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Sandro Veronesi:«Il nuovo nome Oniverse rispecchia valori e varietà dell’azienda»

Il fondatore e presidente del Gruppo Calzedonia, da pochi giorni ribattezzato Oniverse, a tutto campo: dal cambio del nome al no alla borsa. I ricavi 2023 in linea con il 2022: «Il problema più grave? Il meteo»

di Giulia Crivelli

Sandro Veronesi, presidente e fondatore di Oniverse. A lato, un momento dello show organizzato per la collezione autunno-inverno 23-24

3' di lettura

Un anno complesso, segnato da uno scenario geopolitico e climatico – aspetto cruciale per la moda – che ha riservato molte sorprese, in grande parte spiacevoli. «A fronte di tutto quello che non possiamo controllare e che ha condizionato la nostra azienda e l’intero settore, nel 2023 abbiamo fatto ciò che ci riesce meglio – spiega Sandro Veronesi, fondatore e presidente del gruppo Calzedonia, da pochi giorni ribattezzato Oniverse –. Ci siamo concentrati sulle potenzialità dei singoli marchi, cercando di valorizzarli in Italia e all’estero, con importanti investimenti e grazie alle idee e alla passione di tutte le persone che lavorano con noi».

Cosa vi ha spinti a cambiare il nome, mossa sempre rischiosa quando un marchio è molto noto?

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Calzedonia, nato nel 1986, è stato il punto di partenza ed è giusto che in tutti questi anni abbia avuto, diciamo così, l’onore e forse l’onere di identificare l’intero gruppo. Negli ultimi decenni però il portafoglio si è allargato non solo in termini di marchi, ma di settori, andando oltre la moda intesa in senso stretto. Oggi, accanto a Calzedonia, che resterà sempre un brand concentrato sull’universo delle calze e, in estate, dei costumi, ci sono i marchi Intimissimi, Intimissimi Uomo, Tezenis, che appartengono a un ambito contiguo. Ma abbiamo anche Falconeri (abbigliamento e accessori in cashmere e filati pregiati), Atelier Emé (abiti da sposa) e Antonio Marras. Poi c’è Signorvino, enoteche con ristorazione e, last but not least, i Cantieri del Pardo, acquisizione nella nautica che risale all’agosto di quest’anno. Oniverse è l’anagramma di Veronesi, ma me l’hanno fatto notare a cose fatte. Di questo nome mi piace soprattutto il richiamo non didascalico a qualcosa di omnicomprensivo.

Considerando le dimensioni del gruppo, oltre 3 miliardi nel 2002, e la complessità del portafoglio, il pensiero corre ad altri grandi gruppi, che sono però quotati. Alla Borsa ci state pensando?

Siamo appena stati inseriti nell’annuale classifica della società Pambianco delle aziende quotabili. Per essere precisi, siamo sul gradino più alto del podio, seguiti dal gruppo Giorgio Armani e da Golden Goose. Un risultato che ci rende orgogliosi, perché rispecchia non solo le dimensioni dell’azienda ma anche la sua solidità e potenzialità e la governance. Però la risposta è no: nel breve periodo non pensiamo allo sbarco in Borsa, anche se prepararsi all’eventualità è comunque un buon modo per migliorare ogni processo interno e per fare scelte con un orizzonte di medio e lungo periodo.

Nel 2022, anno del grande rimbalzo post Covid, siete cresciuti del 20% rispetto al 2021. Per quest’anno cosa prevede?

Preferisco essere prudente, anche se, come ogni marchio e azienda della moda, spero in un contributo positivo di dicembre. Credo che chiuderemo l’anno in linea con l’esercizio 2022, che va considerato davvero eccezionale. I problemi più grandi sono venuti da qualcosa che è da sempre fuori dal controllo di tutti, il meteo. Proprio perché parliamo di un fattore esterno, abbiamo addirittura accelerato su ciò che è invece in nostro potere: comunicazione, show e sfilate per coinvolgere più persone possibile, progetti diversi per ogni marchio, analisi dei mercati esteri per capire dove concentrare le risorse. Il numero di eventi organizzati nel 2023 penso resterà un record, credo però che ce ne fosse bisogno: dopo il Covid c’è stato il rimbalzo dei consumi, ma soprattutto è tornata la voglia di socialità e di sentirsi coinvolti con altre persone.

Tra le acquisizioni che hanno sorpreso di più c’è Antonio Marras. Come procede il nuovo corso?

Ho sempre detto che con Antonio, fondatore e ancora oggi anima creativa del marchio, c’è una sintonia molto forte e lo ribadisco. Credo che si senta ancora più libero di esplorare le possibilità stilistiche, mentre a noi spetta curare la parte manifatturiera e distributiva. Siamo d’accordo sul potenziare gli accessori e stiamo facendo grandi investimenti nei monomarca. Quest’anno abbiamo inaugurato boutique nelle vie più prestigiose di Roma, Firenze, Torino, Venezia e Forte dei Marmi. Manca solo Montenapoleone, a Milano, ma ci siamo quasi.

E Falconeri, che proprio nella via del lusso milanese ha un monomarca?

Studiando mercati e consumi, abbiamo capito che il marchio ha grandi potenzialità, oltre che in Italia, Francia e Germania, in Cina, dove c’è una cultura del cashmere che manca altrove, persino in alcuni Paesi europei. Nel 2024 apriremo diversi negozi, sempre seguendo la bussola dell’altissimo rapporto tra qualità e prezzo, alla base del successo di Falconeri, ma anche di Intimissimi, solo per fare un esempio.

E Atelier Emé?

Un altro prezioso tassello del portafoglio: apriremo un grande spazio in via Bagutta, a Milano, puntando sul crescente desiderio di personalizzazione degli abiti.

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