CRISTALDI, Franco in "Enciclopedia del Cinema" - Treccani - Treccani

CRISTALDI, Franco

Enciclopedia del Cinema (2003)

Cristaldi, Franco

Mario Sesti

Produttore cinematografico, nato a Torino il 3 ottobre 1924 e morto a Monte Carlo il 1° luglio 1992. A partire dalla produzione, nel 1954, del primo lungometraggio di finzione, La pattuglia sperduta di Piero Nelli, diede il via a un progetto di strategia industriale e scelte espressive destinato a lasciare un segno profondo nel cinema italiano, dal dopoguerra fino all'inizio degli anni Novanta. La costante risorsa di C., oltre che il tratto dominante della sua personalità, fu infatti la capacità di muoversi con intuito e convinzione sul confine che, da sempre, il cinema come merce e il film come innovazione linguistica condividono.

Formatosi negli ambienti di ispirazione liberale di Torino, attivo nella lotta partigiana per la liberazione, iniziò a occuparsi di cinema dopo la laurea in giurisprudenza fondando, nel 1946, la società di produzione Vides. In pochi anni realizzò più di cinquanta cortometraggi documentari, dirigendone alcuni, che spaziano dalla cronaca all'informazione aziendale, allo sport, alla documentazione storica. Dopo aver lavorato con i professionisti di quella che diventò poi la commedia di costume ‒ Luciano Emmer con Camilla (1954), Mario Monicelli con Un eroe dei nostri tempi (1955), Steno con Mio figlio Nerone (1956) ‒ e aver fatto esordire nella regia Franco Rossi con Il seduttore (1954) e Vittorio Gassman con Kean genio e sregolatezza (1957), diretto dall'attore con la collaborazione di Francesco Rosi, realizzò con Luchino Visconti Le notti bianche (1957) da F.M. Dostoevskij, chiaro esempio di come lo stile produttivo possa interagire con il rigore di un'estetica. Interamente girato in studio e caratterizzato da un tipo di illuminazione e da una irrealtà scenografica rivoluzionari nell'orizzonte del cinema italiano dell'epoca, il film testimonia una capacità sorprendente di fondere letteratura, teatro e inquadrature cinematografiche, puntando, allo stesso tempo, grazie alle illimitate possibilità delle riprese in studio e all'ottimizzazione dell'uso delle scenografie per altri set, a un abbattimento dei costi e a una massimizzazione dei ricavi tipicamente industriali. In Le notti bianche prima e, poi, nei film di Pietro Germi, con il quale realizzò L'uomo di paglia (1958), Divorzio all'italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1964), C. adottò formule di condivisione di rischi e utili con gli autori che costituirono sperimentazioni industriali inedite. Fu a partire dal grande successo di I soliti ignoti (1958) di Monicelli che la Vides iniziò consapevolmente a perseguire modalità produttive affini a quelle dei grandi studi americani: possesso di teatri di posa, identificazione del marchio con un gruppo di attori legato da contratti per più film (Claudia Cardinale, Rosanna Schiaffino, Stefania Sandrelli e, successivamente, anche Giuliano Gemma e Tomas Milian), specializzazione nei generi. Anche su questo ultimo versante, il lavoro di C. non fu convenzionale. Ebbe infatti il merito di aver patrocinato la messa a punto della commedia all'italiana con film che ne portarono a maturazione gli schemi, la tipologia dei personaggi, lo stile comico e grottesco, ma anche di aver ispirato e alimentato il miglior filone del cinema di denuncia, con un'impostazione mutuata dall'inchiesta giornalistica e sociologica, in film come Salvatore Giuliano (1962), Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano (1973), tutti di Rosi e Ogro (1978) di Gillo Pontecorvo. Progettò inoltre la modulazione del cinema di consumo intesa come ricercata alternativa alla sua ripetizione meccanica: da Rascel Fifi (1957) di Guido Leoni (un musical noir cui partecipò Dario Fo come sceneggiatore e attore) ad Arrivano i Titani (1962) di Duccio Tessari (che rivoluzionò il genere mitologico), da Omicron (1964) di Ugo Gregoretti (in cui risultano miscelati fantastico e commedia in modo personale) a Der Name der Rose (1986; Il nome della rosa) di Jean-Jacques Annaud (una coproduzione internazionale tratta dal best seller di U. Eco). Sempre in rapporto dialettico con registi e addetti ai lavori, soprattutto in fase di sceneggiatura e montaggio, noto nell'ambiente per la fiscale scrupolosità della sua gestione amministrativa, C. costituì una sponda insostituibile per più di una generazione di autori che spesso, grazie a lui, ebbero l'opportunità di esordire o crescere: da Pontecorvo (Kapò, 1960) a Francesco Maselli (Gli indifferenti, 1964; Lettera aperta a un giornale della sera, 1970), da Marco Bellocchio (La Cina è vicina, 1967; Nel nome del padre, 1972) a Nanni Loy (Audace colpo dei soliti ignoti, 1959; Un giorno da leoni, 1961; Café Express, 1980), da Elio Petri (L'assassino, 1961) a Marco Ferreri (L'udienza, 1972). Anche se ottenne grandi successi con registi italiani come Monicelli (I compagni, 1963) o Federico Fellini (Amarcord, 1973), C. si impegnò sempre molto nella coproduzione internazionale: collaborò infatti alla realizzazione del film a episodi di Roman Polanski, Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, Horikawa Hiromichi e Gregoretti Les plus belles escroqueries du monde (1964; Le più belle truffe del mondo), con Claude Sautet per L'arme à gauche (1965; Corpo a corpo), Claude Lelouch per Vivre pour vivre (1967; Vivere per vivere), Louis Malle per Le souffle au cœur (1971; Soffio al cuore) e Lacombe Lucien (1974; Cognome e nome: Lacombe Lucien). Negli ultimi decenni della sua attività, durante i quali fu a capo dell'associazione dell'Unione Produttori Italiani (dal 1967 al 1974 e dal 1991 al momento della sua morte), dopo aver contribuito al testo delle leggi volte a regolamentare il settore, pur diradando la produzione di film a vantaggio di sceneggiati televisivi come il kolossal Marco Polo (1982) di Giuliano Montaldo, C. non mancò di continuare a scoprire registi e progettare nuove forme di cinema, facendo esordire autori come Maurizio Nichetti (Ratataplan, 1979) e Carlo Carlei (La corsa dell'innocente, 1992) e producendo Nuovo cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore, destinato a un grande successo internazionale (è rimasto per anni il film non in lingua inglese più visto sul mercato nordamericano), nonché a vincere il Gran premio speciale della giuria a Cannes nel 1989 e nel 1990 l'Oscar per il miglior film straniero.

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