ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl film

Il grande slam di Guadagnino

Challengers. La nuova commedia del regista di «Chiamami col tuo nome» racconta un triangolo tennistico, erotico che conquista i ragazzi. Ottima regia

di Cristina Battocletti

Una scena dal film “Challengers” di Luca Guadagnino

I punti chiave

  • Un film che successo tra i giovani
  • Il triangolo e la centrifuga temporale
  • Zendaya, la star
  • L’eros
  • I brand
  • The dreamers

3' di lettura

Un film che ha successo tra i giovani

Il triangolo tennistico, erotico, passionale in chiave di commedia di Luca Guadagnino risponde perfettamente ai desideri cinefili di un’audience giovane: la competizione (che soffrono), l’amicizia (che bramano), la fluidità sessuale (che pretendono), la parità sociale, di genere e di colore di pelle (sacrosanta). Me lo ha spiegato un manipolo di teen e ventenni fuori dalla proiezione di Challengers, visto che ero uno degli spettatori più âgée della sala, nonostante il film esaudisse anche i miei di gusti, più attempati.

Loading...

Una storia di tennis ma non solo

La storia inizia nel 2019: Art Donaldson (Mike Faist), stella del professionismo tennistico a un soffio dagli US Open, si misura al torneo Challenger di New York, molto sotto alla sua categoria, per riprendere fiducia dopo sonore sconfitte. Dall’altra parte della rete c’è Patrick Zweig (Josh O’Connor), il cui cognome, viste le attitudini letterarie del regista, è forse un omaggio allo scrittore austriaco Stefan. Tra il pubblico, la moglie e allenatrice di Art, Tashi Duncan (Zendaya), ex promessa del tennis, fermatasi dopo un grave infortunio al ginocchio.

Il triangolo e la centrifuga temporale

Da qui ha inizio una centrifuga temporale di avanti e indietro, che rivela un trascorso tra i tre, per il godimento del pubblico più rodato, “sfidato”, come i protagonisti, challengers, sfidanti, dal montaggio di Marco Costa. Il triangolo si rovescia continuamente nei dialoghi spiazzanti e ironici di Justin Kuritzkes, ribaltando certezze e tenendo vibrante la commedia.

A ogni resa dei conti, dove la battuta non riesce a spezzare il melodramma, arriva il sorrisino sghembo di O ’Connor, un’inquadratura sdrammatizzante dal basso o un ralenti. Guadagnino se lo può permettere, è abituato a flirtare abilmente con i generi, dal dramma, all’horror, al thriller, alla commedia nella sua attitudine al cinema-cinema, tra carrellate, angolazioni inusuali (violentissima quella della racchetta) e inquadrature tradizionali, debitrici qui di Partita a quattro di Ernst Lubitsch (1933).

Zendaya, la star

Riesce a governare Zendaya, per cui gran parte del pubblico si è fiondata al cinema: la fa uscire dal macchiettismo disneyano, dall’iperspazio di Dune e dal maledettismo di Euphoria, per cui è amatissima.

Il triangolo

È lei la vera star del trio, O’ Connor lo abbiamo visto recentemente ne La chimera di Alice Rohrwacher e in The Crown nei panni di un giovane Carlo. Il regista però la mette alla pari nell’arena, tanto che alla fine il pubblico è folle d’amore anche per Art e Patrick. Guadagnino è un estimatore devoto delle sue attrici, come Tilda Swinton con cui ha un lungo passato lavorativo (The protagonists, Io sono l’amore, A bigger splash, Suspiria). In Zendaya fa emergere un’interprete piena, un poco Steffi Graf e un poco Sophia Loren col capello vaporoso, credibile nelle sue rivendicazioni contro i wasp benestanti, pragmatica rispetto al ricco e talentuoso Patrick che vive di espedienti, e ad Art, tecnicamente impeccabile, ma vulnerabile anche nell’ambizione (Open di Agassi).

L’eros

Trasforma le sproporzioni del volto in pregi, rendendo giustizia alla recitazione. L’erotismo estenuato rimane seduzione elegantissima, ferma alla biancheria intima. Di Tashi non si vede nemmeno un seno e su di lei lo sguardo non è mai carnale: alla fine è il rapporto tra maschi ad essere più forte di tutto, come vuole Brokeback Mountain. La volgarità e lo scandalo son lontani: solo nello spogliatoio vagano fugaci membri e sederi in campo lungo. Di Art e Patrick al massimo fissa la tensione di bicipiti, polpacci, pettorali e addominali. Per il palato dei ragazzi ci sono anche gli outfit del costume designer Jonathan Anderson.

I brand

La brandizzazione è proposta come una lussuria pari alla sensualità che il film sprigiona in ogni inquadratura. C’è poi l’estetismo camp (vedi Susan Sontag e Tommaso Labranca): Guadagnino fa un uso deliberato e sofisticato del kitsch. Nelle riprese (il lungo bacio tra Tashi e Patrick nella notte spazzata dal vento); in situazioni omoerotiche (churros e banane mangiati maliziosamente, anche se la scena della pesca in Chiamami con il suo nome rimane nell’olimpo dell’iconicità); in atteggiamenti esageratamente affettati (l’arbitro).

The dreamers

Del tanto annunciato rifacimento di The dreamers c’è poco, salvo la venerazione bertolucciana che si innesta in qualche calco registico. Challengers doveva inaugurare Venezia, lo sciopero degli autori l’ha impedito. Ma è perfino meglio: oggi il miracolo Sinner mette (almeno in Italia) anche i tennis-agnostici a proprio agio. Game, set, match.

4 stelle su 5

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata ©
Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti