PIO III, papa in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

PIO III, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIO III, papa

Matteo Sanfilippo

PIO III, papa. – Secondo la tradizione, Francesco Tedeschini (Todeschini)-Piccolomini nacque a Siena il 9 maggio 1439, figlio quartogenito del giurista Nanni di Piero Tedeschini e di Laodomia, sorella di Enea Silvio Piccolomini. Alcuni studiosi ritengono invece più probabile che sia nato a Sarteano.

Sappiamo poco della sua infanzia e giovinezza, se non che fu avviato agli studi dallo zio materno. In un secondo tempo fu inviato a Ferrara presso Giacomo de’ Tolomei per approfondire la propria preparazione giuridica e umanistica. Nell’estate del 1451 accompagnò in Germania lo zio e nell’autunno iniziò a frequentare l’Università di Vienna. Meno di due anni dopo era di nuovo a Ferrara, riprendendo gli studi ivi iniziati. In seguito si trasferì a Perugia per un ulteriore perfezionamento.

L’ascesa al soglio pontificio di Enea Silvio Piccolomini (Pio II) gli aprì la strada per Roma. Il 3 settembre 1458, appena incoronato lo zio, fu investito della prepositura di St.-Viktor a Xanten sul Reno e ricevette quattro arcidiaconati in terra tedesca. In ottobre fu nominato protonotario apostolico e gli fu affidata l’amministrazione del monastero di S. Vigilio a Siena. A dicembre seguirono nuovi benefici tedeschi. A gennaio 1459 accumulò ulteriori prebende nelle diocesi di Grosseto e di Milano. Il 18 aprile 1459 ricevette nuovi benefici ad Acquafredda.

L’8 novembre morì Antonio Piccolomini, arcivescovo di Siena, e Francesco divenne prima amministratore e poi ordinario (19 febbraio 1460) di quella diocesi. Il 5 marzo 1560 conseguì la berretta cardinalizia con il titolo diaconale di S. Eustachio e il 22 aprile 1460 divenne legato pontificio della Marca d’Ancona. Per permettergli di affrontare le spese dell’incarico, il pontefice gli accordò una provvigione di 300 ducati, nonché la prepositura di alcune chiese nelle diocesi di Strasburgo e Coblenza e l’arcidiaconato di Brabante nella diocesi di Cambrai, cui si sommarono nuovi benefici nella penisola italiana negli anni successivi. Il 4 febbraio 1464 Todeschini-Piccolomini fu nominato vicario generale ‘in temporalibus’ per la città di Roma e per il Patrimonio di S. Pietro. L’11 giugno gli fu confermata la designazione, estesa a tutto lo Stato della Chiesa. Poco più di due mesi dopo fu avvertito della morte dello zio ad Ancona.

Sotto Paolo II Barbo fu escluso da ogni incarico curiale e decise di ritirarsi nella propria arcidiocesi. In neanche due anni fu, però, di nuovo in gioco, grazie all’amicizia con il cardinale Marco Barbo. Nel 1466 si batté assieme al cardinale Jacopo Ammannati-Piccolomini per scomunicare Giorgio di Podiebrad, re di Boemia, già indicato da Pio II come protettore degli scismatici locali. Iniziò a essere considerato un esperto dell’Europa centrale e, più in generale, di politica internazionale. Così sul finire del 1468 partecipò attivamente alla visita romana dell’imperatore Federico III.

Negli anni successivi mantenne la stima di Paolo II, che gli affidò la legazione del Nord il 18 febbraio 1471 e il compito di negoziare con il Podiebrad. Il 18 marzo il cardinale abbandonò Roma e il 1° maggio era a Ratisbona, dove prese parte alla Dieta apertasi il 24 giugno. In essa si oppose con successo a qualsiasi attacco alla Chiesa, ma non ottenne appoggi contro i turchi, che minacciavano la Stiria. Nonostante il parziale insuccesso, il pontefice lo lodò in una lettera del 26 giugno e in una del 13 luglio 1471.

Paolo II morì durante la permanenza in Germania del cardinale. Il legato poté prendere la via del ritorno solo alla fine di agosto e giunse a Roma il 27 dicembre. Riferì della sua missione al nuovo pontefice Sisto IV della Rovere, al Concistoro e infine a Marco Barbo, nuovo legato presso l’imperatore. Durante il nuovo pontificato ebbe pochi incarichi e di secondaria importanza. La sua unica attività importante fu la gestione in Curia delle richieste dell’imperatore e delle petizioni dei prelati tedeschi. Di conseguenza trascorse lunghi periodi a Siena, pur avendo inaugurato agli inizi del 1472 la sua residenza romana, il cosiddetto Palazzo di Siena nel rione Pigna, regalatogli dallo zio nel 1461. Era una dimora sontuosa, che ospitava la ricchissima biblioteca del cardinale e una collezione di statue antiche, tra le quali l’Ercole Borghese-Piccolomini. Nel palazzo romano ricevette numerosi emissari tedeschi, legati sia alle diocesi, sia ai circoli umanistici, mentre intratteneva una fitta corrispondenza con Massimiliano I, re d’Ungheria. Ospitò anche Ernesto, duca di Sassonia, nel 1482.

Nella primavera del 1484 la tensione fra il pontefice e i Colonna e i della Valle, in lotta contro gli Orsini, condusse alla devastazione dei palazzi delle due prime famiglie. Tedeschini-Piccolomini si propose come paciere, ma la situazione divenne esplosiva. Il cardinale decise perciò di rifugiarsi a Viterbo. Il 12 agosto 1484 Sisto IV morì e i sostenitori dei Colonna devastarono il palazzo di Girolamo Riario, che abbandonò l’assedio di Paliano, roccaforte colonnese, e marciò su Roma. Sembrava la premessa di un violento scontro, che fu impedito dalla mediazione di Marco Barbo. I cardinali poterono quindi entrare in conclave il 26 agosto 1484.

Tedeschini-Piccolomini era considerato uno dei papabili, grazie all’appoggio del re di Napoli. Senonché i candidati erano molti e le due fazioni guidate da Rodrigo Borja (Borgia) e da Giuliano della Rovere erano in grado di spegnere le speranze di qualsiasi aspirante. Alla fine della Rovere guadagnò buona parte dei colleghi in favore di Giovan Battista Cibo (Innocenzo VIII). Tedeschini-Piccolomini ne annunciò la vittoria il 29 agosto e lo incoronò davanti a S. Pietro il 12 settembre. Il nuovo papa nel 1485 gli affidò l’amministrazione della diocesi di Fermo e in seguito la sovrintendenza di Massa Trabaria, con la presidenza dell’abbazia di Farfa. Di fatto l’influenza di Tedeschini-Piccolomini era di nuovo aumentata, e nel 1486 fece parte del gruppo di prelati che spinse per la pace con Napoli, piegando i membri del partito filofrancese.

Il legame fra Innocenzo VIII e il cardinale di Siena rimase stretto e il secondo fu designato alla legazione di Perugia nel novembre del 1488. In meno di un anno Tedeschini-Piccolomini smorzò le tensioni locali e ricondusse la città all’obbedienza. Durante il pontificato di Innocenzo VIII, Tedeschini-Piccolomini continuò a prodigarsi in favore degli amici tedeschi e allargò la sua rete clientelare sino a comprendere francesi, polacchi e inglesi. Fu inoltre notevole il suo impegno a favore di Siena e Lucca.

Il 25 luglio 1492 morì Innocenzo VIII e Tedeschini-Piccolomini fu di nuovo considerato papabile, perché si riteneva che godesse dell’appoggio di Ferrante, re di Napoli. Tuttavia sapeva di non avere la forza per tenere testa ai candidati maggiori e tentò di guadagnare una posizione difendibile di fronte al nuovo pontefice. Così fu uno dei due cardinali che accompagnarono a S. Pietro Alessandro VI Borja (Borgia), tenendogli il manto. Il cardinale di Siena non riuscì, però, a tenersi al di fuori dello scontro che spaccò la Curia. D’altronde lo stesso imperatore Federico III gli fece sapere che voleva mantenere una posizione defilata rispetto al nuovo pontefice. Di conseguenza Tedeschini-Piccolomini pensò bene di ritirarsi a Siena.

Nel 1494 era di nuovo a Roma per convincere il pontefice a opporsi all’avanzata di Carlo VIII di Francia. Quando i francesi entrarono in Toscana e i Medici furono scacciati da Firenze, il papa inviò Tedeschini-Piccolomini a trattare con l’invasore, come legato a latere. Ma il sovrano non volle riceverlo a Lucca, in quanto appartenente a una famiglia filoaragonese. Dopo aver comunicato al papa il fallimento, il cardinale tornò a Siena, dove il 2 dicembre giunse Carlo VIII. Quest’ultimo accettò finalmente di incontrare il prelato, ma in udienza privata e soprattutto non rinunciò a marciare su Roma, dove entrò il 27 dicembre. Il cardinale di Siena ritornò nella Città eterna soltanto il 5 marzo 1495 e in forma volutamente dimessa. Nel periodo successivo si tenne al di fuori di ogni scontro con i francesi e si preoccupò soprattutto della diocesi e della città di Siena. Nel 1496 fu anche designato amministratore della diocesi di Pienza e Montalcino, da lui retta sino al 1498. I suoi interessi furono quindi incentrati sulla Toscana, anche per il peggioramento della salute a causa di una forma violenta di gotta.

Nel Concistoro segreto del 7 giugno 1497 fu l’unico a opporsi al conferimento a Giovanni duca di Gandía, figlio di Alessandro VI, del ducato di Benevento e delle contee di Terracina e Pontecorvo. Giovanni fu però ucciso e il cardinale non subì ritorsioni da parte dei Borja. Anzi, quando Alessandro VI formò (19 giugno) una commissione di sei cardinali per la riforma della Chiesa, fu invitato a farne parte. Abbiamo un suo appunto relativo ai lavori (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3883, c. 169) e un memoriale (cc. 97-99): è noto inoltre che assieme al cardinale Carafa raccolse i decreti e gli abbozzi di riforma dei papi precedenti. L’impegno profuso non portò comunque a nulla e il progetto di riforma non si concretizzò.

Tedeschini-Piccolomini tornò di nuovo a Siena, dove progettò una biblioteca, nella quale raccogliere i codici ereditati da Pio II. Inizialmente quella che avrebbe preso il nome di Libreria doveva essere una grande aula rettangolare con semplici decorazioni da erigere al posto della vecchia canonica della cattedrale (E. Carli, Il Museo dell’Opera e la Libreria Piccolomini di Siena, Siena 1946). Al centro dell’aula doveva essere posta la scultura delle Tre Grazie, una copia romana di originale ellenistico, che il cardinale aveva comprato per il suo palazzo a Roma. I lavori per la Libreria iniziarono in sordina nel 1492, ma soltanto nel 1496 Tedeschini-Piccolomini fece intagliare i banchi che dovevano contenere i volumi di Pio II e nel 1497 Lorenzo di Mariano, detto il Marrina, eseguì e decorò il portale che permetteva l’accesso alla Libreria dalla cattedrale. Più tardi il cardinale pensò di dare ancora maggior risalto alla sua creazione e nel giugno 1502 stipulò un contratto con il Pinturicchio per decorazioni a grottesche sulla volta e dieci affreschi con momenti della vita di Pio II sulle pareti. Il lavoro fu, però, terminato dopo la sua morte. Queste spese furono rese possibili dai cospicui introiti dei quali godeva, anche se nel 1500 (secondo un documento commentato da Ludwig von Pastor, concernente un tributo che i cardinali dovevano pagare a titolo di decima per la guerra turca) con i suoi 9000 ducati annui si colloca nella fascia inferiore della ricchezza media di un cardinale.

Il 18 agosto 1503 morì Alessandro VI e il vacillante stato di salute impedì a Cesare Borja di controllare la situazione. Dovette quindi scendere a patti con i Colonna e il Collegio cardinalizio. Quest’ultimo gli confermò il grado di capitano della Chiesa sino all’elezione del nuovo pontefice, ma gli fece promettere di allontanarsi dalla città. Borja si ritirò a Nepi sotto la protezione francese e rimase tagliato fuori dalla nuova elezione pontificia.

Al conclave per la successione di Alessandro VI i favoriti erano numerosi e tra loro si trovava ancora una volta Tedeschini-Piccolomini, ma sempre in posizione defilata. La sua candidatura, come quelle di Carafa e di Costa, appariva infatti legata ai meriti, teorici, della fallita commissione riformatrice. Luigi XII di Francia voleva invece il cardinale Georges d’Amboise, arcivescovo di Rouen, e pensava di ottenerne l’elezione grazie ai dodici cardinali spagnoli, ipoteticamente controllati da Cesare Borja. Questi, però, non poteva condizionare le sue creature da Nepi, mentre Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, era ben disposto verso Tedeschini-Piccolomini. Quest’ultimo sembrava inoltre ai cardinali spagnoli l’unico in grado di bloccare una reazione anti-ispanica. In questa già complicata situazione Giuliano della Rovere si oppose duramente al cardinale d’Amboise, che accusò di voler trasportare la Santa Sede in Francia. I cardinali italiani fecero mostra di condividere tale accusa, per convinzione o per opportunismo, e si batterono per un papa italiano, pur non trovando un candidato unitario.

Il 16 settembre si aprì il conclave, mentre crescevano i pronostici favorevoli a Tedeschini-Piccolomini. I cardinali approvarono dapprima una capitolazione elettorale, nella quale si dichiarava che il nuovo papa dovesse convocare un concilio per la riforma della Chiesa entro due anni dalla propria elezione e che in seguito analoghi incontri dovessero tenersi ogni tre anni. Nel frattempo Ascanio Sforza lavorava per scalzare d’Amboise, cui pure aveva promesso il suo voto, e al contempo sconfiggere della Rovere. Non si candidò apertamente, ma contribuì a rendere completo lo stallo delle candidature più forti. A questo punto Ascanio Sforza, Giovanni de’ Medici e Giovanni Colonna decisero di appoggiare Tedeschini-Piccolomini: il cardinale senese era infatti vecchio e malandato, quindi un ottimo candidato di transizione. I primi abboccamenti tra i cardinali di maggior peso rafforzarono le voci che davano Tedeschini-Piccolomini vincente. Gli accordi definitivi furono stretti la sera del 21 settembre, quando il cardinale d’Amboise decise che era meglio partecipare all’elezione di un pontefice italiano, piuttosto che esserne l’acerrimo nemico. La mattina seguente il cardinale di Siena fu plebiscitato e poche ore dopo venne dato l’annuncio ufficiale. Il re e i cardinali spagnoli ritennero di aver vinto la partita e i francesi pensarono di non averla persa, anche se presto si resero conto di averla solo rinviata viste le condizioni di salute del neoeletto. Quest’ultimo sottolineò comunque di non voler «esser papa de arme», ma di voler pacificare la Cristianità e riformare la Chiesa (A. Giustinian, Dispacci, a cura di P. Villari, II, Firenze 1876, p. 208).

Eletto, dunque, il 22 settembre 1503, Tedeschini-Piccolomini prese il nome di Pio III, in onore dello zio. Fu ordinato sacerdote il 30 settembre da Giuliano della Rovere (il futuro Giulio II), consacrato vescovo il 1º ottobre e coronato l’8 ottobre. Le cerimonie che solitamente seguivano alla cavalcata si tennero inusualmente nel Vaticano il 28 settembre, poiché il neoeletto risentiva di un violento attacco di gotta. Si recò in Laterano solo il 7 ottobre e vi celebrò per la prima volta la messa senza poter, però, alzarsi in piedi.

I senesi esultarono per il secondo papa in neanche mezzo secolo e la famiglia si rallegrò per le occasioni che le sembravano ora aperte. In effetti il pontefice nominò arcivescovo di Siena il nipote Giovanni. Inoltre portò nel Palazzo vaticano il seguito di quando era cardinale. Per quanto riguardava la conduzione finanziaria si appoggiò sul banchiere senese Giulio Spannocchi, suo camerario e depositario, come lo era stato di Alessandro VI. Inoltre confermò nella carica di tesoriere generale Ventura Benassai, vescovo di Massa, legato a doppio filo agli Spannocchi. Destinò altri benefici al viterbese Prospero Gatteschi, designato scutifero e fornito delle annate dei priorati dei SS. Giovanni e Vittore e di S. Maria in Carbonara di Viterbo. Viste queste scelte non pochi pensarono che Pio III non volesse rompere con gli uomini del pontefice precedente e tale supposizione fu confermata quando rinnovò a Cesare Borja l’autorità di gonfaloniere e vicario di Romagna. In realtà Pio III non era particolarmente ben disposto verso quest’ultimo e, quando quegli cercò rifugio in Castel S. Angelo, lo fece recludere, sperando di fargli rendere le ricchezze precedentemente incamerate.

Nei giorni successivi si palesarono le prime opposizioni al neoeletto, impedendo il suo riavvicinamento alla Francia e le manovre a favore dei parenti. Nel Concistoro dell’11 ottobre Pio III propose la porpora per François-Guillaume Castelnau de Clermont-Lodève, arcivesco di Narbonne e nipote del già menzionato Georges d’Amboise. I cardinali bloccarono questa designazione e quella del nipote del pontefice, arcivescovo di Siena. La discussione continuò sempre più violenta, stremando un papa assai debilitato. Fu preso dunque da violente febbri e il 15 ottobre i dottori iniziarono a temere per la sua vita. Morì tre giorni dopo: fu sepolto in S. Pietro e in seguito traslato a S. Andrea della Valle. Nelle Grotte vaticane si trova il suo cenotafio.

Pio III non ha goduto di una grande fortuna storiografica, nonostante la sua elezione fosse stata apprezzata a Roma e in tutta la penisola. Di certo gli è nuociuta la brevità del pontificato, commentata lapidariamente da un ignoto contemporaneo: «Vixit Alexander crudelis multos ad annos; / At Pius ad nullos. Quid iuvat esse pium?» (A. Pieper, Das Original des Diarium Burchardi, in Römische Quartalschrift für Christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, VII (1893), p. 394). Fu presto considerato pontefice di scarsa importanza da liquidare con poche battute, come testimonia Panvinio (Vita di Pio III, in Platinae Historia de vitis Pontificum Romanorum, Venetiis 1562, pp. 272 s.). Di fatto gli stessi contemporanei lo ritennero un ripiego e tale giudizio influenzò tutta la tradizione posteriore. Tuttavia Gaetano Moroni (Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LIII, Venezia 1852, pp. 70-73) ne sottolineò la «sollecitudine» e «gl’illibati […] costumi», preparandone una rivalutazione dovuta soprattutto ad autori di ambito senese, gli unici a occuparsene anche in tempi recenti.

In tutti gli studi risalta l’importanza della sua collezione di libri, tanto più che la sua biblioteca si arricchì dei lasciti dello zio Pio II, dell’amico Marco Barbo e di Agostino Patrizi, vescovo di Pienza. Si aggiunga l’importante acquisto, grazie a un prestito degli Spannocchi, della biblioteca di Giovanni Andrea Bussi, vescovo di Aleria in Corsica e primo bibliotecario della Vaticana. Possedette anche manoscritti del cardinale Nicola Cusano, in seguito pervenuti alla Biblioteca apostolica Vaticana (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4193, 8090).

Alfred A. Strnad ha abilmente ricostruito le sue relazioni con i maggiori autori della sua epoca. Mantenne stretti legami con Marsilio Ficino, Ludovico Odasio da Padova, Giovanni Cantalicio, Bonifacio Bembo, Carlo Valgulio, Giannantonio Campano, Antonio Lolli. Bartolomeo Sacchi, il Platina, gli dedicò la sua Vita Pii II e altre opere gli furono inviate da Poggio Bracciolini e Francesco Patrizi. La sua cerchia trascendeva la penisola italiana e comprendeva francesi, tedeschi e spagnoli. Inoltre quel che resta del suo archivio ci mostra lettere indirizzate a, o ricevute dai più importanti umanisti coevi: oltre a quelli già citati, troviamo anche Francesco Filelfo, Angelo Poliziano, Marcantonio Cocci (Sabellico), Ermolao Barbaro.

Si è già accennato al suo mecenatismo artistico, in gran parte esercitato in Toscana: il palazzo di famiglia e il duomo a Siena, il convento di S. Francesco a Pienza. Altri interventi furono romani, ma destinati alla gloria familiare: il monumento funebre per Pio II (prima a S. Pietro nella cappella di S. Andrea, oggi a S. Andrea della Valle) e una statua di S. Andrea per l’omonima cappella nella basilica vaticana. Resta da segnalare l’intervento per il restauro di S. Saba a Roma.

Fonti e Bibl.: L’Archivio segreto Vaticano (Reg. Vat. 464, 468-471, 475 e 515; Arm. XXIX, t. 10, e Arm. XXX, t. 52) e la Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat. 5641), nonché l’Archivio arcivescovile, l’Archivio capitolare e l’Archivio di Stato di Siena (in particolare la serie Lettere del Concistoro) sono ricchi di materiale su Pio III, come mostrano gli studi di A.A. Strnad citati, che ricordano anche la lettera a Giovanni Burcardo (Roma, Biblioteca Angelica, Mss., 1077, c. 87v). Il suddetto codice dell’Angelica contiene molte sue lettere, tra le quali quella a Ottavio Ubaldini, analizzata da R. Avesani, Sulla battaglia di Varca nel ‘De Europa’ di Pio II: Battista Franchi e il cardinale Francesco Piccolomini, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria delle Marche, ser. 8 (1964-65), pp. 85-103. Per le fonti senesi, cfr. P. Piccolomini, Il Pontificato di P. III secondo le testimonianze di una fonte contemporanea, in Archivio Storico Italiano, s. 5, XXXII (1903), pp. 102-138; Id., La vita e l’opera di Sigismondo Tizio, 1458-1528, Siena 1903; G. Marini, Degli archiatrii pontificii, Roma 1784, pp. 152-166, riporta la familia di Pio II del 1460; F. Cancellieri, Storia de’ solenni possessi de’ sommi pontefici, Roma 1802, pp. 53-55, offre alcuni dati sull’incoronazione e la morte di Pio III; infine L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, III, Roma 1932, pp. 645-679, è ricco di notizie sull’elezione e altro materiale anche documentario in questo e nel precedente volume (II, Roma 1932). È inoltre fondamentale I. Ammannati Piccolomini, Lettere (1444-1479), a cura di P. Cherubini, Roma 1997. La letteratura su Pio III non è particolarmente abbondante né di spicco, con l’unica eccezione di A.A. Strnad, Pio II e suo nipote Francesco Todeschini Piccolomini, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria delle Marche, s. 8, 1964-1965, pp. 35-84; Id., Francesco Todeschini-Piccolomini. Politik und Mäzenatentum im Quattrocento, in Römische Historische Mitteilungen, VIII-IX (1964-1966), pp. 101-425; alcuni studiosi legati alla famiglia o comunque di ambito toscano hanno ricostruito aspetti minori della biografia di Pio III: F. Piccolomini, Alcuni documenti inediti intorno a Pio II e P. III, in Atti e Memorie della Sezione Letteraria e di Storia Patria della R. Accademia dei Rozzi, n.s., I (1871), pp. 39-43; D. Bandini, Memorie piccolominee in Sarteano, in Bullettino Senese di Storia Patria, LVII (1950), pp. 107-130; Id., Gli antenati di P. III, ibid., LXXIII-LXXV (1966-1968), pp. 239-251; C. Ugurgieri della Berardenga, Pio II Piccolomini con notizie su P. III e altri membri della famiglia, Firenze 1973, pp. 504-523. Naturalmente l’epistolario e le biografie di Pio II, per i quali si rimanda alla voce, contengono ulteriori particolari. Per la bibliofilia dei due pontefici: F. Donati, Arredi sacri e libri posseduti dal cardinale Francesco Piccolomini, in Miscellanea Storica Senese, I (1893), pp. 150-153; E. Piccolomini, De codicibus Pii II et Pii III deque bibliotheca ecclesiae cathedralis, in Bullettino Senese di Storia Patria, VI (1899), pp. 483-496. Per i legami con la cultura senese: Umanesimo a Siena, a cura di E. Cioni - D. Pasti, Roma 1994. Per un bilancio sui rapporti fra l’ambito senese e Pio III: A. Koller, P. III papa toscano, in Bullettino Senese di Storia Patria, CXI (2004), pp. 319-328; Papa P. III. Francesco Tedeschini Piccolomini, a cura di V. Novembri - C. Prezzolini, Montepulciano 2005. La letteratura sulla legazione presso Carlo VIII è alquanto datata: J. Calmette, La légation du cardinal de Sienne auprès de Charles VIII, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire. École Française de Rome, XXII (1902), pp. 361-377; C. Maumené, Une ambassade du pape Alexandre VI au roi Charles VIII. Le cardinal François Piccolomini, in Revue de Deux Mondes, s. 5, LII (1909), pp. 677-708; E. Vecchi-Pinto, La missione del cardinale Francesco Piccolomini legato pontificio presso Carlo VIII, in Archivio della R. Deputazione Romana di Storia Patria, LXVIII (1945), pp. 97-110. Sul progetto di riforma della Chiesa sotto Alessandro VI e l’attività di Pio III nella commissione cardinalizia: L. Celier, Alexandre VI et la réforme de l’église, in Mélanges d’archéologie et d’histoire. École française de Rome, XXVII (1907), pp. 65-124. Per i rapporti con Ascanio Sforza: M. Pellegrini, Ascanio Maria Sforza: la parabola politica di un cardinale-principe del Rinascimento, Roma 2002. Sui rapporti con la Chiesa tedesca: J. Schlecht, Pius III. und die deutsche Nation, in Festschrift Georg von Hertling, München 1913, pp. 305-328. Su quelli con la Chiesa d’Inghilterra: The Cardinal Protectors of England, Rome and the Tudors before Reformation, Cambridge MA 1974; W.E. Wilkie, The Beginnings of Cardinal Protectorship of England: Francesco Todeschini Piccolomini, 1492-1503, Fribourg 1996.

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