Sin City è la consacrazione del noir, la quintessenza del genere, il capolavoro maledetto di un maestro del fumetto come Frank Miller

Spruzzi e lame di bianco e nero giocano in una girandola sanguinaria, luci e ombre si alternano nette, spietate, senza nulla concedere alle sfumature, vite dimenticate si spengono nella morsa di una morte tragica, annunciata, ineluttabile.

Sin City è la consacrazione del noir, la quintessenza del genere, il capolavoro maledetto di un maestro del fumetto come Frank Miller.

Nel 1991, infatti, l’artista americano, fumettista a tutto tondo in grado di coniugare magistralmente uno stile grafico molto personale con un indiscutibile talento di sceneggiatore decide di cimentarsi in qualcosa di completamente nuovo, Sin City appunto.

Miller era naturalmente già una leggenda per aver realizzato molte delle più importanti e belle pagine del fumetto americano, fra tutte vanno citate almeno l’Elektra Saga, la storia della letale ninja-killer della serie di Daredevil, per la Marvel, anno 1983 e Dark Knight Returns, del 1986, per la DC, con cui propose una ridefinizione dissacrante e provocatoria del personaggio di Batman, esasperandone il lato cupo e violento.

Eppure, Frank Miller, che nel 1991 è già al top, continua la propria ricerca personale e “giunge” a Sin City, opera che vede la sua prima pubblicazione per l’etichetta americana indipendente della Dark Horse.

Crea così un fumetto in bianco e nero, senza toni di grigio, disegnato con linee veloci e durissime, “spappola” le normali vignette sparpagliando sulla pagina immagini che sono altrettante inquadrature di taglio cinematografico, e racconta “fiabe scannate”, affondate nelle cupe crime novels di Dashiell Hammett e nel sangue dell’hard-boiled di James Ellroy ed Elmore Leonard.

Sin City è la nascita di un mondo calato nella disperazione e nella rabbia, una città interamente inventata da Miller che profuma di archetipo dark di una qualsiasi metropoli americana e che costituisce lo sfondo ideale per ambientare storie di violenza, sesso e depravazione in un tourbillon di sparatorie, risse e torture.

Eppure sarebbe sbagliato credere che il tutto sia un semplice gioco gratuito, fine a se stesso, in cui l’autore fa esercizio di stile, perché quelli di Miller sono veri e propri racconti neri, ubriachi di romanticismo, in cui l’amore dell’uomo per la donna è non solo il tema centrale ma piuttosto l’essenza stessa della narrazione.

La saga di Sin City celebra infatti le imprese di eroi sconfitti, dilaniati nel corpo e nell’anima, con un proprio codice d’onore, un radicato senso del sacrificio e un incontrollabile desiderio di proteggere le donne.

Già, le donne di Miller, dolci e con labbra carnose, seni gonfi e corpi prorompenti, autentiche dee addolorate, grondanti sex appeal, creature di tale bellezza da essere in grado di possedere a tal punto la mente ed i sensi di un uomo da dannarne l’esistenza, dal determinarne vendette bestiali e disumane, visioni in nome delle quali gli eroi sono pronti ad uccidere e morire.

Succede ad Hartigan, vecchio sbirro a fine carriera col cuore mangiato dall’angina pectoris, che lotta, contro il proprio male, per salvare la vita di una bambina, e poi ragazza, dalle grinfie di un pedofilo sadico; a Marv, guerriero di strada col volto devastato, assetato di vendetta, pronto a giustiziare il serial killer che ha assassinato la sua amata Goldie; infine per liberare dal giogo di Manute le prostitute-valkirie della letale e meravigliosa Gail.

Temi epici ed eroici, quindi, imbevuti di dramma e tragedia, conditi con humour nero e sequenze da grandguignol, che non potevano non approdare al cinema.

Da Sin City infatti, per la regia di Robert Rodriguez e Frank Miller, è stato tratto un film spettacolare che è in tutto e per tutto il fumetto al cinema. I personaggi e le storie di Miller vivono in questo modo una seconda giovinezza e godono di quell’approfondimento esplicito di caratteri e atmosfere che solo uno straordinario gruppo d’attori ed un’accurata regia riescono a cesellare e amplificare, vivificandone contenuti e forme.

Il film di Rodriguez esalta traducendo, e non adattando, l’opera milleriana, con una fedeltà ricostruttiva che sfiora il feticismo, mescolando la cinematografia noir anni quaranta e cinquanta (The Maltese Falcon, Double Indemnity, Gun Crazy, Sunset Boulevard, Touch of Evil) che è poi anche fonte primigenia del fumetto stesso, con il cinema espressionistico tedesco di Murnau e Lang, alternando l’io narrante dei protagonisti ai dialoghi sferzanti e secchi del plot narrativo, dosando intelligentemente pause e cambi di ritmo, e trasponendo nel modo più attento le tavole di Miller su pellicola.

In questo senso il sottolineare il concetto di traduzione in luogo di semplice adattamento è importante perché, in effetti, per la prima volta si riescono a trovare in un film tutti quegli elementi tipici del fumetto che normalmente i registi non erano fino a quel momento mai riusciti a portare al cinema: il particolare tipo di dialoghi, i tagli veloci d’immagine, il parossismo visivo, tutto è in Sin City assolutamente innovativo ed originale.

La realizzazione del film

Ma come è riuscito Robert Rodriguez a convincere Frank Miller a trarre un film da un fumetto, Suo per eccellenza? Sicuramente giurando “fedeltà” all’opera originaria, come si è detto, e cercando di dimostrare al maestro l’onestà d’intenti, posto che, almeno inizialmente, Miller era a dir poco scettico, assolutamente geloso della propria “creatura”.

Per questa ragione all’inizio Rodriguez gira, a proprie spese, alcuni filmati di prova per mostrare a Miller ciò che ha in mente, successivamente si incontra con lui in un bar di Manhattan e, aprendo il suo portatile, svela il mondo di Sin City in tre dimensioni. Miller rimane a bocca aperta.

Rodriguez però non si ferma qui. Trascrive infatti tre opere di Miller, tratte dalla serie di Sin City, Sin City (Vol. 1) – The Hard Goodbye, Un’abbuffata di morte e Quel Bastardo Giallo e le “incolla” in un’unica sceneggiatura, e a quel punto gliela invia.

Poi lo chiama e gli dice che prima di siglare un accordo vuole girare una scena iniziale del film e a quel punto, se il risultato verrà giudicato soddisfacente, si potrà firmare il contratto per realizzare il resto della pellicola; in caso contrario Frank avrà semplicemente un bel cortometraggio da “gustare” ogni volta che vorrà.

Dopo aver visto la sequenza iniziale, Miller non ha più alcun dubbio: Sin City diventerà un film.

Ciò fatto, vengono scelti gli attori fra cui spiccano i nomi di Bruce Willis, Clive Owen, Jessica Alba, Benicio del Toro, Brittany Murphy, Rosario Dawson, Rutger Hauer, Jaimie King e, incredibile ma vero, Michey Rourke.

Rodriguez e Miller si ritrovano quindi con il cast ad Austin, Texas, presso la sede dei Troublemaker Studios, di proprietà dello stesso regista.

Qui, a casa di Rodriguez, lavorando al di fuori del sistema delle majors, recitando con i green screens – quindi solamente con dei pannelli verdi attorno e perciò immaginando gli elementi mancanti, aggiunti solo successivamente con l’ausilio degli effetti digitali – gli attori del film si sono concentrati sui personaggi e sulla storia, focalizzando tutta l’attenzione sulle proprie interpretazioni… esattamente come a teatro.

Una volta girate le scene con gli attori su sfondi neutri, il team degli effetti speciali ha prima creato degli storyboard animati e poi, mescolando immagini e grafica digitale, lavorando su illuminazione e fotografia, e riducendo la definizione degli sfondi, ha ottenuto quell’effetto tipicamente da comics che si respira in Sin City.

Le riprese sono state effettuate direttamente a colori e poi riconvertite in bianco e nero, lasciando macchie di colore sui particolari che interessavano e così trasformando il dettaglio cromatico in elemento narrativo-simbolico come il rosso del sangue o il giallo marcio della pelle del rivoltante pedofilo nella storia di Hartigan.

Così, indipendentemente da qualsiasi giudizio critico, Sin City è diventato il film più innovativo a livello grafico che sia mai stato tratto da un fumetto. Non solo, è divenuto anche quel perfetto noir che Rodriguez e Miller volevano, e ciò grazie anche all’interpretazione straordinaria di un cast stellare in cui spiccano due nomi su tutti: quelli di Bruce Willis e Mickey Rourke.

Willis è semplicemente spettacolare perché scava il suo personaggio dall’interno, ne fa emergere in modo personale ed efficace la profonda umanità, senza smarrire una vena di amara ironia che ne arricchisce il carattere, facendo di Hartigan forse il personaggio più puro e vulnerabile dell’intero film.

Rourke, invece, coglie in modo superbo l’essenza di Marv e, pur dando sfogo alla rabbia crudele che divora il personaggio, non rinuncia a metterne a fuoco le debolezze interiori, le domande, i dubbi. In bilico fra violenza ferina e desiderio di fare giustizia di un amore straziato, il Marv di Rourke, è una figura sofferta, martoriata dal dolore, non priva di un afflato romantico di grande impatto.

Con un volto spaccato dai pugni presi sui ring di boxe e malamente ricucito dai chirurghi plastici, reso ancor più irriconoscibile dal trucco pesante, Mickey Rourke regala quaranta minuti di recitazione splendida, per intensità espressiva, “afferrando” l’agognata rinascita artistica che, per come è maturata, assomiglia molto da vicino a quella di John Travolta con Pulp Fiction di Quentin Tarantino.

Insomma il pulp-noir fa bene al cinema, non lo scopriamo oggi, cari guyz. Per questo e per mille altre ragioni, Sin City è un fumetto da leggere e, anche, un film da vedere, poco ma sicuro.