Tra due mondi, perché vedere il nuovo film di Juliette Binoche

Il nuovo film di Juliette Binoche, Tra due mondi di Carrère, è un esperimento esistenziale (estremo)

Per realizzarlo ha lavorato sui traghetti con le donne delle pulizie, di cui ha dovuto conquistarsi la fiducia. Ecco come ha scoperto un universo femminile inimmaginabile

«Sono le invisibili, le sfioriamo nei luoghi pubblici, negli alberghi delle vacanze, e non sappiamo niente di loro. Quasi sempre arrivano con il buio e ripartono al mattino quando noi entriamo in campo. Mi sono calata nelle loro vite, ho lavorato fianco a fianco con le donne addette alle pulizie nei grandi complessi». Juliette Binoche ci racconta così l’avventura vissuta per girare Tra due mondi (nei cinema dal 7 aprile), film emozionante diretto dallo scrittore Emmanuel Carrère (alla sua terza regia) e tratto dal libro-inchiesta Le quai de Ouistreham della giornalista Florence Aubenas, per mesi mimetizzata fra le donne che faticano soprattutto su navi e traghetti del porto di Ouistreham, nel nord della Francia.

Nessuna fino all’ultimo era riuscita ad intercettarne la vera identità, ma non è stato così per Juliette Binoche che certo non poteva passare inosservata nel gruppo di vere lavoratrici con cui recitava. Per i diritti di questo film l’attrice francese si è battuta per anni, resistendo a tutti i dinieghi di Aubenas, che alla fine ha ceduto solo a condizione che a dirigerlo fosse proprio Carrère, oggi impegnato a raccontare il conflitto in Ucraina dopo aver documentato il processo per l’attentato al Bataclan. La tenace Binoche ha vinto la sua partita e realizzato un progetto che ha attraversato la pandemia, ha debuttato a Cannes e arriva adesso in Italia, festeggiato nei giorni scorsi in apertura dell’evento Rendez-vous, il festival del nuovo cinema francese a Roma. Binoche tornerà presto romantica e passionale tra le braccia di Vincent Lindon in Avec amour et acharnement di Claire Denis e sarà probabilmente protagonista a maggio sulla Croisette con Le Lycéen di Christophe Honoré, ma Tra due mondi è il suo film politico, la sua ricerca di verità sulle donne svantaggiate, come racconta a Elle in un dialogo pieno di emozioni e qualche dubbio.

Quanto è stato importante per lei l’incontro con il libro di Aubenas?

Ho scoperto un universo femminile di cui non si parla, invisibile appunto. Molte di queste donne si trovano da un momento all’altro in difficoltà, hanno tra i quaranta e cinquant’anni, un’età difficile per trovare un nuovo lavoro. Spesso abbandonate dal marito, si ritrovano sole con figli da allevare, in appartamenti improvvisati, prive di risorse e quindi si adeguano a lavori umili, saltuari, ricostruiscono i loro orizzonti sulla precarietà. Spesso sono immigrate, scappano da terre pericolose, fuggono dalla guerra e comunque tengono duro, mantengono coraggio e indipendenza. Non avrei mai pensato che tutto ciò che raccontiamo nel film, girato poco prima della pandemia, sarebbe diventato attualità bruciante nel cuore dell’Europa con il conflitto in Ucraina e l’esodo dei profughi, soprattutto donne e bambini.

Juliette Binoche, 58 anni, in una scena del film Tra due mondi di Emmanuel Carrère, nei cinema dal 7 aprile.
courtesy

Invisibili e apparentemente così lontane dal suo mondo, eppure lei dice che in loro c’è un po’ della sua vita.

La sorprenderà, ma il tema delle pulizie mi ha sempre interessato, è una fatica che conosciamo tutte, quotidiana, ripetitiva, ci hanno cresciute con questa idea della cura della casa. La precarietà so cos’è, da studentessa mi arrangiavo facendo la cassiera in un grande magazzino, mia mamma ha fatto la donna delle pulizie mentre studiava, mia nonna ha lasciato la Polonia durante la guerra, è arrivata in Francia, ha divorziato, è rimasta sola e quindi ha dovuto arrangiarsi lavorando come cuoca e andando a servizio. Nella storia della mia famiglia molte volte ci siamo dovute adattare a cambi repentini di status sociale, ed è quello che succede a tante donne.

Nel film Marianne, la scrittrice che lei interpreta, torna alla sua vita confortevole. La frattura sociale con le altre protagoniste è lacerante.

È un finale diverso rispetto al libro, più duro. L’ha voluto Carrère e io ero un po’ preoccupata, trovavo insostenibile chiudere il racconto su un conflitto. Invece è giusto perché disegna insieme la generosità e la cattiva coscienza del mio personaggio. È lo stesso processo che sperimentiamo noi attori, entriamo continuamente nelle vite altrui per poi abbandonarle alla fine del film. Quando ho girato Gli amanti del Pont-neuf di Leos Carax ho dormito per strada con i senzatetto, sono stata nei dormitori per poveri, si chiedevano cosa facessi tra loro, forse li spiavo? Non capivano. È un rischio, un equilibrio complesso, ma non è leggendo sceneggiature e libri che ti fai una idea reale, viva, dei personaggi che devi interpretare: è necessario entrare nelle loro cellule vitali.

“So bene cos'è la precarietà, nella mia famiglia molte volte ci siamo dovute adattare a cambi repentini di status sociale”

Cos’ha imparato sul campo, girando il film?

Davvero non immaginavo, non avrei mai potuto senza sperimentarlo, i chilometri che queste lavoratrici percorrono ogni giorno per arrivare all’alba o a notte fonda sul posto di lavoro e per uno stipendio che non consente neppure di arrivare a fine mese, 11 euro all’ora per pulire le toilette, lo sporco degli altri. Ho trascorso molto tempo a discutere con le donne delle pulizie con cui recitavo, soprattutto con Hélène Lambert, nel film è la più tosta, l’amica di Marianne che alla fine si sentirà tradita. Ci è voluto tempo per abbattere il muro, per conquistare la fiducia sua e di Léa, Emily, Evelyne le altre lavoratrici che hanno partecipato al film. C’era in loro rabbia e sentimento di rivolta, ma anche la fierezza di svelarmi i segreti del lavoro, la loro professionalità.

Mi ha rivelato che non poter produrre il film è stata per lei “una vera umiliazione”. Com’è andata?

È successo per tante motivazioni, ma alla fine Carrère è stato netto: “Dirigo il film solo se tu non lo produci”. Forse temeva un eccesso di coinvolgimento, ma è stato un colpo inatteso, uno shock, perché erano anni che lavoravo a questa storia. Alla fine, pur arrabbiata, ho capito che provare quella stessa umiliazione femminile che ogni giorno, nella vita reale, vivevano le mie compagne di lavoro, era il sentimento giusto per girare il film. A volte bisogna accettare il rifiuto, sperimentare po’ d’umiltà. Il fatto di non poter essere alla prima al festival di Cannes perché stavo girando in Mississippi Paradise Highway con Morgan Freeman, mi è parso un altro segno del destino, alla fine una coincidenza fortunata. Sul tappeto rosso c’erano solo le mie compagne, ed era giusto così, per una volta i riflettori erano puntati su di loro e non sull’attesa della star.

È rimasta in contatto con alcune delle ragazze con cui ha condiviso il set? Cosa fanno adesso?

Continuano la loro vita. Hélène vorrebbe fare il cinema, ma certo non è facile, le emergenze della vita la tengono bloccata. E così il grande interrogativo, il dubbio cruciale, non smette di tormentarmi: fino a che punto ho diritto di entrare in una vita altrui, di mentire per arrivare alla verità? Con quale responsabilità e con quali conseguenze?


This content is created and maintained by a third party, and imported onto this page to help users provide their email addresses. You may be able to find more information about this and similar content at piano.io
Pubblicità - Continua a leggere di seguito