28 aprile 1945, l’ultimo pasto di Benito Mussolini. Così sul lago di Como finiva il ventennio nero - la Repubblica

Milano

28 aprile 1945, l’ultimo pasto di Benito Mussolini. Così sul lago di Como finiva il ventennio nero

28 aprile 1945, l’ultimo pasto di Benito Mussolini. Così sul lago di Como finiva il ventennio nero

La ricostruzione delle ultime ore e dell'ultimo pasto di Mussolini con pane e salame, una tarda colazione a casa dei De Maria sorvegliato dai partigiani. Pasta in bianco, invece, per l'ultima cena (come i maccheroni antifascisti dei fratelli Cervi)

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Erano sul binario giusto della storia, avevano per le mani il pesce più grosso e la responsabilità di non farselo sottrarre: chissà la tempesta di pensieri di quei partigiani che, riconosciuto Mussolini in fuga sul lago di Como, avevano compreso che sarebbe toccato a loro sigillare l'atto finale della tragedia fascista.

Rabbia, stupore, l'euforia della cattura, ma anche un comprensibile smarrimento: come gestire quel personaggio che la propaganda aveva mitizzato per molti di loro fin dai tempi di scuola? “Amate il pane, cuore della casa, profumo della mensa, gioia dei focolari...” recitava una cantilena che, dalla fine degli anni Venti, 'figli della lupa' e 'balilla' avevano dovuto imparare a memoria. L'aveva scritta proprio lui, il duce di Predappio ed ex maestro: lo stesso prigioniero che, ora, avevano per le mani.

Musso, Lago di Como, ore 16 del 27 aprile. Mussolini viene catturato dopo la fuga da Milano iniziata nel pomeriggio del 25 dopo l'ultimo, drammatico incontro in arcivescovado con il cardinale Schuster e i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (celebre il dettaglio secondo cui, uscendo, incrociò un giovane Sandro Pertini, che ricorderà il duce “molto emaciato, pallido, irriconoscibile, non era più il baldanzoso delle fotografie”). Compresa l'impossibilità di un negoziato, Mussolini prepara la fuga verso nord, comandando con un ultimo guizzo d'autorità il “precampo a Como!”, città ancora sotto il controllo dei fascisti dove stavano convergendo migliaia di miliziani. Due le ipotesi, fuggire in Svizzera o tentare una resistenza a oltranza in Valtellina. La situazione, però, precipita e Mussolini riparte dalla prefettura lariana alle quattro del mattino del 26 lungo la strada Regina fino a Menaggio, fermandosi a mezzo lago, poi deviando verso la frazione Cardano di Grandola e Uniti, dove si ricongiunge una prima volta all'amante Claretta Petacci. È solo alla sera che il duce e i gerarchi in fuga vengono aggregati al famoso convoglio germanico diretto al passo dello Stelvio con duecento soldati della contraerea tedesca. Pare che, nei piani originari, Mussolini avrebbe dovuto lasciare anzitempo il convoglio, o per riparare in Svizzera o per essere prelevato in aereo (diretto in Spagna o in Baviera?) all'imbocco della Valchiavenna. Fatto è che, nel pomeriggio del 27, a Dongo, il duce – pur mimetizzato in divisa da soldato tedesco - viene riconosciuto su uno dei camion e arrestato insieme ai suoi gerarchi.
È a questo punto che iniziano a circolare versioni diverse sulle ultime ore di Mussolini, sulla sentenza, su chi materialmente l'ha eseguita, persino su un coinvolgimento inglese, a prescindere o meno dell'esistenza di un carteggio tra il duce e Churchill. Tra le certezze, però, emerge il racconto di quelle che furono le ultime ore di un uomo comunque braccato e probabilmente consapevole del suo destino: pochi ma significativi dettagli, che in Tremezzina, trovano ripetute conferme dagli anziani della zona, ma sempre dietro anonimato.

Riprendiamo il racconto: sono trascorse due ore e mezza dalla cattura quando i comandanti partigiani decidono di trasferire il duce nella casermetta della Guardia di Finanza di Germasino, poco sopra Dongo. Tocca ai finanzieri provvedere a quella che sarà l'ultima cena di Mussolini e della Petacci: il pasto è fatto preparare all'osteria del paese: pasta in bianco con un po' di burro e capretto arrosto – una specialità di queste terre arrampicate su montagne aspre e bellissime.

Certamente Giovanni Chiaroni e Teresa Mazzucchi, i gestori dell'osteria, non erano consapevoli di aver involontariamente marcato una nemesi storica, preparando al duce quella stessa e celebre “pastasciutta antifascista” (maccheroni al burro, appunto) che i fratelli Cervi avevano fatto cuocere quasi due anni prima a Campegine per festeggiare la caduta del fascismo! Acqua e spuma, niente vino.

Il rapporto tra Mussolini e il cibo era sempre stato complesso: odiava il purè, non amava eccessivamente la carne, consumava poca pasta, soffriva di stomaco ma pare andasse matto per un'insalata di aglio crudo condita con olio e limone.

La cena di Germasino è solo un dettaglio dell'ultima lunga notte del duce, in cui tutti temono colpi di mano per farlo fuggire: in pratica, nessuno sa dove mettere Mussolini e, così, ancora mimetizzato in divisa germanica, il duce viene condotto con la sua amante a casa della famiglia De Maria a Bonzanigo e presentato, appunto, come un soldato tedesco in fuga insieme alla donna. L'ordine è di «tenerli qui, perché non sappiamo dove portarli». Con i De Maria il duce scambia pochissime parole, è notte fonda e i due (lui ancora mimetizzato e con una robusta benda sul viso) si ritirano esausti in camera.

Poi l'ultimo pasto del 28 aprile, in realtà una “tarda colazione” in quanto i due dormono per buona parte della mattinata: non è vero, come spesso tramandato, che Mussolini non avrebbe accettato nessuna bevanda per paura di essere avvelenato ma, anzi, beve un caffè dopo aver mangiato pane e salame. Colazione troppo pesante, invece, per Claretta Petacci che chiede alla signora Lia solo un po' di latte e polenta. Il marito Giacomo De Maria non c'era: era corso in paese perché si era sparsa la voce che “doveva passare Mussolini”, evidentemente inconsapevole di avercelo proprio in casa sua. Intanto, il plotone di quattordici partigiani incaricati dell'esecuzione di Mussolini è già in viaggio da Milano verso Dongo: i due prigionieri sono prelevati nel pomeriggio e, poco dopo le 16, una scarica di mitra a Giulino di Mezzegra certifica la fine del ventennio nero.

Due giorni dopo, più o meno alla stessa ora, Adolf Hitler si suicida nel führerbunker di Berlino. Ci sono divergenze sull'ultimo menu: ufficialmente è prevista una cena con uova strapazzate e purè per il dittatore tedesco che, già negli anni Trenta, era diventato vegetariano. Tuttavia, Hitler ed Eva Braun si uccidono nel pomeriggio, e così l'ultimo vero pasto resta una pasta col pomodoro consumata poco prima. Gliel'aveva preparata Constanze Manziarly, al tempo ventitreenne e da due anni cuoca personale del führer: pare che lo stesso Hitler l'avesse incitata qualche giorno prima ad andarsene dal bunker, ormai nel mirino dell'Armata Rossa, ma lei rifiutò di fuggire.

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