Amarcord, 50 anni dal capolavoro di Fellini sulla memoria
Amarcord copertina

Amarcord, 50 anni dal capolavoro di Fellini su memoria e passato

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Amarcord è un film diretto da Federico Fellini nel 1973, ambientato in un pittoresco villaggio italiano negli anni ’30. Offre uno sguardo nostalgico e surreale sulla vita quotidiana attraverso gli occhi del giovane Titta, interpretato da Bruno Zanin, mentre cresce in un mondo fatto di memorabili personaggi e situazioni straordinarie.

Amarcord pranzo

Amarcord è un capolavoro intriso di nostalgia che Federico Fellini dedica alla sua Rimini natale, un’ode al passato che, anche a distanza di cinquant’anni dalla sua creazione, continua a persistere nel cuore di ogni cinefilo. Sin dalla prima inquadratura, con le lenzuola svolazzanti mosse dal vento, diventano palpabili le sensazioni di un passato ormai lontano che, pur appartenendo al regista, assume un carattere universale ed evocativo. È un passato che si respira nelle aule di scuola, nelle conflittualità con i genitori, nelle strade deserte, incrociando personaggi peculiari della provincia o attraversando i suoi paesaggi, tratteggiati dal passare delle stagioni e contrappuntati dall’iconica e indimenticabile colonna sonora di Nino Rota.

Lo sguardo all’indietro di Amarcord

Amarcord Rex

Tutto è trasfigurato da un atto di memoria che non può che essere personale. Lo sguardo della macchina da presa è filtrato dal prisma dell’esperienza soggettiva e conseguentemente lo è la natura del racconto, trasformandosi in un salto nel passato che sfugge all’ordine di una narrazione precisa e finisce per addensarsi in una rêverie costruita sulle suggestioni, sui ricordi, sui sogni. Non c’è una vera e propria trama in Amarcord, è lo scorrere di attimi della vita quotidiana osservata da lontano, come dietro un vetro, con quadri familiari, fughe fantasiose e lunghe sequenze descrittive.

Se il racconto si limita a stralci di storie personali e suggestioni – lembi di vita lasciati, messi in pausa e poi ripresi – il gesto del raccontare interessa ancora a Fellini, che inserisce in abisso nella diegesi, come un ulteriore grado di separazione tra lui e la storia. I personaggi guardano e parlano con la macchina da presa con disinvoltura, anche se sempre ostacolati o disturbati dal fuoricampo, come per suggerire le insidie di un atto di memoria.

Una Rimini felliniana

Amarcord

I personaggi sono entità ricorrenti del cinema felliniano, dalla voluttuosità di alcune figure femminili, rappresentate nel loro fascino e nella loro malinconia, alla pazzia un po’ infantile dei suoi personaggi maschili, ridicolmente orgogliosi e narcisisti. I caratteri tendono alla caricatura, eppure sotto il velo del farsesco emerge una realtà che è densa e onnipresente. Amarcord è una rappresentazione lirica della provincia, il Borgo del film si riferisce agli spettri di una Rimini, quella di Fellini, ormai passata, che può vivere solo nel mito, nell’immaginario. Un po’ come i personaggi del film, che fantasticano di innamoramenti e conquiste.

Talvolta anche il cinema hollywoodiano diventa un porto franco in cui costruire le proprie aspettative, come accadeva anche per esempio in Bellissima (Luchino Visconti, 1951): come Magnani, entusiasta di fronte ai paesaggi del cinema di John Ford, Gradisca rimane catturata davanti allo schermo del cinema e sogna un giorno di sposare un Gary Cooper (la realtà per lei sarà molto diversa, finirà per sposare un carabiniere).

Amarcord fa i conti col fascismo

Amarcord Mussolini

Fellini sotto uno strato nostalgico e malinconico costruisce anche un discorso ironico-politico che gli è in qualche modo affine. Amarcord è ambientato durante il ventennio fascista, negli anni Trenta, e la figura di Mussolini, nonostante gli sia conferito relativamente poco spazio, aleggia come uno spettro sulle vite dei personaggi.

La prima entrata in scena lo vede acclamato dalla folla, e, seppur venga rappresentato in modo ridicolo, non sembra esserci assoluzione narrativa per i personaggi e la loro adesione; piuttosto Fellini sembra condannarli, o quantomeno li guarda segnandone l’ottusità. Mussolini poi giganteggia come pura icona e immagine, col suo volto stilizzato che viene sollevato in mezzo alla folla, tra urla di approvazione e bandiere agitate.

Fellini mette in scena l’adorazione e la forza del regime fascista attraverso l’immagine di Mussolini. Queste visioni e suggestioni s’innestano ironicamente con il ritratto della realtà adolescenziale: un allineamento tra i due punti sembra suggerire che, in fondo, il fascismo si è inserito in un vuoto di ignoranza edificato da eterni infanti e ha preso vitalità e consenso sui desideri superficiali e sulle frustrazioni.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

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