Cosa succede dopo il rimpasto di Putin, la mossa dello Zar per sopravvivere alla sua guerra lunga - la Repubblica

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Cosa succede dopo il rimpasto di Putin, la mossa dello Zar per sopravvivere alla sua guerra lunga

Cosa succede dopo il rimpasto di Putin, la mossa dello Zar per sopravvivere alla sua guerra lunga

Il senso della manovra è di proteggere economia e società dal conflitto ucraino: perché in Russia impero e regime cadono insieme

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La guerra di logoramento logora anche chi pare la stia vincendo. Se è vero che l’Ucraina è un paese semidistrutto, per un quinto occupato dal nemico, totalmente dipendente dall’aiuto occidentale e ormai a rischio collasso per ammissione dei suoi stessi leader, la Russia non ha speciali motivi per festeggiare.

Certo, ha resistito molto meglio del previsto alle sanzioni americane ed europee. Di più: può contare sull’autosufficienza alimentare ed energetica, a differenza della gran parte dei sanzionanti o fingenti tali.

Ma deve fare i conti con la realtà: l’operazione militare speciale è guerra a tutto tondo che impegna la Russia su vari fronti contemporaneamente, ma verte sulla stabilità e sul connesso benessere in casa propria.

Con un limite chiaro: Putin non può permettersi una mobilitazione totale che minerebbe alla base il patto sociale stabilito non solo con le élite ma con la borghesia di Mosca, San Pietroburgo e della Russia europea in genere. Insomma, con i russi che contano. E che non vogliono dover contare i propri giovani morti in battaglia né tirare la cinghia per il Donbass da ricostruire. Le perdite più gravi per la Russia non sono i morti al fronte ma le centinaia di migliaia – forse un milione e più – di cittadini ricchi, spesso giovani, che hanno lasciato il Paese a causa della guerra. Per protesta, per calcolo personale o per entrambe le ragioni.

Ancora meno - e per lo stesso motivo: il consenso – Putin può orientare l’economia all’ossessivo servizio del settore militare, concausa a suo tempo del crollo sovietico. Specialmente se l’aumento delle spese per la difesa è accompagnato dalla dispersione dei relativi investimenti causa inefficienza e corruzione.

Il senso principale del rimpasto di governo, in particolare dell’installazione di un economista, Andrej Belusov, alla guida del ministero della Difesa, deriva dalla necessità di turare le falle nella gestione dell’economia di guerra. La Russia si attrezza per una guerra lunga. Economica e sociale, non solo militare. Al di là dell’Ucraina, dove persegue l’obiettivo di una lunga tregua che sanzionerebbe le sue conquiste e le assicurerebbe l’obiettivo strategico: tenere Kiev fuori dalla Nato. Soprattutto senza missili e basi americane al suo interno.

Il confronto militare con l’”Occidente collettivo” è destinato a estendersi nel tempo e nello spazio. Quindi si tratta di curare i mali strutturali che potrebbero incrinare la tenuta dell’impero e del suo regime. Destinati a resistere o a cadere insieme, come storia russa conferma.

La sostituzione del ministro della Difesa Shoigu con un economista esterno al cerchio magico putiniano, di formazione accademica, soprattutto onesto e sobrio - quindi perfetto opposto del predecessore deposto, intimo del capo, corrotto e propenso alla bottiglia – chiude definitivamente il caso Prigozhin. Fatto fuori con le spicce il sindacalista ribelle della Wagner, Putin ne rimuove l’indifendibile avversario, poco stimato dai militari che nominalmente comandava. Certo nemmeno Belusov dirigerà le Forze armate, compito che resta al discusso Gerasimov e ai generali di prima fila, fra i quali un ruolo crescente potrebbe assumere Surovikin, appena rientrato dall’Africa. Il tutto sotto lo stretto controllo di Putin. Ma il professore di economia dovrà far marciare l’apparato militar-industriale, cuore dell’economia di guerra, riducendone le leggendarie sacche di inefficienza. In coordinamento con gli altri settori strategici che il Cremlino sta riorganizzando per la guerra lunga, a cominciare dall’agricoltura.

Siamo in Russia, quindi il governo non governa, amministra secondo le direttive del Cremlino. È funzione tecnica, non strategica. Quest’ultima pertiene a Putin e al suo gruppo di potere: l’intelligence civile e militare, non brillante almeno nella prima fase della guerra d’Ucraina. Sotto questo profilo, sarà interessante vedere che fine farà l’anziano Nikolaj Patrushev, già strettissimo consigliere del presidente, che lascia il posto di responsabile del Consiglio di Sicurezza allo stesso Shoigu – segno del depotenziamento di quest’organo. Come sarà da valutare l’ascesa del figlio Dmitrij - che sarà uno dei viceministri del confermatissimo Mishustin - non dotato dei talenti paterni ma da tempo considerato fra i possibili successori di Putin. Perché in un regime che poggia sulle spie il criterio ultimo di valutazione è la fedeltà al capo.

Interessante infine la conferma di Sergej Lavrov, che (non) festeggia il ventesimo anno di abile gestione del ministero degli Esteri. Del quale si sa non fosse entusiasta dell’operazione speciale – come diversi altri uomini di vertice - ma non di meno continua a servire il suo Paese da universalmente stimato tecnico della diplomazia. E che proprio non riesce ad andare in pensione a rileggersi l’amato Bulgakov.

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