Il ruolo di spettatore, a Elio Petri, doveva stare parecchio stretto: è probabilmente questo il motivo che, per nostra fortuna, l’ha spinto a passare da parte passiva a parte attiva del cinema lavorando dapprima come sceneggiatore, poi come aiuto-regia e infine come unica firma dei suoi lavori. Tutta la carriera del regista italiano, purtroppo durata non più di una manciata d’anni, è stata spesa nel tentativo di elaborare un linguaggio originale pur mantenendosi in generi codificati, in modo che i suoi film potessero trasformarsi in una risorsa per la società. Fedele a temi come la mafia, le ripercussioni della smania di potere, la vaghezza della classe dirigente e le problematiche del mondo del lavoro, ecco allora tutte le opere in cui ne ha parlato e che, anche a distanza di cinquant’anni, sanno essere ancora attuali.

Biografia di Elio Petri

Eraclio Petri (il vero nome di Elio) nasce a Roma il 29 gennaio 1929 in via dei Giubbonari. La sua è una famiglia composta dal nonno e dal padre, entrambi artigiani del rame, e dalla madre, dipendente in una latteria. Durante la giornata, Elio bambino è sempre sotto le cure della nonna, la cui rigidità ne influenza il carattere e il rigore professionale. Grazie alla madre, svilupperà invece una forte sensibilità emotiva, mentre il padre sarà per sempre il suo modello dal punto di vista sociale

Da adolescente, Petri inizia subito ad avvicinarsi agli ideali di sinistra, entrano nella sezione giovanile del Partito Comunista Italiano. Contemporaneamente sviluppa una passione per il giornalismo ed inizia a collaborare con alcuni quotidiani (l’Unità e Gioventù Nuova) scrivendo articoli di cinema e recensioni di film. Un’amicizia, poi, gli spalancherà le porte del cinema.

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Hulton Archive //Getty Images

I primi lavori di Elio Petri al cinema

Grazie ad amici comuni, infatti, Elio Petri entra in contatto con Giuseppe De Santis, aiutandolo a condurre un’inchiesta per il film Roma ore 11. Nel frattempo, il futuro regista inizia a frequentare l’Osteria Fratelli Menghi, dove confluiscono tutte le personalità di spicco del periodo. Grazie a ciò, dal 1952 al 1960 collabora - oltre che con il suo vero maestro De Santis - anche con Giuseppe Amato, Enzo Provenzale e Gianni Puccini per le sceneggiature delle loro pellicole e si impegna nelle prime esperienze dietro la telecamera.

L’esordio cinematografico di Elio Petri è però del 1961: in quell’anno esce infatti il poliziesco L’assassino con protagonista Marcello Mastroianni, già condito di tutte le tematiche ricorrenti della sua carriera: la nevrosi dell’uomo e i difficili rapporti tra la società e chi detiene il potere.

L’ascesa di Elio Petri

Grazie all’ottimo riscontro da parte del pubblico, solo un anno dopo Elio Petri dirige I giorni contati regalando a Salvo Randone la sua unica apparizione in un ruolo da protagonista sul grande schermo. Dodici mesi più tardi, invece, arriva Il maestro di Vigevano, la trasposizione cinematografica del libro firmato da Lucio Mastronardi con Alberto Sordi nella parte principale.

Insieme a Montaldo e Questi (e sotto lo pseudonimo crasi tra i loro nomi di Elio Montesti), nel 1964 esce il documentario Nudi per vivere sulla vita dei locali notturni, così scandaloso che la procura e il giudice ne chiedono la distruzione. L’anno successivo è la volta de La decima vittima tratto da un fantasy di Robert Sheckley, mentre nel 1967 arriva A ciascuno il suo, primo film realizzato da produttori emergenti. Le ultime due pellicole degli anni Sessanta sono poi Un tranquillo posto di campagna (in cui il regista riflette su quale ruolo debbano avere gli artisti nella società) e un episodio di Documenti su Giuseppe Pinelli (film militante nel quale Petri riversa tutto il suo impegno civile).

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Gli anni Settanta e la trilogia della nevrosi

Gli anni Settanta vedono il culmine della poetica di Elio Petri con tre film che si è soliti raggruppare sotto il nome di Trilogia della nevrosi. Il primo, proprio del 1970, è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, in cui la ricerca ossessiva di una sensazione di potere spinge il protagonista (Gian Maria Volonté) a uccidere la propria amante senza mai essere punito. La pellicola verrà premiata come miglior film straniero agli Oscar.

Nel 1971 arriva l’analisi di Petri sul tema del lavoro: La classe operaia va in paradiso, infatti, è una profonda satira sulla vita dei dipendenti di una fabbrica. Questo lavoro verrà premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes.

Il ciclo si chiude poi con La proprietà non è più un furto del 1973 che, grazie alle interpretazioni di Ugo Tognazzi e di Flavio Bucci, indaga il tema della proprietà privata e della ricerca spasmodica di denaro come unico obiettivo di vita.

Tre anni dopo, Petri torna alla regia con Todo modo per raccontare infine il decadimento della dirigenza italiana impersonificata nei membri del partito politico Democrazia Cristiana. Ad aiutarlo nell’intento anche le musiche di Ennio Morricone.

Le ultime fatiche tra TV, cinema e teatro prima della morte

La parte finale della breve vita di Elio Petri lo vede impegnato dapprima con la RAI per la realizzazione dell’opera Le mani sporche dell’esistenzialista Jean-Paul Sartre adattata alla televisione. Successivamente, insieme a Giancarlo Giannini e Angela Molina registra la sua ultima pellicola Buone Notizie ed esordisce a teatro con L’orologio americano di Arthur Miller. A inizio anni Ottanta, Petri convoca di nuovo Mastroianni per un film che avrebbe dovuto chiamarsi Chi illumina la grande notte: il tumore che da qualche anno lo aveva colpito, però, ne causa l’improvvisa morte il 10 novembre 1982. Il suo corpo riposa al cimitero di Prima Porta a Roma, vicino al padre.