Paolo Benvenuti e il film su Caravaggio bocciato dalla politica

Paolo Benvenuti, nuovo stop al film su Caravaggio: “Il problema sono io. Mi hanno detto che dopo Segreti di Stato non avrei mai più lavorato”

Al Bellaria Film Festival il regista riceve la notizia della quarta bocciatura del suo soggetto, ispirato a un segreto della tecnica pittorica del Merisi. "È il progetto della mia vita. Riproverò finché reggo"

Sono da poco trascorsi quindici, massimo venti minuti da quando Paolo Benvenuti ha ricevuto il quarto “No”, in 25 anni, dal ministero della cultura al suo film su Caravaggio. È proprio in quei minuti che THR Roma lo incontra al Bellaria Film Festival 2024, dove è presente per accompagnare il restauro di Confortorio (1992).

“Sono triste”, ammette al pubblico. Così, quando lascia la sala viene d’istinto seguirlo e chiedergli di elaborare quella tristezza, per capire se il sogno e il progetto portati avanti così a lungo finiscono qui. “Finché reggo ci riproverò”, risponde lui. “Perché questo è il film della mia vita”.

Il segreto di Caravaggio

Formatosi come pittore prima di diventare regista, infatti, Paolo Benvenuti è rimasto folgorato da Caravaggio da ragazzo, riscoprendolo – come ricorda – anche grazie al lavoro di uno storico dell’arte come Roberto Longhi, che ne riportò alla luce la grandezza in tempi relativamente recenti, gli anni Cinquanta del secolo scorso.

Ed è proprio su Caravaggio pittore, sui segreti della bottega e della sua tecnica che Benvenuti vorrebbe e vuole fare ancora questo film. In che modo e perché è lui stesso a raccontarlo. Innanzitutto “per tirare fuori Caravaggio da un immaginario, anche cinematografico, che lo vede come un assassino violento, un genio grezzo e ignorante”.

Al contrario, Paolo Benvenuti, attraverso una ricerca “scientifica, con metodo galileiano”, negli anni è riuscito a dimostrare – come già affermava Longhi – che Caravaggio dipingeva proiettando immagini sulle sue tele, quindi conosceva l’uso della camera ottica di Gian Battista Della Porta. A testimoniarlo sarebbero le “incisioni che realizzava sulle figure più contorte, con la punta del pennello, per riposizionare i modelli negli stessi punti”.

Non si tratta solo di una precisazione tecnica, ma di un elemento che permette di ripensare Caravaggio in nuovi termini, in relazione alla modernità, perché come aggiunge Benvenuti: “Scelgo di fare un film se sento che qualcosa del passato è in grado di illuminare il presente”. E questa era una storia che avrebbe voluto raccontare “rimettendo in scena i due mesi che Caravaggio trascorre a Siracusa e in cui realizza il Seppellimento di Santa Lucia (1608). Un’opera immensa, con dodici personaggi. Impossibile da terminare in così poco tempo se non attraverso la proiezione delle figure”.

Una lotta iniziata venti anni fa

Al di là del valore artistico intrinseco del progetto, tuttavia, sull’ennesima bocciatura del ministero il regista afferma: “Il problema non è il film in sé. Il problema sono io. Dopo aver fatto un film come Segreti di Stato (2003) mi hanno detto chiaramente che non avrei lavorato più”.

Il film a cui si riferisce, presentato alla Mostra di Venezia, racconta la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), un eccidio di contadini da parte della mafia durante la festa dei lavoratori, quindi contro le iniziative comuniste. Nella ricostruzione storica di Benvenuti – nata da una ricerca con il sociologo Danilo Dolci – in cui sono stati utilizzati anche oltre 20 mila documenti, tra cui alcuni desecretati dalla CIA, Segreti di Stato ricostruisce una rete di rapporti di potere tra Stato e mafia già nel primissimo dopoguerra, facendo nomi e cognomi, da Alcide De Gasperi fino a Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica italiana.

Una scena di Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti

Una scena di Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti. Courtesy of Fandango

“Negli ultimi vent’anni il progetto su Caravaggio è stato sempre rifiutato da governi di sinistra. Ci ho riprovato sperando nell’attuale destra, ma ho capito che non è un problema né di destra né sinistra. È molto più in alto. E più in alto c’è solo il presidente. E infatti è da allora che io non faccio più un film, non me lo permettono”.

Non è esattamente vero, si corregge subito. Un altro film l’ha fatto, nel 2008, ma per uno scivolone dello stesso ministero della cultura. A Puccini e la fanciulla, infatti, era stato rifiutato il sostegno ministeriale perché “mancante di dialoghi in sceneggiatura”. Fu allora che, racconta Benvenuti, “scrissi una lettera aperta al Corriere della Sera contro la Direzione generale cinema, così ignorante da non sapere che il cinema nasce come arte muta. Dopo aver quindi partecipato a un’assemblea dei registi a Roma, alla presenza del direttore generale del ministero, mi venne fatta un’offerta diretta in quella stessa occasione”. Più per rimediare al clamore mediatico che altro, fa intendere il regista, che da allora non è più tornato dietro la macchina da presa.

Un cinema fuori norma

“Rimpiango Andreotti” afferma inoltre Benvenuti. “Rimpiango la sua legge sul cinema, l’unica che abbia mai funzionato. È grazie a quella che ho potuto fare un film come Il bacio di Giuda, che nessuna delle persone a me vicine sembrava capire. Mi dicevano tutti che era orrendo. Fu Adriano Aprà il primo a trovarlo interessante e a convincermi a portarlo a Venezia, alla Settimana della critica, nel 1988”, prosegue il regista ricordando anche l’amico di recente scomparso.

“Quell’anno era già stato scelto, anche se non ufficializzato, Mignon è partita di Francesca Archibugi. Quando lo sostituirono con il mio, la Rai – che aveva perso il suo unico titolo nella sezione – si offrì di acquistare Il bacio di Giuda. E con i soldi di quell’accordo ricomprai la casa che ero stato costretto a vendere per finire il film. Fu l’unica opera da cui ho ottenuto davvero qualcosa”.

Questo perché, prendendo in prestito un’espressione molto cara al compianto Aprà, quello di Benvenuti è sempre stato un cinema fuori norma. Classico nella sua grammatica ma sempre fuori dai canoni e dai linguaggi convenzionali del cinema. Non a caso, al Bellaria Film Festival rappresenta una sezione intitolata Controcampo italiano.

Una scena di Confortorio (1992) di Paolo Benvenuti

Una scena di Confortorio (1992) di Paolo Benvenuti

Un cinema contro i premi “espressione di regime”

È un cinema che “non vince premi, soprattutto quando i premi, come i David, sono espressioni di regime. Sono riconoscimenti a quei film utili a mantenere una certa visione, non a distruggerla o ribaltarla”.

Per ribaltarla bisogna conoscerla, riscoprendone le radici, quindi la storia. “La storia che inizia con il giornale di ieri”, specifica Benvenuti. “Quella che, soprattutto i più giovani che vivono in un eterno presente, dovrebbero iniziare a studiare a ritroso e non dalla preistoria, per capire come sono arrivati fin qui e, solo dopo, in che direzione potranno andare”.

È per questo che nei film di Paolo Benvenuti la ricerca storica è il metodo principale di costruzione del racconto ma anche del punto di vista. “Non posso mostrare un episodio del Cinquecento con gli occhi di un uomo del Duemila. Per ritrovare lo sguardo che serve, mi affido alla pittura, alle opere del tempo che lo conservano. Anche per questo i miei lavori sono difficili da collocare, perché non riflettono il presente”.

“Cerco di rimanere fedele alla loro verità”, conclude, “tanto che forse potrei scrivere solo un saggio, ma lo leggerebbero cinque persone. Un film, invece, potrebbero guardarlo anche in dieci”.