Mangia Prega Ama Recensione

Mangia Prega Ama - la recensione del film con Julia Roberts

16 settembre 2010
7

Tratto dall’omonimo best-seller autobiografico di Elizabeth Gilbert, questo melodramma esistenziale diretto da Ryan Murphy – il creatore della serie cult Glee e regista al cinema di Correndo con le forbici in mano – avrebbe dovuto essere il veicolo ideale per la star protagonista Julia Roberts, errante per il mondo alla ricerca di se s...

Mangia Prega Ama - la recensione del film con Julia Roberts

Mangia Prega Ama - la recensione

Una scrittrice in crisi d’identità che decide di abbandonare la sua vita newyorkese, agiata ma insoddisfacente, per viaggiare un anno in tre luoghi caratteristici – l’Italia, l’India e Bali – per riscoprire se stessa e le gioie della vita. Questo è lo scheletro narrativo del bestseller autobiografico di Elizabeth Gilbert "Mangia prega ama", trasposto adesso in lungometraggio da Ryan Murphy, creatore della serie Tv cult Glee e già regista per il cinema di Correndo con le forbici in mano.

Visto il soggetto, era prevedibile che si sarebbe potuto scivolare in alcuni momenti in cui la retorica avrebbe invaso dialoghi, situazioni e messa in scena. Quello che veramente sorprende del lungometraggio è l’apparente volontà di non evitare questo pericolo, al contrario di cavalcare qualsiasi luogo comune possibile riguardo gli argomenti trattati, in particolar modo quelli cosiddetti “esistenziali”. Anche nella messa in scena il film si concede un’estetica leccata che onestamente spiazza per la sua resa accademica: la scelta ad esempio di un direttore della fotografia come Robert Richardson, il quale ama adoperare luci molto forti e chiaroscuri contrastati, si rivela totalmente controproducente in quanto forza ancor di più l’immagine patinata di location e paesaggi gi di per sé da cartolina.

Se si abbina poi questa scelta visiva con una serie di scoraggianti ovvietà in fase di scrittura di dialoghi e situazioni, ecco che Mangia prega ama diventa (involontariamente?) parossistico. Che Murphy abbia volutamente scelto di forzare il lato retorico del progetto per tentare di esorcizzarlo rendendolo radicalmente esplicito? Difficile crederlo, ed anche se così fosse il tentativo decisamente è fallito. Incastrati in una serie di personaggi monodimensionali e sicuramente complicati da rendere credibili, anche gli attori non riescono ad eccellere. Il film avrebbe potuto essere veicolo perfetto per il timbro recitativo di una Julia Roberts al contrario inefficace, quasi poco convinta, ed oltretutto mal supportata da un fisico che comincia a rivelare (giustamente, per carità!) il tempo che passa. A farle da spalla una serie di interpreti che non lasciano il segno, con l’unica eccezione del solito Richard Jenkins, il quale riesce a farci arrivare la sua bravura compassata anche dietro la stortura di un doppiaggio a dir poco enfatico.

Qualunque fosse l’idea comune alla base di questa trasposizione cinematografica, né il regista né il cast sono riusciti a tradurla in un film interessante. Ciò che ne è scaturito è un prodotto di difficile interpretazione, che in alcuni momenti sciorina discorsi addirittura semplicistici a livello culturale, soprattutto nell’ultima parte.



  • Critico cinematografico
  • Corrispondente dagli Stati Uniti
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