I Baustelle contro il mondo - la Repubblica

Robinson

I Baustelle contro il mondo

Sexy, intimi e rock: hanno raccontato l’adolescenza tossica, la provincia meccanica, l’amore e la violenza. Ma il tour è finito e si guarda al futuro: “Orribile”
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Si spengono le luci, si apre la tenda rossa ed entri nella “red room” di Twin Peaks: un teatro della mente crudelmente simbolico dove tutto è possibile. Qui i Baustelle sono nudi, proprio come si rappresentano nell’immagine del poster del tour.

È come se la musica rispecchiasse le pulsioni del loro pubblico in un teatro dell’inconscio in cui ognuno può rivedere se stesso. E così ecco: «Amore antico, amica mia/ amore radio, nostalgia/ io non ti penso quasi mai/ ti ho dato in pasto agli avvoltoi». È Amanda Lear, una rilettura pop dei “marciti amori” del Baudelaire di Una carogna: «Se quest’anno t’hanno visto, mi dicono/ vomitare gli occhi e l’anima a un concerto rock/ abbracciata ad una testa di cazzo (…)/ I wanna be Amanda Lear/ il tempo di un lp/ il lato A, il lato B», canta Bianconi insieme a Rachele che, mentre balla, indica i due lati.

Un’intimità inusuale che accende la passione degli spettatori in questo rispecchiamento lynchiano dato dal palco che poi, nel secondo set, si trasforma e diventa invece un omaggio alla band più importante del rock, i Velvet Underground: il gruppo è seduto, con le chitarre acustiche, a riproporre un medley de Le rane e La guerra è finita e poi un altro con Gli spietati e Un romantico a Milano.

Il set si chiude con la programmatica Contro il mondo. Il terzo tempo invece è rock, con brani che mescolano la storia del gruppo, come La canzone del riformatorio e quella del Parco, con pezzi del nuovo disco Elvis, quali Andiamo ai rave.

Il gran finale è Charlie fa surf, pubblico in piedi e applausi infiniti. Backstage, stanchi ma contenti, con Claudio Brasini (chitarra) che dice di non ricordare un applauso così lungo nella loro storia. Chiedo se lavora ancora in banca e lui conferma: «Credo di essere l’unico direttore di banca della storia che fa il musicista a livello professionale», ride.

Poi Rachele, come sempre affascinante, bella come non mai, che oltre a cantare ha ballato per tutto lo show facendo impazzire la platea: «Questa sera siamo felici. Domani? Chissà…». E infine Francesco Bianconi: il coraggio di portare avanti una proposta complessa e diversa da ogni cosa.

Con “Elvis”, il nuovo disco dei Baustelle a cinque anni dal precedente, avete fatto prima una tournée molto rock nei club e poi una nei teatri che si è chiusa stasera con una data straordinaria in concomitanza con il Salone del Libro. Un live “Intimo e sexy” accompagnato da una band con molte novità tra cui una donna alla batteria in stile Moe Tucker.

«Volevamo chiudere portando le canzoni di Elvis nei teatri e quindi abbiamo operato delle scelte: ci sono i pezzi di Elvis, ma anche quelli del nostro repertorio passato dalle caratteristiche meno rock, meno elettriche e più noir, per usare un termine un po’ cinematografico. Volevamo evidenziare un mood che in realtà abbiamo sempre avuto. Elvis però era un disco molto carico e sfacciatamente quasi glam rock, quindi abbiamo deciso di far vedere la parte più confidenziale. Ecco, non è un concerto acustico: è un concerto con dell’elettricità ma posta in una maniera differente».

È vero che alcuni hanno pensato che il tour fosse vietato ai minori di 18 anni, visto il titolo?

«In realtà vietato ai minori è tutto ciò che sta fuori dal teatro».

Perché mancavate da così tanto e che pubblico avete ritrovato?

«Ognuno voleva portare avanti i suoi progetti e ha fatto la sua strada in questi anni. Il pubblico? Oggi è molto più variegato e contaminato. In parte più giovane: sono quelli “conquistati”, che non c’erano prima, e questo ovviamente mi fa piacere perché vuol dire che non siamo una band che vive di revival o di nostalgia, che è quello che più mi fa paura. In questo tempo di assenza è cambiato tutto e in particolar modo il mondo musicale. Che dire? Non bisogna fermarsi ma cercare di correre insieme al mondo».

C’è un pezzo del vostro disco che si intitola “Contro il mondo”. Contro quale mondo?

«Quello dell’omologazione. È una canzone dedicata a chi ha più di 35 anni che cerca di parodiare certi comportamenti da ribelli o da anticonformisti per poi ricadere nei comportamenti borghesi più stereotipati. Tra questi ci sono anch’io e i miei amici, una fascia di persone che forse fa un po’ fatica ad ammettere di aver fallito e di aver esercitato soltanto il cinismo e il nichilismo e il “non credo a niente” e “la sinistra che non c’è”. È la presa in giro di persone che si professano di sinistra e che sono sempre a criticarsi o a criticare tutti gli altri, la cosiddetta “gauche caviar”. Per me bisognerebbe sempre essere contro il mondo, idealmente, ma questa canzone descrive invece un modo fallimentare di esserlo».

A proposito, sei preoccupato per quello che sta succedendo in Italia in questo periodo?

«Sono molto preoccupato per il futuro, perché vedo crescere un livello di insensibilità di fronte al fatto che si sta tornando indietro su molti diritti conquistati con grande fatica in questo Paese negli ultimi anni. Vedo l’incredibile facilità con cui si riesce a spazzarli via. E vedo la gente prendere questa cosa come un dato di fatto, senza ribellioni e senza accorgersi che tornare indietro è molto pericoloso. Le cose rischiano di finire male ma io sono un pessimista e spero di sbagliarmi. Mi viene in mente quando, proprio insieme a Repubblica, abbiamo fatto una serie di incontri nelle università sul ’68, perché ricordo che già allora veniva fuori questo tema. Vivendo sugli allori, senza partecipare, rischi di non accorgerti di quello che ti viene tolto ma purtroppo, una volta tolto, non torna più, ed è una prospettiva orribile. Il mondo è orribile, come dice Houellebecq».

Cosa si può fare?

«Bisognerebbe che le persone fossero sempre nelle condizioni culturali per poter accorgersi che ti stanno portando via qualcosa e quindi, andando alle radici del processo, sono molto preoccupato dell’ignoranza o dell’analfabetismo di ritorno. Non so dirti la causa ma è evidente che viviamo in un’epoca in cui, secondo me, i politici se ne stanno approfittando».

C’è un futuro per i Baustelle?

«Non è finita. Questo disco e questo tour mi hanno fatto venir voglia di tornare a fare molte cose: non voglio celebrare noi stessi perché se c’è una cosa che odio è, come ho detto, il revival. Credo che questa volta non bisognerà aspettare cinque anni».

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