Rauti l’impresentabile, chi è l’anima eversiva del neofascismo italiano - la Repubblica

Politica

Rauti l’impresentabile, chi è l’anima eversiva del neofascismo italiano

Rauti l’impresentabile, chi è l’anima eversiva del neofascismo italiano

Dalla Repubblica di Salò all'accusa di complicità nelle stragi fasciste. Oggi il "Gramsci nero" è tra le stelle polari di Giorgia Meloni 

3 minuti di lettura

Lo chiamavano il "Gramsci nero". Ma Pino Rauti non è stato solo un intellettuale, ma un uomo d'azione che ha incarnato in modo paradigmatico l'anima più eversiva del neofascismo italiano. Da vecchio gli piaceva dire che il fascismo non era più ripetibile "ma un giacimento di memoria a cui si poteva ancora attingere". Tutta la sua vita è stata nel segno d'una religione fascista irriducibile, pericolosamente ai bordi delle istituzioni democratiche, talvolta invischiata nelle più nefaste trame stragiste della storia repubblicana, dalle quali fu assolto in sede penale ma non sul piano morale, come disse il pubblico ministero nel processo per l'attentato di Piazza della Loggia ("La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva").

Cresciuto a Roma in una famiglia di fervente fede littoria - il padre era usciere presso il ministero della Guerra - a 17 anni si arruola volontario nella Guardia repubblicana di Salò, l'organismo di polizia interna e militare che represse la resistenza e partecipò al rastrellamento di civili. L'appartenenza repubblichina non lo abbandonerà nel dopoguerra quando nel 1946 aderisce al nascente Movimento Sociale Italiano, fondato dai fascisti che avevano militato a Salò: il segretario Giorgio Almirante era stato segretario di redazione della Difesa della Razza - la rivista ufficiale dell'antisemitismo - e nella Repubblica sociale aveva ricoperto il ruolo di capo di gabinetto del ministro Fernando Mezzasoma, rendendosi responsabile del "manifesto della morte" contro il partigianato e la resistenza dei civili. 

Nel Movimento sociale, partito che era rimasto fuori dall'Assemblea Costituente, eletto sì in Parlamento ma sempre fuori dal perimetro della maggioranza di governo, Rauti rappresenta fin dagli inizi l'espressione ancora più radicale e movimentista, in nome di "una intransigenza dottrinaria assoluta". "Il più estremista tra gli estremisti", dice ora Giovanni De Luna, studioso del fascismo e del neofascismo. E mentre nel Movimento sociale si discute del ruolo del partito nel contesto politico democratico, Rauti aderisce al gruppo clandestino dei Far (Fasci di Azione Rivoluzionaria): nel 1950 viene arrestato per alcuni attentati rivendicati dall'organizzazione, ma un anno più tardi viene assolto per insufficienza di prove. Insieme a lui viene imprigionato Julius Evola, considerato l'ispiratore del gruppo. Ed è con questo ideologo del fascismo e del nazionalsocialismo, promotore di diverse teorie del complotto razziste e antisemite, che Rauti intreccia la propria posizione politico-filosofica fondando nel 1953 il gruppo dell'Ordine Nuovo: una vera fazione organizzata del Msi, l'ha definito Marco Tarchi, con strutture locali, tessere, una rivista omonima ispirata alle esperienze dei regimi fascisti nel periodo tra le due guerre mondiali, inclusa la Germania nazionalsocialista. Delle leggi razziste approvate da Mussolini nel 1938, Rauti ha continuato a dire anche in tempi recenti che occorreva "contestualizzare". "All'epoca del conflitto in Spagna l'ebraismo aveva dichiarato guerra al fascismo. E le leggi del 1938 furono benedette dalla Chiesa cattolica". Nessuna traccia di vergogna postuma.

Da posizioni teoriche sovversive Rauti combatterà la segreteria moderata e legalitaria di Arturo Michelini, fino all'uscita dal partito nel 1957 con l'avvio del "Centro Studi Ordine Nuovo", ormai totalmente autonomo dal Movimento Sociale: tra i suoi collaboratori spicca il nome di Stefano Delle Chiaie, un esponente della strategia della tensione che ritroveremo alla fine del decennio successivo tra gli imputati per le bombe di Piazza Fontana.

Gli anni Sessanta vedono Pino Rauti nella veste di agguerrito sacerdote dell'anticomunismo. Nel 1967 accoglie con favore il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia. E sostiene i regimi "bianchi" in Rhodesia e in Sudafrica. È in questi anni che comincia a collaborare con Guido Giannettini, uomo dei servizi: altro nome che ritroveremo tra gli imputati nel processo di Piazza Fontana. Il 4 marzo del 1972 Rauti viene accusato di complicità nelle stragi nere culminanti nel dicembre del 1969 con le bombe nella Banca dell'Agricoltura. Si fa cinquanta giorni di carcere per poi essere eletto deputato del Movimento sociale, sotto la guida di Almirante: successivamente sarà prosciolto dall'accusa.

Insofferente a una destra sempre più in doppiopetto, Rauti elabora una serie di iniziative che puntano al coinvolgimento della società civile. È sua l'idea di un campo Hobbit e dei gruppi di ricerca ecologica: il suo nome esercita un indubbio fascino presso i militanti più giovani. Alla fine degli anni Ottanta la malattia di Almirante gli apre la possibilità di candidarsi alla segreteria del Movimento sociale e nel 1990 riesce a battere Gianfranco Fini, ma per un periodo breve: più tardi sarà tra i più ostinati avversari della Svolta di Fiuggi, con cui vengono recise le radici storiche del fascismo. Fedele fino alla fine al vessillo della fiamma tricolore, sempre orgogliosamente fascista.

Questo è stato Pino Rauti, a cui la destra oggi al governo rende omaggio. E che Giorgia Meloni nel suo libro autobiografico elenca tra le stelle polari. Il più impresentabile, tra gli impresentabili. 

I commenti dei lettori