La Dea Fortuna Recensione

La Dea Fortuna: recensione del nuovo film di Ferzan Özpetek con Edoardo Leo e Stefano Accorsi

19 dicembre 2019
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I fan del regista italo-turco ritroveranno nel film il cinema che amano, ma questa volta ci sono più misura, maturità e verità: e anche chi non lo ama potrà apprezzare, grazie anche a Stefano Accorsi e - soprattutto - Edoardo Leo.

La Dea Fortuna: recensione del nuovo film di Ferzan Özpetek con Edoardo Leo e Stefano Accorsi

Tutto ciò che ha fatto e fa il cinema di Ferzan Özpetek, qui c'è.
Da un certo punto di vista, quello di La Dea Fortuna è un ritorno al passato per il regista, a territori e storie e situazioni che gli sono più vicini e congeniali. E quindi, in questo nuovo film, si ritrova praticamente tutto quello che può fare la felicità dello zoccolo duro dei suoi appassionati: le passioni forti che sfociano nel mélo e nelle scene madri, la famiglia allargata e il cast corale rigorosamente in versione LGBT, i movimenti vorticosi della macchina da presa, l'uso diffuso della musica (con Mina in questo caso a fare da nume tutelare) e le case bellissime. Sia il bell'appartamento romano nel quartiere di Sant'Ignazio dove vivono i protagonisti, che la sontuosa Villa Valguarnera di Bagheria abitata da una magnifica Barbara Alberti in versione strega di Hansel e Gretel.

Eppure, nonostante questa incontestabile continuità con il passato e con uno stile chiaramente riconoscibile (che piaccia o meno è un altro discorso), La Dea Fortuna è un film che pare raccontare un Ferzan Özpetek cambiato, diverso, maturato. Anche meno conciliato e conciliante. Capace questa volta di parlare con nuova efficacia anche a chi non fa parte dello zoccolo duro dei suoi sostenitori.
Nel riproporre i suoi marchi di fabbrica, il regista - che pure ha dichiarato aver fatto un film seguendo l'istinto e la voglia di libertà - trova una misura e una moderazione inedite, che magari in certi momenti mélo sono relative ma che comunque servono a tenere La Dea Fortuna ben piazzato sul suo baricentro narrativo.
E schivando certi vezzi, i balli collettivi sotto la pioggia, o alcune scene che rompono l'andatura per il solito eccesso di passione, è impossibile non notare nel film, nella sua storia, e nei personaggi, un calore e un'umanità reali e palpabili.

Al centro di tutto, ci sono Arturo e Alessandro, che poi sono Stefano Accorsi e Edoardo Leo. Le due metà di una coppia in crisi, alle prese con trasformazioni universali, alla ricerca di nuovi modi per amarsi, del senso di quello stesso amarsi, di cosa valga o non valga la pena fare nel nome di questo amore.
Certo, ci sono anche i bambini che piombano nella loro vita: ma tutto sommato, in La Dea Fortuna, sono poco più che accessori, come accessori sono tutte le altre sotto trame e gli altri personaggi: quelli riusciti (la coppia formata da Filippo Nigro e Pia Lanciotti, simbolo di un amore che con dolore e magia si rinnova ogni giorno, perché lui ha l'Alzheimer), e quelli meno.
Dei bambini, tutto sommato, a Özpetek pare interessare relativamente, tanto più che li maneggia in maniera non sempre credibile. A Özpetek, alla fine, stanno a cuore Arturo e Alessandro.

Quelli di Accorsi e Leo sono personaggi scritti bene (dal regista, con l'abituale spalla di Gianni Romoli, e con Silvia Ranfagni, nuova entrata che ha evidentemente portato con sé un rinnovamento della linfa narrativa). E sono entrambi bene interpretati dai due attori; anche se la vera sorpresa viene dal romano.
Lontano dai terreni cui ci ha abituato, ma senza averli dimenticati, Leo trova una misura non facile nel registro drammatico come quello più leggero, così come nella veloce alternanza tra i due. E con quel fare più spiccio, diretto e popolare che gli è proprio - anche solo con suo esercitare una professione manuale e "proletaria" come quella dell'idraulico, contrapposta a quella intellettuale del personaggio di Accorsi, che è un traduttore frustrato per aver abbandonato i sogni di cattedra universitaria - aiuta a piazzare saldamente nel reale nel verosimile i mondi e i sentimenti di Özpetek come forse mai prima era avvenuto nel suo cinema.
Grazie a tutto questo la tensione tra i due, tutta giocata sugli sguardi, i piccoli gesti, i non detti che pure sono presenti tra tante parole, coinvolge e convince, e spinge al rispecchiamento dello spettatore in quel rapporto affettivo e sentimentale in cerca di un rinnovamento e di un nuovo slancio.

Perché davvero, nel cuore del suo racconto, quella di La Dea Fortuna è una storia che, vivaddio, non ha nulla a che vedere con le questioni di genere (e forse non a caso anche in quello il regista ha smorzato certi toni in passato troppo folkloristici e sopra le righe nel racconto di una comunità).
Perché, per usare le parole perfette pronunciate da Barbara Alberti in conferenza stampa, qui non si parla di gay o non gay, ma di essere felici o di non esserlo.
Alla fine si tratta di una scelta: siamo noi a mettere il cappello dell'ottimismo o del pessimismo al caso della vita. Ce lo insegnavano i romani, ce le ricorda oggi Ferzan Özpetek.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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