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Buggles

Buggles

Pionieri del video, assassini della radio

Leggendari ma dimenticati, i pionieri di Mtv hanno lasciato un'impronta sulla cultura, la musica e lo stile anni 80 ma anche su tutta una concezione del futuro, non solo sonoro, che a quei tempi sembrava pronto a prendere il sopravvento e cancellare il passato senza rimpianti. Le loro canzoni rimangono visioni lucide e parossistiche di un avvenire inquieto

di Andrea Campana

Il nome The Buggles è uno di quelli istintivamente noti a chi conosce anche solo superficialmente la musica pop a cavallo tra anni 70 e 80. Merito in gran parte della super-hit synth-pop "Video Killed The Radio Star" (1979), successo mondiale che per lo spazio di qualche mese sembrò davvero realizzare le ambizioni del duo formato da Trevor Horn e Geoff Downes, proiettando il loro sound nel decennio successivo. Le cose andarono un po' diversamente, ma non è mai troppo tardi per ripercorrere una storia musicale curiosa e lungimirante, capace di imprimere un contributo importante all'evoluzione della popular music.

I Buggles si formano a Londra nell'anno d'oro del punk, il 1977, ma puntano decisamente verso altri orizzonti sonori. Il loro stesso nome, una presa in giro e un omaggio ai Beatles (un'unione tra "bugs", insetti, e il nome del quartetto di Liverpool), simboleggia sia la loro mira verso le vette della musica che la loro maniacale attenzione al processo di registrazione e di composizione in studio. I due sono musicisti e compositori completi e anche se l'aggettivo "pop", associato a "synth", viene spesso utilizzato per descrivere la loro musica, il loro retroterra è più quello di un gruppo prog, come dimostrano gli arrangiamenti sopraffini e le texture di tastiere e synth.

Allo stesso tempo l'idea dietro il progetto è dichiaratamente quella di costruire la musica "del futuro" e da qui le premesse che sorreggono il loro primo album, un quasi-concept che sembra la colonna sonora di un film di fantascienza distopico: The Age Of Plastic. L'album esce nel gennaio del 1980 e reca in copertina (Horn sul fronte, Downes sul retro) due immagini fumettistiche di entrambi i musicisti con uno spinotto che entra loro nel collo, come a voler dimostrare la natura artificiosa del loro lavoro, spacciandoli per automi o androidi elettrici. Il nome del gruppo riprende le grafiche dei display dei dispositivi digitali, all'epoca alla loro prima grande diffusione, e il titolo sembra recuperare la famosa battuta de "Il laureato" tredici anni dopo e concretizzarla in una visione musicale che immagini come suonerebbe quel famoso mondo del futuro in cui la parola chiave è "plastica". E in quell'epoca in effetti sembra davvero che un avvenire iper-tecnologico sia prossimo: la narrativa cyberpunk di Willam Gibson, il crescente successo del filone fantascientifico ("Star Wars", "Alien", "Blade Runner" ma anche "Tron", che esce nel 1982) e soprattutto un universo multimediale in espansione con la crescente diffusione delle emittenti private e della tv via cavo che promettono già a inizio decennio un mondo fatto di computer, robot, microchip e auto volanti. E proprio il tubo catodico dà modo ai Buggles di esprimere anche visivamente questo miraggio, quando il primo agosto 1981, esattamente a mezzogiorno e un minuto, il videoclip di "Video Killed The Radio Star" viene scelto per l'inizio delle trasmissioni sulla neonata Mtv. La canzone, selezionata dall'emittente nonostante il sottotesto critico delle liriche, assurgerà anche solo per questo a sempiterna hit.



Il videoclip del brano è ancora universalmente noto e riassume non solo l'idea artistica del gruppo ma anche tutta un'estetica dell'epoca, che appunto guarda al futuro con un misto di entusiasmo e rimpianto. Trevor Horn e Geoff Downes suonano in uno studio futuristico tra tastiere e bobine, vestiti come scienziati, mentre una ragazza intrappolata in un tubo balla (famoso l'aneddoto secondo il quale dovette restare lì dentro per ore, fino a riprese ultimate) e uno schermo trasmette tutto in tempo reale. Nel frattempo una bambina, che rappresenta l'innocente infanzia corrotta dalle nuove tecnologie, è testimone dell'esplosione di una vecchia radio (il trionfo della nuova dimensione "video" su quella antica, "audio") e fissa la ballerina nel tubo, che potrebbe essere lei stessa in un futuro privo di prospettive. Piccola curiosità: tra i musicisti possiamo intravedere anche un giovane Hans Zimmer, alla tastiera, inquadrato per giusto qualche secondo.

Il brano viene scritto già nel 1979 con il contributo di Bruce Woolley, parte della formazione in un primo momento ma che abbandona di lì a poco per registrare una sua (semi-sconosciuta) versione della canzone nello stesso anno con la sua band, The Camera Club, comprendente anche un imberbe Thomas Dolby. Nella versione nota a tutti, registrata da Downes e Horn, la canzone comincia con le famose note di pianoforte che introducono il brano, per lasciare poi spazio alla voce di Horn che sembra uscire da un altoparlante d'altri tempi. Il contrasto tra antico e moderno, come in tutta la musica del duo, si gioca nell'accoppiamento tra pianoforte, basso e batteria come strumenti principali e voci, cori, effetti digitali, tastiere e synth come aggiunte e ornamenti. Le voci femminili, a cura di Linda Jardim-Allen e Debi Doss, accompagnano l'avvicendarsi delle strofe con il famoso "Ow-ah ow-ah", che ricorda (volutamente) certe soluzioni vocali anni 60, mentre il piano decide il ritmo principale sul quale la voce di Horn rimbalza a tempo, come in una sorta di rap quasi atonale. Il refrain è l'esplosione del futuro, abbellita dalle note di synth in discesa che creano un senso di meraviglia e oppressione insieme. Dopo due strofe e una variazione con breve assolo prog di tastiere (che ricorda lo stile di un Tony Banks), il climax finale viene affidato anche a un accompagnamento di chitarra, molto essenziale. La canzone va in fade-out e sentiamo sorgere il solo piano, suonato da Downes, che con perizia ci fornisce una breve versione della canzone in stile classico romantico con altri abbellimenti e contrappunti di synth, prima che l'invadente "Ow-ah ow-ah" in loop irrompa nuovamente a distruggere l'impressione.
La canzone è centrale nell'opera della band perché ne rappresenta tutta la poetica, almeno per questo primo album: una visione laconica di un passato nostalgico ormai scomparso contrapposta all'avvento di un futuro spaventoso ma inevitabile. "Nella mia mente e nella mia testa/ Non possiamo fare rewind, siamo andati troppo lontano", canta Horn, descrivendo una rottura tra prima e dopo come traumatica e segnata da una rivoluzione tecnologica che a tratti sembra pure anticipare incubi contemporanei. Rivelatore per esempio il verso: "Si sono presi il credito per la tua seconda sinfonia/ Riscritta dalle macchine con la nuova tecnologia/ E ora posso capire i problemi che puoi vedere". Se pensiamo all'avvento delle IA nella creazione di canzoni con algoritmo a imitazione di artisti famosi o anche solo per sostituire in effetti il tocco umano, queste parole suonano davvero profetiche.
In ogni caso, anche se la tecnologia digitale sta già per prendere il sopravvento, i "problemi" paventati da Horn e Downes risiedono principalmente nella rivoluzione del video, di Mtv e della tv onnipresente che trasmette ormai h24 (nel 1980, non a caso, viene lanciata anche la Cnn di Ted Turner). Assieme al video, l'apparire e la forma assumono un ruolo di primo piano, come mai prima. La beffa suprema, perfettamente in linea con le idee dell'epoca, è che di questo cambiamento i Buggles sono detrattori e protagonisti al tempo stesso.

L'età della plastica e il futuro sintetico

Il primo album viene registrato nel 1979 e quando esce, all'inizio dell'anno successivo, dimostra subito qualcosa di rivoluzionario, scandendo i ritmi di un suono synth-pop che, tuttavia, non è un'invenzione del tutto originale. Sempre nel 1979, Gary Numan era arrivato prima con il suo celebre album d'esordio "The Pleasure Principle", oltre che con l'ancor più leggendario "Replicas" a nome Tubeway Army, per non parlare dei lavori pionieristici dei tedeschi Kraftwerk nel decennio 70, della giapponese Yellow Magic Orchestra di Ryuichi Sakamoto e dell'album "No. 1 In Heaven" degli Sparks con lo zampino del nostro Giorgio Moroder. In quegli stessi mesi gruppi come Ultravox e The Human League si muovono in territori attigui, mentre manca solo un anno alla pubblicazione del primo disco dei Depeche Mode, "Speak And Spell" e del debutto omonimo su Lp degli Orchestral Manoeuvres in the Dark, che esce proprio nel 1980, presto seguito dalla celebre hit "Enola Gay" (che sarà inclusa in "Organisation"). Ma i Buggles si fanno notare per via di una visione d'insieme che in qualche modo manca nell'opera di tutti questi altri artisti: un disco che riunisce le loro idee in un concept sul futuro, sulla tecnologia, sui cambiamenti, sulla spersonalizzazione e sulla corruzione e che reca il titolo in questo senso perentorio di The Age Of Plastic.

Già la title track, che introduce il disco, decide tutto il suono dell'insieme e inizia a fornire le immagini di una specie di scenario distorto alla Jetsons, in uno iato di passato e futuro che viene testimoniato anche dall'utilizzo di basi a strumentazione acustica (basso, batteria e pianoforte soprattutto, ma anche qua e là qualche chitarra rock anni 70) decorate però con addobbi di synth e abbellimenti digitali, costruiti per conferire alla musica quella qualità molto "plastica" per cui si fa notare. I testi raccontano di una vita frettolosa, paranoica, veloce e immediata, vissuta tra meraviglie e incubi tecnologici in una crescente perdita di umanità e in una spirale di corruzione: "Ogni giorno il mio amico di metallo scuote il mio letto alle sei di mattina/ Poi i luccicanti cloni servitori corrono dentro con i miei telefoni". Ragguardevole e satirico il refrain: "Mandano la polizia del cuore a metterti sotto arresto cardiaco/ E mentre ti trascinano attraverso la porta ti dicono che hai fallito il test".
Tutti i brani sembrano brevi racconti distopici di fantascienza: "Kid Dynamo" è un synth-rock che descrive un ideale giovane della nuova era, quasi hitleriano nel suo immergersi e viaggiare alla velocità della luce in una realtà ancora più veloce. Una caratterizzazione prog narrativa con sapienti intrecci di melodie dà seguito a un refrain corale con schitarrate dinamiche che sembrano davvero tradurre l'idea di questa giovinezza inarrivabile, e inarrestabile. "I Love You Miss Robot" dice tutto già dal titolo raccontando di un'amante meccanica, metafora di una freddezza passionale femminile in realtà molto contemporanea ("Fai l'amore come un metronomo"). La musica ne segue quindi i tratti asettici, con voce appunto "robotica" mascherata e tratti synth puliti e inumani, da essere meccanico. Ma la melodia emerge sempre imperiosa e non ci permette di dimenticare mai che quello che stiamo ascoltando è in fondo sempre un pezzo pop.
"Clean, Clean" fa riferimento al mondo degli affari e della competitività massacrante degli anni 80, nel quale c'è chi disperatamente cerca di mantenere il gioco "pulito" mentre tutti si azzannano tra loro; basta pensare a un Jordan Belfort per avere ben chiaro il concetto. Anche per questo si viaggia qui su note concitate, con synth e tastiere che costruiscono visioni architettoniche che paiono quasi ricordare le metropoli in crescita negli anni 80 e la vita frenetica che le anima. L'intuizione della ripetizione della parola nel titolo funge anche da memorabile e semplice ritornello, mentre le tastiere di Downes la fanno sempre da padrone con il tratteggio di sequenze di note semplici e memorizzabili.
In chiusura del disco le promesse del futuro vengono infine riassunte in "Johnny On The Monorail", laddove la monorotaia rappresenta il mezzo veloce per correre a velocità inusitata, ora e subito, attraverso un avvenire altrimenti troppo ampio e distante: "Oh Dio sei così fantascientifica/ Mi lasci fare un giro?". In questo caso più che nei precedenti sembra davvero di ascoltare musica del futuro, una colonna sonora di un film nella quale i nuovi suoni anni 80 appaiono visioni colorate di un avvenire prossimo e rimbombante. Questo nonostante la sempre immancabile struttura ossea affidata a strumenti "tradizionali", che reggono l'insieme poi reso splendente e abbacinante dalle tastiere e dagli effetti digitali come edifici ultramoderni costruiti sui rimasugli di vecchie case e palazzi.

L'intero album è notevole e perfettamente in linea con il concept, ma nonostante il successo del primo singolo appare presto chiaro che il miracolo del successo dei Buggles non è destinato a durare. Vittime di quello stesso frenetico scenario multimediale da loro per primi paventato, dopo il successo di "Video Killed The Radio Star" si inabissano verso la nomea di "one hit wonder", come ancora oggi sono in effetti ricordati. Ed è un grave errore considerarli tali, perché la loro attività non si ferma certo lì. A cominciare dall'improbabile e imprevedibile ingresso negli Yes, formazione nella quale Trevor Horn e Geoff Downes sostituiscono rispettivamente Jon Anderson (!) e Rick Wakeman (!) registrando con Chris Squire, Steve Howe e Alan White l'album "Drama" del 1980. Un album di scarso successo, che tuttavia non esaurisce la collaborazione del duo con la storica formazione prog inglese.
Nel 1981, infatti, Downes si porta dietro il talento di Howe per fondare, assieme a Carl Palmer e John Wetton, i famosi Asia, band arena rock che ottiene un grande successo nel 1982 con il 45 giri "Heat Of The Moment", di cui lui è co-autore. Horn, dal canto suo, collabora ancora con gli Yes come produttore dell'album "90125", del 1983, che contiene un altro grande successo di quel decennio, "Owner Of A Lonely Heart", sulla quale mette anche la sua firma. Il legame tra Buggles e Yes fa quindi in tempo a segnare la storia della musica in due altri momenti fondamentali, prima di svanire (non del tutto: Horn produrrà anche l'album "Big Generator" nel 1987).

The Buggles


Lo studio di registrazione: la nuova frontiera

Nel 1981 i Buggles si preparano alla registrazione del loro secondo (e poi ultimo) album, Adventures In Modern Recording. Ma proprio il primo giorno previsto per l'inizio delle incisioni, Downes se ne va per unirsi agli Asia, progetto al quale è molto più interessato. Come risultato, il disco finisce col diventare più che altro un album da solista di Horn, anche se molti sono i contributi esterni, a cominciare da Chris Squire, bassista degli Yes, e contando anche il tastierista Simon Darlow e Anne Dudley, produttrice e tastierista con la quale Horn formerà poi il gruppo sperimentale Art of Noise. Questo progetto trova fortuna, specie a metà degli anni 80, con una sua versione del "Peter Gunn Theme" di Henry Mancini; il singolo "Kiss", un imprevedibile featuring con Tom Jones; e nel 1986 persino un'ospitata leggendaria: quella di Max Headroom, il famoso personaggio dell'omonima serie televisiva cult, nel brano "Paranoimia". Nonostante questi spasmi popolareschi, le aspirazioni di Horn e colleghi con questa band sono più artistiche e nobili, come prova anche il loro album più recente: "The Seduction Of Claude Debussy", del 1999, basato sulle composizioni del grande compositore impressionista francese.

Tornando in casa Buggles, il secondo e ultimo album della band, Adventures In Modern Recording (1981), segna la fine del loro percorso con risultati notevoli ma allo stesso tempo sfuggenti, tant'è che oggi in molti non ricordano nemmeno che il gruppo di dischi ne abbia realizzati due. La tracklist dell'album segue la formula musicale del precedente, ma risulta in qualche maniera meno convincente, più prog e dispersiva come suono (forse per via dell'influenza della collaborazione con gli Yes) e meno incisiva rispetto a quella espressività pop parodistica e distopica che aveva contraddistinto il primo lavoro del duo. Che, di fatto, un duo cessa poi di essere quando la casa discografica prende l'assenza di Downes come un allontanamento e sospende il contratto a entrambi. A quel punto più o meno tutti si convincono che i Buggles siano sciolti, e lo scarso successo del disco e dei singoli non aiuta.
Di episodi validi ce ne sono, sempre incentrati sulla trattazione di nuove tecnologie e realtà plastiche multimediali ("I Am A Camera", "On TV") ma dedicati anche ad altri argomenti, come in "Rainbow Warrior", un brano pseudo-prog che suona come un incrocio tra i Rush dell'epoca e gli Asia e che narra di una specie di mitologico guerriero di luce, e "Beatnik", pezzo nostalgico che richiama un'epoca di grandi cambiamenti nella cultura e nella musica, quella degli anni 60 (le sonorità, seppur filtrate dalla produzione inizio anni 80, sono quelle di un gruppo medio della prima British Invasion), ormai terminata. Nel suo complesso la tracklist si riassume in una rinnovata commistione di antico e moderno che nei suoni si presenta avveniristica ma nei contenuti sa molto più di anni 70 che di anni 80. In effetti, questo secondo album si potrebbe meglio definire come neo-progressive, collegandolo alla corrente "pop" del genere del decennio (Marillion, Genesis o Rush), che come synth-pop o electropop.
"I Am A Camera", registrata anche dagli Yes con il titolo "Into The Lens", è una canzone la cui base acustica guidata dal pianoforte trova contrappunto in fuggevoli synth rarefatti nella costruzione di un'atmosfera distopica e distorta ma anche molto malinconica, mentre la voce di Horn nel refrain dichiara quanto espresso dal titolo come constatazione sull'imperativo dell'avvento delle nuove tecnologie e della multimedialità. Particolarmente intrigante e pop "On Tv", per la quale (non a caso) viene realizzato anche un video ufficiale, che vede Horn esibirsi con varie televisioni che riportano sue immagini in tempo reale, lasciando intravedere l'influenza del lavoro di Nam June Paik sulla nuova era del videoclip. Il brano è forse quello più commerciale ed elettronico di tutto il disco: aiutano il ritmo quasi "dance" e un arrangiamento molto sintetico e molto poco acustico. La canzone, come "Turn It On Again" (1980) dei Genesis ma più concettualmente, descrive la nuova mitologia plasmata dagli onnipresenti e accattivanti contenuti televisivi: "Abbiamo idoli, abbiamo sogni/ Tieni i tuoi occhi fissi sullo schermo/ Spremi la tua vita lì nel mezzo/ In Tv".

È chiaro che Trevor Horn ha molto da dire, ma ormai sono rimasti in pochi ad ascoltare. Tempo la fine dell'anno e la favola dei Buggles è ufficialmente finita. Poco male per Horn, che scopre la sua vera vocazione di produttore. Tra i lavori anni 80 da lui curati, oltre ai due album degli Yes sopracitati, ci sono "The Lexicon Of Love" degli Abc, l'influente "Duck Rock" di Malcolm McLaren, "Welcome To The Pleasuredome" dei Frankie Goes To Hollywood, "Slave To The Rhythm" di Grace Jones e "Flowers In The Dirt" di Paul McCartney. Va inoltre contato il famoso singolo per beneficenza "Do They Know It's Christmas?" (di cui cura però solo una versione remix), prodotto assieme a Midge Ure degli Ultravox. Negli anni successivi e fino a oggi Horn ha prodotto tantissimi artisti importanti, tra i quali Seal, Mike Oldfield, Bryan Adams, Faith Hill e i nostri italiani Eros Ramazzotti e Renato Zero. Pochi, inoltre, ricordano che è stato lui nel 2002 a produrre la hit "All The Things She Said" del chiacchierato duo femminile russo t.A.T.u, di cui ha curato arrangiamento e testo in inglese.
E Downes? Anche lui ha proseguito come produttore, registrando con molti artisti importanti e proseguendo come membro degli Asia per quasi tutta la durata della loro carriera fino a oggi, pubblicando con loro un totale di tredici album. Inoltre negli anni 10 è anche rientrato negli Yes, dei quali è tuttora membro e tastierista ufficiale.
Insomma, la stella dei Buggles ha fatto in tempo a brillare con la promessa di un cambiamento che si è consumato in fretta e che molti a malapena ricordano, ma nel farlo ha consegnato alla storia della musica, del pop e del rock (diciamo pure anche del prog) due talenti eccezionali: musicisti, compositori, produttori e visionari. Senza il contributo di entrambi, non solo la musica anni 80 ma anche quella di oggi non suonerebbe affatto nello stesso modo.

Buggles

Discografia

The Age Of Plastic (Island, 1980)
Adventures In Modern Recording (Carrere, 1981)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Video Killed The Radio Star
(videoclip da The Age Of Plastic, 1980)

Clean, Clean
(videoclip da The Age Of Plastic, 1980)

Living In The Plastic Age
(videoclip da The Age Of Plastic, 1980)

Elstree
(videoclip da The Age Of Plastic, 1980)

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