Le risposte ad alcuni misteri botanici potrebbero aiutare il clima del nostro pianeta | National Geographic

Le risposte ad alcuni misteri botanici potrebbero aiutare il clima del nostro pianeta

L’incredibile diversità genetica rinvenuta nei siti di origine di queste coltivazioni essenziali può aiutare gli agricoltori a creare varietà resistenti a calore e siccità.

DI Gabriel Popkin

pubblicato 16-05-2024

Le risposte ad alcuni misteri botanici potrebbero aiutare il clima del nostro pianeta

La Brassica rapa è arrivata a noi migliaia di anni fa dalle montagne vicino al confine tra Afghanistan e Pakistan. Questo ortaggio viene coltivato in diverse varietà tra cui la rapa, il bok choi e il cavolo di Pechino.

FOTOGRAFIA DI Henrik Kettunen, Alamy

Che cosa hanno in comune il kimchi speziato assaporato all’angolo di una strada di Seoul, un gustoso stufato di rapa per riscaldarsi nei gelidi inverni nordeuropei e il cavolo nero croccante, assaggiato in un caratteristico locale del sud degli Stati Uniti?

Tutti questi piatti sono strettamente legati a una di queste due specie: Brassica rapa e Brassica oleracea. Se poi utilizziamo dell’olio di colza per friggere, come accade in milioni di case ogni giorno, allora stiamo approfittando di un ibrido tra le due: la Brassica napus.

Per oltre un secolo, gli scienziati hanno fatto ipotesi sulle origini di questi ortaggi così importanti a livello globale. Nel 2021, i ricercatori hanno analizzato il DNA di centinaia di brassicacee selvatiche in tutto il mondo, risolvendo una serie di misteri: la Brassica rapa — che comprende, tra gli altri, rape, bok choi, cavolo di Pechino e altre ancora — proviene dalle montagne vicine al confine tra Afghanistan e Pakistan; mentre la Brassica oleracea — meglio nota per alcune delle sue varietà di broccoli, cavolfiore, cavolo nero, kalé e cavolini di Bruxelles — ha origine nella regione orientale del Mediterraneo.

Gli studiosi hanno spiegato che questi risultati dovrebbero spingere a una seria attività di raccolta e conservazione delle piante di quelle zone. Mentre il mondo si avvia verso un futuro più caldo e instabile, le piante erbacee come le crucifere, insieme a mais, grano e altri ortaggi essenziali per la sicurezza alimentare del mondo, potrebbero essere messe a dura prova da calore, siccità e malattie. L’incredibile diversità genetica, rinvenuta nei siti di origine di queste coltivazioni, può aiutare gli agricoltori a creare varietà nuove e resistenti per sfamare un mondo sempre più a corto di cibo e messo a dura prova dai problemi climatici.

“Credo davvero che questi studi siano fondamentali”, spiega Michael Purugganan, biologo dell’Università di New York, non coinvolto nella ricerca, “rappresentano le basi per un approccio più intelligente alla ricerca dei geni coinvolti nell’adattamento”.

I “cani del mondo vegetale”

Le brassicacee, dette anche crucifere, hanno da sempre sorpreso, entusiasmato e confuso biologi e agricoltori. Vengono comunemente paragonate ai cani per l’eccezionale varietà di vegetali che i selezionatori sono riusciti a ottenere da loro: le radici ricche di amido, le grandi infiorescenze di broccoli e cavolfiori, le varietà di cavolo nero coltivate in Africa e successivamente in Sudamerica, la panoplia degli ortaggi asiatici. Ricchissime di vitamine e nutrienti, ogni anno in tutto il mondo vengono vendute per un valore di almeno 14 miliardi di dollari (11,7 miliardi di euro).

Ma questa stessa diversità rende ancor più difficile tracciarne le origini. Come spiega il botanico Alex McAlvay del Giardino botanico di New York nel Bronx, se coltivati, questi vegetali “saltano” facilmente oltre il recinto e tornano a crescere in natura, come un cane addomesticato che torna a essere selvaggio. Dalle Americhe fino ai confini dell’Asia, i loro fiori gialli sbocciano nelle praterie costiere, lungo i bordi delle strade e nei campi coltivati, dove gli agricoltori spesso le accolgono per aggiungere varietà alla propria dieta.

Molti popoli sostengono, o per lo meno suppongono, che le loro brassicacee siano state le prime: dall’Europa occidentale all’Asia orientale e in ogni Paese nel mezzo. Lo stesso Charles Darwin si chiese se i cavoli selvatici, lungo le coste inglesi, fossero gli antenati della Brassica oleracea.

Chris Pires, biologo evoluzionista presso l’Università del Missouri in Columbia, spiega che la genetica di questa specie è “un delizioso pasticcio”.

Dello stesso parere è anche la genetista Makenzie Mabry del Museo di storia naturale della Florida di Gainesville. “Sono famose per essere un tipo di pianta difficile da studiare”, aggiunge. “Adorano mescolare il loro polline le une con le altre”, quindi quelle che crescono in natura sono spesso ibridi con molteplici antenati.

Un lavoro da detective

Per risolvere questi misteri, due team di ricercatori hanno messo insieme i semi da banche dei semi e raccolte di tutto il mondo. Un team, guidato da McAlvay che includeva anche Pires e Mabry, ha usato la tecnologia della genomica per sequenziare parte dei genomi di oltre 400 campioni di Brassica rapa — molti di più di quanti non fossero stati sequenziati in precedenti studi sulle origini della coltivazione — e i modelli ambientali per stabilire dove potevano crescere le brassicacee.

I ricercatori, inoltre, si sono avvalsi dell’aiuto dei colleghi linguisti e archeologi per raccogliere altri tipi di prove, come i riferimenti alle rape e ad altre varietà presenti nella letteratura antica e i ritrovamenti avvenuti nei siti degli antichi villaggi. “Siamo tutti detective che lavorano su diversi aspetti dello stesso caso”, afferma McAlvay.

Hanno scoperto che le sequenze genetiche e i riferimenti letterari convergevano tutti sull’Hindu Kush, un’aspra regione montuosa dell’Afghanistan, vicino al confine con Pakistan e Tagikistan. Il primo vegetale coltivato fu la rapa, tra i 3.500 e i 6.000 anni fa. Solo successivamente gli agricoltori crearono varietà a foglia, come tatsoi, bok choi e quelle che in italiano vengono chiamate cime di rapa, nonché semi come quelli di ravizzone, usato per l’olio e la senape, impiegata nella cucina indiana. I ricercatori hanno riportato le loro scoperte sulla rivista scientifica Molecular Biology and Evolution.

Per la Brassica oleracea un’analisi simile su oltre 200 campioni, condotta da Mabry and Pires e che includeva tra gli altri anche McAlvay, indicava come luogo d’origine le isole interne e circostanti al Mar Egeo, tra la Grecia e la Turchia.

Secondo Purugganan, la ricerca “aggiunge conoscenze molto importanti su queste piante: si tratta della prima vera analisi sistematica a livello della popolazione genomica per queste specie”.

Ma, sottolinea, “non penso che questo chiuda la questione”: sono infatti necessarie ulteriori analisi sulle piante raccolte nei siti di origine.

Origini diverse

Questi studi si sono inseriti in un momento difficile, sia per gli agricoltori che per i consumatori a livello globale. Il clima caldo, siccità e inondazioni sempre più frequenti stanno già colpendo i raccolti in alcune aree e il numero di persone che soffrono la fame ha ripreso ad aumentare, dopo decenni di graduale diminuzione. Le brassicacee sono maggiormente adatte ai climi più freddi, quindi sono potenzialmente vulnerabili proprio dove costituiscono un pilastro della dieta. Ad esempio, i ricercatori coreani hanno scoperto che il cavolo cinese, fondamentale per preparare il condimento nazionale della Corea, ovvero il kimchi, è sensibile sia al calore che alla siccità.

La colza, un ibrido tra Brassica rapa e Brassica oleracea, coltivata a livello mondiale per l’omonimo olio, potrebbe essere determinante per l’approvvigionamento alimentare globale. Le varietà commerciali di colza presentano una scarsa diversità genetica, offrendo ai ricercatori poche risorse per la coltivazione nelle zone climatiche più complesse. “C’è senza dubbio un notevole margine di miglioramento”, afferma Annaliese Mason, ricercatrice che si occupa di selezione vegetale presso l’Università di Bonn, in Germania.

Secondo i ricercatori, questi risultati potrebbero essere utili. Nei luoghi di origine delle coltivazioni si riscontra una diversità genetica decisamente maggiore che altrove. I selezionatori dei vegetali spesso cercano nuovi geni proprio da quei siti per migliorare caratteristiche come la resistenza alle malattie, il sapore e la tolleranza a calore e siccità. Questi esperti, ad esempio, hanno utilizzato i geni delle patate selvatiche per difendersi dalla devastante peronospora che provocò la Grande carestia irlandese. Quelli ritrovati nel grano selvatico hanno sostenuto la resistenza al fungo che provoca la ruggine del frumento nelle principali varietà di grano, stimolando la cosiddetta Rivoluzione verde che ha ridotto drasticamente la fame e la malnutrizione nell’Asia meridionale tra il 1960 e il 1970 e si pensa abbia salvato milioni di vite.

Secondo i ricercatori, è urgente raccogliere e conservare i semi dai nuovi siti identificati come origine delle brassicacee prima che vengano spazzati via da minacce causate dall’uomo o dalla natura. McAlvay teme che siano presenti pochi semi di Brassica rapa dall’Hindu Kush nelle banche dei semi globali e che il riscaldamento possa portare la pianta a migrare sui versanti delle montagne. È un destino pericoloso quello che affrontano molte specie di montagna poiché, prima o poi, raggiungeranno la vetta e, nel frattempo, soffriranno a causa della continua riduzione della loro zona di crescita. Mabry, inoltre, aggiunge che le piccole popolazioni sulle isole, dove probabilmente ha avuto origine la Brassica oleracea, possono essere particolarmente indifese. 

Eve Emshwiller, etnobiologa presso l’Università del Wisconsin-Madison, co-autrice dello studio sulla Brassica rapa, ricorda che in questi progetti di ricerca si possono raccogliere e conservare, oltre agli antenati originali, anche le piante selvatiche in altri bacini di biodiversità. Le varietà che crescono in natura spesso sono considerate piante infestanti e talvolta agli agricoltori viene suggerito di estirparle.

“Qualunque cosa riservi il futuro per queste coltivazioni, dobbiamo assolutamente conservarne tutti gli elementi, le varietà coltivate, la diversità degli alleli e dei geni in esse contenuti ed evitare anche l’estinzione delle varietà selvatiche affini”, conclude Emshwiller.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.