Le frasi fatte dei Pro-vita&co - La Stampa

Mentre in Francia (da poco meno di due mesi) il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è all’interno della Costituzione, in Italia (tanto per cambiare) si prova a fare retromarcia e, invece di mobilitarsi di fronte all’attacco che le donne stanno subendo in molte parti del mondo per proteggerne i diritti e la libertà, si introduce nel decreto attuativo del PNRR un emendamento che apre la porta dei consultori a “soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno della maternità”. Sosteniamo la genitorialità, certo! Ce n’è bisogno: padri, madri, nonni e zie non aspettano altro, sono anni che chiedono misure in grado di aiutarli – come si fa anche solo a immaginare di poter conciliare vita lavorativa e vita familiare senza risorse e senza servizi? Sosteniamo la genitorialità, quindi – che, però, non è fatta di sola maternità, né c’entra molto con i buoni propositi (e i sensi di colpa) delle associazioni antiabortiste. Perché è di Pro-vita & co. che parla l’emendamento della maggioranza: soggetti che si riempiono la bocca di frasi fatte o minacce oppure di entrambe le cose, visto che si va da: “il nuovo studio che conferma il legame tra aborto e malattie cardiovascolari” a: “è un omicidio, è un atto criminale”.

Ma è questo che vogliamo che si sentano dire le ragazze e le donne che arrivano nei consultori perché non possono, non vogliono, non se la sentono, non ce la fanno, o mille altri motivi per i quali hanno deciso di ricorrere ad una interruzione di gravidanza? Prima dell’approvazione delle leggi che hanno via via legalizzato la contraccezione e resa lecita la pratica dell’interruzione di gravidanza (ma anche prima delle lotte di tante donne affinché le altre donne potessero decidere liberamente e autonomamente come vivere la sessualità e la procreazione), ogni donna doveva affrontare da sola, e sulla propria pelle, il problema delle gravidanze indesiderate. Per secoli, le donne sono state costrette ad abortire nella clandestinità ammalandosi e morendo. Per secoli, hanno stretto i denti e hanno cercato di andare avanti, convinte che la sofferenza e le malattie fossero un giusto castigo. Per non parlare poi dell’ipocrisia della società che permetteva ad alcune, le più privilegiate, di abortire tranquillamente, lasciando le altre nella disperazione. Come scriveva Simone de Beauvoir: “Gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo; ma la donna sperimenta queste contraddizioni nella sua carne ferita pur considerandosi vittima di un’ingiustizia, si sente contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto forma concreta e immediata, in sé, la colpa dell’uomo”.

In Francia, la sera in cui il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è stato inserito nella Costituzione, sulla Tour Eiffel è comparsa a lettere cubitali la scritta #MyBodyMyChoice, “il mio corpo, la mia scelta”, un modo per dare voce a ogni donna, grazie anche all’uso della prima persona singolare. In Italia invece, quando è stato inserito l’emendamento pro-vita, sono stati per lo più gli uomini a esprimersi, appropriandosi ancora una volta della voce delle donne. Ma è davvero questa l’Italia che vogliamo?