In viaggio con la zia

In viaggio con la zia

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Piacere e morte, libertà e convenzione. Tra le ultime opere di George Cukor, In viaggio con la zia si conferma una splendida commedia che coniuga la classicità hollywoodiana a un nuovo spirito provocatorio ed epicureo. Straordinaria prova attoriale per Maggie Smith. In dvd per Sinister e CG.

Al funerale della madre il cinquantenne inglese Henry viene avvicinato da una sua anziana zia, Augusta Bertram, rimasta sempre lontana dalla famiglia poiché ritenuta una pecora nera. La zia rivela al nipote che la donna appena cremata non era in realtà la sua vera madre, per trascinarlo poi in una serie di viaggi e vicissitudini in giro per l’Europa in cerca del denaro necessario per liberare il signor Visconti, antico amore italiano della donna finito vittima di un rapimento… [sinossi]

Venuto in un periodo in cui George Cukor stava diradando a poco a poco le sue regie cinematografiche, In viaggio con la zia (1972) si conferma ancora oggi un’ultima grande affermazione di leggerezza ed eleganza prima di ritirarsi lentamente dalle scene. Superata la soglia dei settant’anni con alle spalle una lunghissima carriera hollywoodiana, Cukor traduce per lo schermo il romanzo omonimo di Graham Greene seguendo innanzitutto una schietta adesione alla dimensione del piacere, che pervade sia il tessuto narrativo del film sia il modo di fare cinema.
Prima di ogni altra cosa In viaggio con la zia esalta infatti l’universo del gioco, del superfluo tanto più piacevole proprio perché superfluo, affondando anche con sagace intelligenza e piena coscienza in tetri territori esistenziali. E forse con la franchezza che solo gli anziani professionisti possono permettersi una volta liberati dalle leggi scritte e non scritte degli studi di Hollywood, stavolta Cukor affronta di petto il racconto di una vita innanzitutto attraversata da una piena carnalità, sotto la quale è facile ravvisare una rivendicazione di esistenza per un autore che a lungo ha dovuto vivere la propria omosessualità nell’universo opaco e velato impostogli dall’industria. Della sensibilità gay resta ben percepibile in In viaggio con la zia lo sguardo acidulo e dissacrante nel narrare personaggi femminili, ben rischiarati nei loro accenti isterici e grotteschi.

È infatti un monumento al grottesco la protagonista Augusta Bertram, raccontata fin dai suoi tratti somatici di bellezza invecchiata dal volto ridotto quasi a cartoon. Con un passato di fascinosa donzella e donna di piacere, Augusta è fedele a se stessa anche fuori tempo massimo, caparbiamente abbigliata con una barocca eleganza d’altre epoche e determinata a vivere ancora secondo schemi romantici. Con plateali ricadute comiche nel suo presente, dal momento che si è ridotta a un’anziana spiantata capace di vivere soltanto di truffe ed espedienti. Ma, si badi bene, la donna non si concede agli imbrogli per un proprio tornaconto, bensì per perseguire ancora un ideale di amore romantico che da decenni la tiene avvinta a un’antica fiamma, il brillante italiano signor Visconti. Così Augusta si presenta al funerale della sorella e trascina il nipote Henry, un azzimatissimo banchiere cinquantenne, in una girandola di viaggi per l’Europa per racimolare il denaro necessario alla liberazione del signor Visconti, finito vittima di un rapimento. Da Parigi all’Italia, ai Balcani, alla Turchia, al Marocco, Augusta fa scoprire al nipote le risorse del piacere e della fantasia, rievocando nel frattempo un suo luminoso passato in cui non si sa dove finisce la realtà e inizia l’invenzione. Più di tutto Augusta è la paladina del lasciarsi al caso, del vivere la vita abbandonandosi alle sue imprevedibili scosse, fuggendo dal perimetro del giardino di casa in cui si possono coltivare sempre le solite dalie (passione del nipote Henry).
Alla fine piacere, gioco e viaggio finiscono per sovrapporsi in un unico anelito a una continua libertà, in cui resta preminente lo smarcamento da se stessi innanzitutto geografico. L’uomo civilizzato è stanziale, Augusta è una nomade.

In un contesto ancora eminentemente hollywoodiano lascia decisamente sorpresi la voglia di provocazione di un autore ultrasettantenne che imposta la sua opera anche sul conflitto tra passato e presente (molto ricorrente nelle tarde opere di registi attempati) ma senza pregiudiziali nei confronti di uno o dell’altro. Da un lato l’idea di amore romantico incarnata da Augusta è narrata con un buon margine di distacco ironico, dall’altra l’anelito libertario spinge Cukor a guardare con complicità un’anziana signora che annusa il fumo di cannabis nell’aria rimpiangendo quando a casa ne aveva a portata di mano. Sono ben accolti sia l’amore romantico sia le nuove generazioni post-Sessantotto, frutto di una nuova idea di romanticismo: l’unico oggetto di netto rifiuto è la rinuncia alla vita, incarnata dal represso nipote Henry. In qualche modo sembra di percepire l’irruzione della contestazione nelle consuetudini espressive della scintillante cinematografia da studio system.
In viaggio con la zia conserva infatti tutta la ricchezza profilmica del cinema americano dei bei tempi andati e in particolare della produzione di Cukor, accentuandone ancor più i tratti in senso camp e grottesco tramite un’evidente sovrabbondanza espressiva di colori, abbigliamenti, trucco, arredamenti ed effetti luminosi. Agli inizi degli anni Settanta si tratta di un modo di fare cinema platealmente attardato, fuori tempo massimo come la stessa zia Augusta, che però si apre alla narrazione, oramai senza più filtri e velature, di un nuovo universo libero e immaginifico.

In In viaggio con la zia assistiamo infatti all’emersione di un rimosso collettivo che costantemente ha permeato il cinema hollywoodiano dell’età classica dando luogo in esso a continue tensioni espressive; stavolta Cukor lascia libero corso ai piaceri della carne, all’esaltazione del lubrico, al gioco sfacciato e incolpevole, aderendo anche a una cosciente e ricercata volgarità (il sesso è ridicolo e scatenato come nella “migliore” commedia sexy di casa nostra: basti pensare alla grassoccia palpata sul sedere di monsieur Dambreuse dopo la caduta da cavallo della giovane zia Augusta, che non mostra affatto di disdegnare).
C’è insomma una vita da cui trarre piacere in qualsiasi modo possibile, ché la morte ghigna dietro l’angolo e si fa già evidente anno dopo anno nel tragico decadere del corpo. Vi è infatti un secondo e speculare fiume sotterraneo che scorre per tutto il film, che non a caso si apre con un funerale dai risvolti comici. La morte assume i tratti di un’ossessione rimossa, testardamente ritornante in continui segnali, dalle dita mozzate del signor Visconti che i rapitori fanno pervenire ad Augusta, alle ceneri della madre mischiate con la marijuana, al decesso dell’attempato monsieur Dambreuse su un letto di piacere.
Il piacere e il viaggio non sono altro che strumenti per fuggire dalla morte che prima di verificarsi realmente fa capolino in ogni forma di vita cristallizzata. Dietro a un armamentario espressivo così palesemente barocco e decadente si muove infatti un gusto cinico e beffardo nel racconto della morte, altra ossessione ricorrente nelle tarde opere di attempati autori, che già sembra manifestarsi sul volto carnevalesco di zia Augusta fin dalla sua prima apparizione in scena. Cukor narra innanzitutto di corpi vecchi ancora desiderosi di vivere come giovani, e nella loro rincorsa al piacere fino all’ultimo istante si esplica un gigantesco esorcismo: se si deve morire, che almeno lo si faccia con una risata e con un ultimo gemito di gioia. Per cui una commedia essenzialmente epicurea svela il suo volto nascosto, come quello di un allegro carnevale fatto di maschere inquietanti, ben nutrito da ampie dosi di un efficacissimo humour nero.

In tal senso risulta estremamente coerente col proprio universo espressivo anche l’adesione agli schemi della classica commedia screwball anni Trenta. In viaggio con la zia è infatti dominato da indiavolati ritmi narrativi, che però a differenza del canone screwball lavorano su dialoghi di inusitata significanza. Non siamo più nel dominio del deflagrante gioco di parole nonsense né nel battibecco tra sessi opposti: siamo bensì in un densissimo tessuto di riflessioni su tempo, memoria, urgenza di fantasia, morte, vita e morte in vita. È probabile che a questo abbia contribuito in modo decisivo la nobile fonte letteraria, ma resta il fatto che Cukor sembra aggiornare i collaudati meccanismi del “racconto pazzo” a nuove sensibilità, compromettendo la frequente autoreferenzialità della commedia classica americana con consapevoli e rinnovate ispirazioni personali. Complice la straordinaria prova attoriale di Maggie Smith, che per tre quarti del film interpreta un personaggio col doppio dei suoi anni, In viaggio con la zia si conferma quindi molto divertente e ben allineato a una preminente idea di entertainment, ma al contempo si profila come un’opera estremamente polifonica e stratificata. Corre veloce come il tempo davvero vissuto. Si muore, si ride. Resta poco che aiuta a mantenere la memoria del passaggio degli uomini sul pianeta. Giusto qualche bell’affresco, come alla Gare de Lyon. O il cinema, altra fonte inesauribile di piacere per chi lo fa, a trent’anni come a settanta.

Curiosità: nei panni dell’amico africano di zia Augusta troviamo un giovane Louis Gossett jr, ancora lontano dai panni del sergente di ferro di Ufficiale e gentiluomo (1982).

Extra: trailer cinematografico.
Info
La scheda di In viaggio con la zia sul sito di CG Entertainment.
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