A casa di Joe Jordan: «Il mio Verona? Si vedeva avrebbe fatto grandi cose»

C'era un tempo nel quale gli stranieri concessi a una squadra di Serie A erano appena due. Nel 1983, a Verona, arriva Joe Jordan.

Joe Jordan con la terza maglia dell'Hellas Verona a Bristol
Joe Jordan con la terza maglia dell'Hellas Verona a Bristol
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C’era un tempo nel quale gli stranieri concessi a una squadra di Serie A erano appena due, e naturalmente era proprio attorno ai pochissimi stranieri che si concentravano le attenzioni e i sogni dei tifosi. I nomi esotici accendevano la fantasia, a maggior ragione quando in una piazza come Verona – che da sempre lega il proprio modo di vivere il calcio e il tifo allo stile ‘british‘ – arriva un ragazzo di 31 anni nato a Carluke, in Scozia.

Il ragazzo in questione è Joseph Jordan, per tutti Joe. Anzi, per tutti è “lo squalo“, perché gioca senza i denti davanti in seguito a un incidente capitato all’inizio della carriera. Un’altra cosa impensabile, ai giorni nostri. Jordan è una vera e propria Leggenda della Nazionale scozzese, quando arriva a Verona. L’unico giocatore della Scozia, tutt’ora, ad aver segnato in tre diverse edizioni del Mondiale, nel 1974, nel 1978 e nel 1982.

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Jordan in gialloblù sarà un sogno, un’avventura di un anno, che lascerà però radici profonde. Jordan è amatissimo da subito, a lui è dedicata una grande bandiera scozzese in Curva Sud. Qualche infortunio di troppo lo frena, ma quando entra in campo dimostra quell’attaccamento alla maglia e quella forza morale che da sempre fanno la differenza per il pubblico gialloblù. E fa parte di un Verona fortissimo, guidato da Osvaldo Bagnoli, che uscirà imbattuto dalla sua prima partecipazione alla Coppa UEFA, arriverà sesto in Serie A e disputerà la sua terza e ultima finale di Coppa Italia, persa contro la Roma. Un Verona che appena dodici mesi dopo, solleverà al cielo il Tricolore.

Al Verona 1983/84, il primo Verona europeo, al Verona di Tricella, Volpati, Garella, Galderisi, Iorio e tutti gli altri, abbiamo scelto di dedicare la terza maglia della stagione 2023/24, che a distanza di quarant’anni torna, come la terza di quell’anno, a essere tutta bianca con dettagli blu. E per raccontarci, quarant’anni dopo, cos’era quel Verona, Joe Jordan ci ha aperto le porte di casa sua, a Bristol.

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Joe Jordan indossa la terza divisa dell'Hellas Verona per il 2023-2024
Joe Jordan indossa la terza divisa dell’Hellas Verona per il 2023-2024

L’intervista dell’Hellas a Joe Jordan

Ciao Joe, prima di tutto grazie dell’ospitalità e per averci accolto nella splendida Bristol. Perché hai scelto di vivere qui?
Nel corso della mia carriera ho viaggiato molto, e la mia famiglia con me. Il Bristol City è stata non solo la mia ultima squadra da giocatore, ma anche quella nella quale ho iniziato ad allenare, qui ho trovato la stabilità che cercavo io e soprattutto che cercavano i miei cari. Bristol è una città calma, accogliente e molto bella, mi piace vivere in questa parte dell’Inghilterra. Arrivando a casa mia, avrete notato la tranquillità della zona, a due passi dal centro storico ma fuori dal traffico.

Guardi ancora il calcio?
Assolutamente. Ho visto parecchia Serie A lo scorso anno e ho tifato durante lo spareggio tra Verona e Spezia, sicuramente una delle partite più emozionanti dell’ultima stagione.

Ci spieghi come hai fatto ad restare nel cuore nel cuore di tutti, anche dopo quarant’anni, nonostante a Verona tu sia rimasto solo una stagione?
Rispondo sinceramente: non lo so. Anche perché per me non è stato un anno facile. Da un lato ho avuto qualche stop fisico di troppo, dall’altro era un Verona con una concorrenza spietata. Non è facile entrare nelle rotazioni quando i tuoi compagni di reparto sono Nanu Galderisi (13 gol) e Maurizio Iorio (21 gol): meritarono di stare davanti nelle gerarchie. Non è mai facile giocare poco, ma quella resta una stagione chiave della mia carriera, soprattuto per quello che accadde fuori dal campo. Al mio terzo anno in Italia, dopo i due al Milan, ormai capivo la lingua piuttosto bene e mi ero adattato allo stile di vita. Bagnoli era un allenatore eccezionale, aveva saputo creare uno spogliatoio di rara compattezza. E poi Verona era e resta una città stupenda, nella quale i miei figli sono andati all’asilo e si sono fatti un sacco di amici.

Che ricordi hai di quella stagione, che per i gialloblù fu la prima nella competizioni UEFA?
Ricordo un Verona forte, fortissimo. Sesto in campionato, finalista di Coppa Italia. E poi quella Coppa UEFA fu utile per dare esperienza internazionale allo spogliatoio, insegnò mentalmente come si affrontano quel tipo di gare. Non fu una sorpresa, per me, quando l’anno successivo l’Hellas vinse lo Scudetto: solo al Leeds United, nella mia carriera, ho trovato uno spogliatoio del genere. L’atmosfera, tra di noi, era fantastica. A quel gruppo di ragazzi serviva solo un po’ di consapevolezza, e la acquisirono in quella stagione. Si vedeva che sarebbero arrivati lontano.

E i tifosi?
Ricordo la bandiera della Scozia in Curva Sud, in mezzo a tutte le altre. Dei veronesi mi impressionava, ricordo bene, il volume dei cori, il loro modo di tifare. Ma lo sapevo già ancor prima di venire al Verona. Quando Emiliano ‘Ciccio’ Mascetti, il direttore sportivo dell’epoca, venne a Milano per parlare con me, io ero già convinto. Mi ero informato per conto mio (ride, ndr)…

Hai menzionato Mascetti, che ci ha lasciati nel 2022. Cosa ricordi di lui?
Che era bravo, uno dei migliori nel suo ruolo, ci sapeva fare. Ma il nostro rapporto non è stato solo professionale. L’anno scorso sono venuto a Verona per il suo funerale, era molto più di un DS, di una persona che lavorava a stretto contatto con Bagnoli. Era semplicemente e nonostante il suo ruolo, una persona che sono fortunato ad aver potuto chiamare amico.

L’italiano lo parli ancora bene?
Sì, direi di sì, lo tengo allenato perché mia figlia vive a Milano, i miei nipoti sono italiani, di fatto. E poi sento Domenico Volpati, una persona eccezionale, ogni paio di mesi. A Verona ci vengo spesso, perché adoro la città, con tutta la famiglia. La città, i ristoranti, il Lago di Garda, c’è sempre un motivo per venire a Verona e passare del tempo lì.

Anche allo stadio?
Assolutamente. Ci vedremo lì, con mia moglie, appena possibile.

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