dell'ordine dei domenicani.

La musica della laude. - Tra i molti laudarî giuriti fino a noi, due fra i più antichi sono particolarmente preziosi, conservando la notazione musicale: il ms. 91 dell'Accademia etrusca di Cortona, di cui la compagine primitiva risale agli ultimi decennî del sec. XIII, e il Magliabechiano 11.1.122 della Biblioteca Nazionale di Firenze, adorno di bellissime miniature, scritto nei primi decennî del sec. XIV e appartenuto alla Compagnia dello Spirito Santo. D'un altro laudario fiorentino della prima metà del Trecento, con belle miniature della scuola di Pacino di Bonaguida, non sussistono che alcuni fogli sparsi in raccolte straniere (Londra, Brit. Mus.; Cambridge, Fitzwilliam Mus.; New York, collez. Morgan; Worcester U. S. A., collez. Smith), con inizî di melodie simili ad alcune del cod. Magliabechiano. La rigatura musicale, rimasta però priva delle note, si trova in altri vetusti laudarî: tra questi nel cod. 338 di Assisi, il quale, ove l'amanuense avesse condotto a termine il suo lavoro, avrebbe potuto offrirci l'intonazione del Cantico delle Creature di S. Francesco.

In notazione corale quadrata su rigo tetralineo (talvolta bi- o trilineo) con chiavi di do e di fa, la sezione più antica del ms. cortonese porge, su 46 testi, 44 melodie; 89 su 97 testi ne dà il fiorentino. Dieci intonazioni e venti testi sono comuni ai due mss. Si ha in questa compagine melodica un monumento non solo d'importanza storica eccezionale, in quanto costituito dai più remoti saggi di musica italiana su testi in volgare, ma anche di notevole valore espressivo e formale. Nel modulare infatti i testi poetici, a cui direttamente s'inspirano (senza essere, come s'usò più tardi, adattamenti di canti profani a sensi religiosi) codeste melodie raggiungono a volte efficacia mirabile. E sotto l'aspetto formale rivelano un processo d'evoluzione che dalla primitiva rigidità litaniale, a segmento melodico unico costantemente ripetuto, raggiunge la più armoniosa struttura dell'aria tripartita (A B A). In quest'ultima forma la melodia aderisce allo schema poetico della lauda (uguale a quello della ballata) esponendo sulla "ripresa" il tema (A), riservando alle "mutazioni" lo svolgimento melodico centrale (B B o B C), e quindi replicando il tema (A) sulla "volta" della strofa. Talora lo svolgimento melodico prosegue con nuove frasi anche sulla volta: in tal caso alla forma chiusa della melodia provvede la replica della ripresa. Non occorre riferire, come taluno ha pensato (Ludwig), la forma tripartita della melodia laudistica a quella del virelai francese: essa è intimamente connaturata allo schema poetico ripresastanza, e trova, se mai, i suoi precedenti musicali in talune intonazioni gregoriane: canti alleluiatici, sequenze. Ma dalla sfera gregoriana le melodie delle laude s'allontanano rapidamente per un complesso di caratteri (invenzione e condotta melodica, tendenza verso la tonalità moderna di modo "maggiore" e "minore", ritmica prevalentemente binaria, suggerita dal metro poetico) nei quali s'affaccia e ben presto s'afferma un linguaggio musicale nuovo, del tutto italiano.

Dal punto di vista stilistico, nelle melodie riferibili al sec. XIII si ha prevalenza di forme semplici, austere, con una nota o poche note per sillaba; mentre il Trecento accusa un gusto sempre più pronunziato per le intonazioni melismatíche, i cui vocalizzi già tendono verso i vasti sviluppi che si osserveranno poi nell'Ars nova fiorentina. Ma le intonazioni laudistiche, sino alla metà del sec. XIV, non abbandonano le forme della monodia pura, eventualmente integrata da accompagnamenti strumentali (le miniature dei laudarî stessi indicano: viole, liuti, salterî, trombe). Laude armonizzate a tre voci compariscono solo in mss. della fine del Trecento (Perugia, Bibl. Comunale), e a quattro voci in raccolte quattrocentesche (Gualdo Tadino, Udine, ecc.).

Di particolare interesse sono le melodie di alcune laude di Garzo e di Iacopone: quest'ultime dovute probabilmente (come fa ritenere la connessione col testo e la singolarità dello stile) al poeta medesimo. Bellissima fra le iacoponiche è la lauda a dialogo: O Cristo onnipotente, dove siete enviato; in altre, adespote, è notevole l'espressione drammatica, cui non è ignoto qualche tratto d'intenso recitativo. In complesso, il patrimonio melodico delle laude - superiore a quello delle Cantigas spagnole, meno elegante ma più profondo e grandioso delle melodie francesi e provenzali del tempo - viene degnamente a integrare la ricchezza artistica del '200 e del primo '300 italiano.

Bibl.: Sulle origini e lo svolgimento della lauda: F. Flamini, Studi di storia letteraria e straniera, Livorno 1895, p. 143; M. Maffii, in Esercitazioni sulla letter. religiosa in Italia ecc. dirette da G. Mazzoni, Firenze 1905, p. 143 segg.; G. Ippoliti, Dalle sequenze alle laudi, Osimo 1914; E. Monaci, in Rivista di filol. romanza, I, p. 235; II, p. 25; G. Galli, I Disciplinati dell'Umbria del 1260 e le loro laudi, in supplemento n. 9 del Giorn. stor. d. letteratura italiana; V. De Bartholomaeis, Le origini della poesia drammatica italiana, Bologna 1924. Per la bibliografia dei mss. dei laudarî: A. Tenneroni, Inizii di antiche poesie italiane religiose e morali, Firenze 1909; L. Frati, Giunte agl'Inizii ecc., in Archivum Romanicum, I-III; per la bibliografia delle stampe: G. M. Monti, Bibliografia delle laude, ecc., in La Bibliofilia, XXI-XXIV, a cui sono da aggiungere: G. Galli, Laudi inedite dei Disciplinati umbri, Bergamo 1910; E. Staaf, Le Laudario de Pisa du ms. 8521 de la Bibliothèque de l'Arsenal de Paris, Upsala 1931; V. De Bartholomaeis, Il teatro abruzzese nel Medioevo, Bologna 1924; C. Guasti, I cantici spirituali del B. Ugo Panziera, Prato 1861; Ozanam, I poeti francescani del sec. XIII in Italia, trad. di P. Fanfani, Prato 1854, p. 273; Laude spirituali di Feo Belcari, di Lorenzo de' Medici, di Francesco d'Albizo, di Castellano de' Castellani e d'altri, Firenze 1863; G. Savonarola, Poesie, Torino 1927; U. Scoti-Bertinelli, Note e documenti sulla letteratura religiosa, Firenze 1908.

Musica. G. Gasperini, in Encyclopédie de la Musique, ecc., III, Parigi 1912, e F. Ludwig, in Handbuch der Musikgeschichte pubbl. da G. Adler, 2ª ed., Berlino 1930. In quest'ultimo tre melodie del laudario cortonese; alcuni saggi del ms. Magliabechiano in E. Levi, Lirica italiana antica, Firenze 1908. Studî speciali: F. Liuzzi, Melodie italiane inedite del Duecento, in Archivum Romanicum, 1930; id., Ballata e Lauda alle origini della lir. mus. ital., in Annuario della R. Accad. di S. Cecilia, 1930-31; id., Profilo musicale di Iacopone, in Nuova Antologia, 1931; id., I primi canti italiani per la natività e l'infanzia di Cristo, in Illustraz. vaticana, 1931; id., Melodie per un mistero italiano del Duecento, in Scenario, 1932. Trascrizioni: F. Liuzzi, La Passione nelle intonazioni del Laudario 91 di Cortona, Roma 1932. Tutte le melodie del laudario cortonese e del fiorentino (facsimili dei mss. e trascrizioni in notaz. moderna) in: F. Liuzzi, La Lauda e i primordi della melodia italiana, voll. 2, Roma 1934.

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