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Da Parigi a Madrid, le città preparano i rifugi per difendersi dalle ondate di calore

Il 2023 ha visto temperature da record in tutto il globo. E in Europa l’aumento ha un ritmo doppio rispetto alla media globale: minaccia la salute delle popolazioni di tutto il continente e comporta alte perdite di vite umane. È evidente come ormai dal caldo ci si debba difendere: senza un’azione efficace gli impatti negativi legati al clima peggioreranno, colpendo miliardi di persone.

Anche dal freddo, certo, occorre difendersi, ma per questo esistono già strutture adeguate. La novità sono temperature sempre più elevate e ondate di calore sempre più intense e frequenti. Circostanza che viene aggravata dall’impossibilità per i settori più fragili della società di dotarsi di sistemi di condizionamento: è la cooling poverty. Che si può definire sistemica quando sono inadeguate infrastrutture che comprendono beni fisici (come soluzioni di riqualificazione energetica passiva, catene del freddo, dispositivi tecnologici personali), sistemi sociali (come reti di supporto e infrastrutture sociali), sistemi di raffreddamento passivo (che spesso utilizzano acqua) e risorse immateriali (come la conoscenza). Risolvere questo problema è urgente perché entro il 2050 in tutto il mondo fino a 246 milioni di anziani in più rispetto a oggi saranno esposti a livelli pericolosamente alti di calore.

Queste le previsioni di uno studio pubblicato su Nature Communications. La popolazione mondiale sta infatti invecchiando a un ritmo senza precedenti. Si prevede che il numero di persone di età superiore ai 60 anni – più vulnerabili ai rischi legati all’esposizione al calore - raddoppierà fino a raggiungere quasi 2,1 miliardi di individui entro il 2050, di cui oltre due terzi risiedono in Paesi a reddito medio e basso dove gli eventi estremi legati al cambiamento climatico sono particolarmente probabili.

Entro il 2050, più del 23% della popolazione mondiale di età superiore ai 69 anni vivrà in climi con esposizione acuta al calore superiore alla soglia critica di 37,5 gradi, rispetto al 14% del 2020, segnala Giacomo Falchetta, ricercatore presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e l’Università Ca’ Foscari Venezia. Gli autori dello studio suggeriscono che le aree con popolazione che invecchia e con una crescente esposizione al calore probabilmente dovranno affrontare notevoli richieste di servizi sociali e sanitari. Ad esempio una rete di rifugi, di aree fresche dove sfuggire alla canicola.

I rifugi climatici sono infrastrutture urbane fondamentali per supportare l’adattamento alle condizioni meteorologiche estreme. Offrono spazi – come quelli di parchi, biblioteche e centri civici – dove i residenti possono rifugiarsi durante momenti di temperature estreme. Una città che ne ha organizzato una rete efficace e ben strutturata è Barcellona. Dall’estate del 2022, la municipalità catalana ha ampliato la sua rete di rifugi climatici arrivando a oltre 200, 130 dei quali aperti anche in inverno. Possono essere interni o esterni (parchi e giardini con elevata presenza di verde urbano e fontanelle, elementi di ombreggiatura come tettoie o simili). Forniscono alla popolazione comfort termico, pur mantenendo i normali usi. Sono facilmente accessibili, dispongono di aree di sosta (con posti a sedere) e sono zone sicure. Individuabili con un’apposita segnaletica e con una efficace geolocalizzazione, sono destinati alle persone vulnerabili purché non necessitino di cure mediche.

A Barcellona gli spazi interni sono attivi tutto l’anno in modo da poter essere sfruttati per far fronte sia al caldo che al freddo. Gli spazi esterni sono attivi solo durante la fase preventiva per le ondate di calore, dal 15 giugno al 15 settembre. Negli spazi interni la raccomandazione è quella di mantenere una temperatura di 27 gradi in estate e 19 gradi in inverno. Sono pensati soprattutto per le persone vulnerabili al caldo e al freddo (neonati, persone di età superiore a 75 anni, persone affette da malattie croniche o meno abbienti con fragilità economica e così via). I rifugi devono essere facilmente accessibili e sicuri e prevedere comode aree di sosta e acqua gratuita. I parchi urbani, che fanno parte di questa rete, hanno abbondante verde urbano (superficie maggiore di 0,5 ettari) e un indice NDVI (Normalized Difference Vegetation Index, indica lo stato della qualità della vegetazione) superiore a 0,4. Sono accessibili alle persone a mobilità ridotta e hanno fontane e sedili. Le aree designate come rifugi climatici sono naturalmente gratuite.

Altre città - come Parigi, Madrid, Londra, Amsterdam e L’Aia - hanno implementato con successo negli ultimi dieci anni il progetto dei Climate shelter. Parigi ha dato vita al progetto OASIS (Openess, Adaptation, Sensitization, Innovation, Socialties). Dedicato ai cortili scolastici, mira a trasformare le scuole della capitale in isole di rinfrescamento urbano, coinvolgendo gli studenti nella progettazione e rafforzando i legami sociali. Vegetazione, punti acqua, giochi creativi, luoghi tranquilli e una migliore distribuzione degli spazi. Il progetto è partito nel 2018, con il sostegno dell’Urban Innovative Actions (UIA) dell’Unione Europea, che fornisce alle aree urbane di tutta Europa risorse per testare soluzioni nuove e inedite per affrontare le sfide urbane.

“La città è ben avviata per creare opportunità a partire dalle sfide climatiche: l’obiettivo è costruire una città più forte, più equa, più sostenibile e, in definitiva, più resiliente”, dice la sindaca di Parigi, Anne Hildago. L’apertura di molti cortili scolastici adattati al calore “è una grande testimonianza dei progressi compiuti. La nostra speranza è che la risposta di Parigi alle sfide che la città deve affrontare possa servire da modello per altre città su scala globale”. Il concetto di OASIS, inizialmente incentrato sulla rinaturalizzazione degli spazi urbani per renderli più adattativi agli impatti dei cambiamenti climatici, è stato sviluppato in un progetto innovativo che risponda alle pressanti sfide sociali e ambientali legate al clima. Cortili scolastici verdi, accessibili e inclusivi che funzionino come “isole fresche” nel cuore di quartieri densamente edificati. L’obiettivo è arrivare a 760 scuole pubbliche coinvolte entro il 2050.

Scuole al centro dell’attenzione anche a Madrid, con il progetto ‘La cura degli ambienti scolastici’ che punta alla rinaturalizzazione dei plessi. Obiettivi principali clima, adattamento, salute e coesione sociale, rigenerazione urbana. Il progetto punta sull’ambiente attorno alle scuole. I criteri di progettazione includono l’aumento dell’ombreggiamento e l’umidificazione del suolo, curando la progettazione del ciclo dell’acqua.

Anche altre città si muovono nella stessa direzione. Londra ha deciso di intervenire sulle scuole per adattarsi ai cambiamenti climatici: la città realizza interventi per far fronte agli impatti climatici come il rischio da calore, il rischio di inondazioni e la scarsità d’acqua. Amsterdam punta all’aumento dell’assorbimento dell’acqua piovana nel terreno oltre che ad alleviare le ondate di calore: in un centinaio di scuole l’obiettivo è includere il 25% in più di verde nei cortili e aumentare la partecipazione della comunità, anche attraverso l’apertura al pubblico dopo l’orario scolastico, nei fine settimana e nei giorni festivi. L’Aia con Green School Squares intende fornire un ambiente migliore e naturale dove far giocare i bambini: si va da soluzioni come la sostituzione di pavimentazioni impermeabili con alternative verdi e sostenibili alla piantumazione di alberi con l’obiettivo di aumentare l’assorbimento d’acqua e l’aumento del raffreddamento delle aree.

Paese che vai esigenze che trovi. In Corea del Sud il governo metropolitano di Seul ha firmato un protocollo d’intesa con le principali catene di convenience store (i piccoli negozi diffusi in Asia che vendono di tutto, aperti 24 ore) per rendere i minimarket un luogo in cui tutti possano riposarsi durante le gelate e le ondate di caldo. Quarantuno negozi in 18 distretti di Seul, ciascuno dotato di un’area di sosta e operativi 24 ore su 24, parteciperanno all’operazione Climate Shelter. Il progetto vuole realizzare un metodo di condivisione del riscaldamento e del raffreddamento consentendo alle persone di sfuggire al gelo e alle ondate di caldo. I minimarket aderenti saranno designati e gestiti come rifugi climatici.

In precedenza, la capitale sudcoreana ricorreva a centri anziani e centri di servizi comunitari come rifugi climatici per gruppi di persone fragili e in condizioni di povertà energetica, ma gli orari di apertura erano limitati alle ore diurne, rendendoli poco accessibili. Alla luce della crisi climatica globale e della carenza energetica, Seul prevede che il progetto Climate Shelter, creato attraverso la cooperazione tra le comunità pubbliche, private e locali, svolgerà un ruolo importante nella riduzione delle emissioni di carbonio e nella condivisione dell’energia di riscaldamento e raffreddamento.

Anche il Comune di Roma sta lavorando sul tema dell'isola urbana e delle ondate di calore. “Abbiamo in programma un monitoraggio della temperatura e dell’umidità all'interno dei canyon urbani e lo allargheremo a un monitoraggio continuo dell’intera città”, spiega Stefania Argentini, dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche. “Le misure potrebbero essere effettuate ponendo la strumentazione a bordo degli autobus della rete pubblica, su tratte che vanno dal centro alla periferia, sia di giorno che di notte, per misurare la temperatura percepita in differenti contesti ambientali: dal viale alberato alla strada asfaltata, dalle zone ad alta urbanizzazione a quelle rurali. Con una ventina di sensori potremmo ottenere una mappatura della città che terrebbe conto dei vari usi del territorio. Una sperimentazione di questo tipo sarebbe di pubblica utilità ed interessante a fini di ricerca”.

Ma non sono solo le persone ad aver bisogno di rifugi climatici. A doversi proteggere dal caldo sono anche le infrastrutture. In questo caso il rifugio può essere sotterraneo. Succede ad esempio in Australia. “Sono rifugi utilizzati da sempre dalle persone che abitano nel deserto”, spiega Andrea Dini, dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR. “Per poter estrarre l’opale nel deserto, gli abitanti di Coober Pedy si sono adattati a vivere in un ambiente estremo. Una scelta non direttamente legata al cambiamento climatico, lì ci sono sempre 40-50 gradi. Anche in Canada il rifugio climatico è una necessità dove le temperature arrivano a meno 30 gradi e oltre. I centri commerciali si sviluppano sottoterra”.

Fermo restando che l’aspetto più importante è la tutela della salute, c’è il tema dei rifugi climatici per le infrastrutture. “In Sardegna c’è un bellissimo progetto, Digital Metalla di Dauvea: prevede lo spostamento e la creazione in sotterraneo di un green data center: è un progetto che permette di lavorare a temperatura costante tutto l’anno, 15 gradi, evitando le spese di condizionamento e quindi abbattendo il consumo di energia”, continua Dini. “La Sardegna ha un vasto reticolo di vecchie gallerie abbandonate con una buona circolazione d’aria, un buon controllo della circolazione delle acque sotterranee: si possono usare senza pericolo e senza grossi problemi. Potranno diventare delle green server farm”.

Per i rifugi destinati agli esseri umani, “in un posto come la Sardegna si potrebbero dunque usare gli underground minerari per realizzare rifugi climatici anche per le persone, ma le miniere sono generalmente in aree relativamente remote.”, valuta Dini. Nelle città invece “il problema è molto più complesso, si devono progettare sin dall’inizio gli edifici perché le infrastrutture si sviluppino anche sotto il terreno. Ma in città come Roma e Napoli c’è un vasto patrimonio di cavità sotterranee costituito da cave di tufo, gallerie idrauliche, cripte e edilizia sotterranea che si è sviluppato a partire dall’epoca romana. Ambienti sotterranei metropolitani che potrebbero davvero essere riutilizzati, almeno parzialmente, come rifugi climatici”.

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