La missione InSight della NASA rivela che il nucleo di Marte è sorprendentemente grande | National Geographic

La missione InSight della NASA rivela che il nucleo di Marte è sorprendentemente grande

Studiare l’interno del pianeta rosso aiuterà gli scienziati a capire meglio come si è formato Marte e come si è trasformato nel deserto ostile e rugginoso che vediamo oggi.

da Michael Greshko

pubblicato 01-08-2021

Insight seismometer

Dall’inizio del 2019 il sismometro del lander della NASA InSight raccoglie dati essenziali per comprendere la struttura interna di Marte. Grazie a InSight, gli scienziati hanno calcolato le dimensioni del nucleo del pianeta oltre ad altre caratteristiche della crosta e del mantello.

FOTOGRAFIA DI NASA/Caltech

Il dio della guerra del sistema solare ha un cuore più grande di quanto non si pensasse: utilizzando per la prima volta nella storia dell’umanità un sismografo su un pianeta diverso dalla Terra, i ricercatori hanno analizzato la struttura interna di Marte compreso il suo gigantesco nucleo liquido.

I risultati di tre studi, pubblicati sulla rivista Science, segnano l’ennesimo successo scientifico del lander della NASA InSight, atterrato sulla pianura equatoriale, conosciuta con il nome di Elysium Planitia, nel novembre 2018. Il veicolo spaziale fisso ha rilevato deboli “martemoti” (neologismo utilizzato per indicare i “terremoti di Marte”, NdT) che scuotono l’interno del pianeta dall’inizio del 2019. Sulla Terra, le onde sismiche rivelano la struttura interna del nostro pianeta indicando i margini alle grandi profondità dove la velocità e la direzione delle onde cambiano. Simili misurazioni effettuate da InSight delle scosse su Marte hanno permesso agli scienziati di individuare i singoli strati all’interno del pianeta rosso incluso il  suo nucleo largo circa 3.700 km.

“Come sismologo, probabilmente hai una sola possibilità nella vita di trovare il nucleo di un pianeta”, afferma il membro del team di InSight Simon Stähler, esperto di sismologia dei pianeti presso il Politecnico federale di Zurigo, in Svizzera, intervistato tramite videochiamata.

Marte è appena il terzo corpo celeste di cui abbiamo misurato il nucleo direttamente grazie ai dati sismici preceduto dalla Terra all’inizio del 1900 e dalla Luna nel 2011. Una volta combinate con le prime misurazioni di InSight del mantello e della struttura della crosta di Marte, le dimensioni del nucleo consentiranno di perfezionare i modelli per capire in che modo Marte si è formato ed è cambiato negli ultimi 4,5 miliardi di anni, passando dall’essere un mondo forse abitabile, con acqua liquida e interamente circondato da un campo magnetico, al deserto ostile color ruggine che conosciamo oggi.

Le precedenti missioni marziane e i modelli computerizzati avevano realizzato molte stime affidabili di ciò che si trova sotto la superficie dal caratteristico color ocra di Marte compresa una prima teoria sul fatto che probabilmente il suo nucleo fosse liquido. Ma senza dati sismici diretti, i ricercatori non potevano confermare il livello di precisione dei loro modelli né sapere se Marte avesse delle sorprese in serbo per loro. I risultati di InSight permettono di scoprire quanto Marte sia cambiato nel corso del tempo e consentono altresì di testare la capacità degli scienziati di individuare da lontano ciò che si trova all’interno del cuore di un pianeta.

“È la prima volta che disponiamo di osservazioni dall’interno di un altro pianeta”, spiega Sanne Cottaar, sismologa presso l’Università di Cambridge nel Regno Unito, non coinvolta nei tre studi, intervistata in videochiamata.

Come funzionano i martemoti

Decifrare i risultati delle misurazioni di InSight rappresenta la principale sfida dell’analisi. Sulla Terra la sismologia viene realizzata attraverso reti di decine di migliaia di sensori. Gli scienziati di InSight invece hanno a disposizione un singolo sismometro, in un singolo punto, con cui indagare l’interno del pianeta rosso.

Come se non bastasse, Marte è molto più “tranquillo” rispetto alla Terra. Le scosse più forti di Marte verrebbero a malapena avvertite dalle persone sulla superficie salvo che entro un raggio di 3 km circa dall’epicentro. Ma InSight è estremamente sensibile e la calma sismica di Marte permette al veicolo spaziale di individuare deboli scosse a distanze superiori rispetto a quelle rilevate da strumenti simili sulla Terra. Ciononostante, gli scienziati hanno dovuto fare i conti con molte possibili fonti di interferenza tra cui: venti superficiali, diavoli di sabbia e anomalie tecniche provocate dai cigolii e scricchiolii della struttura di InSight che si riscalda e si raffredda ogni giorno che trascorre su Marte.

“Grazie al nostro team eccezionale siamo stati in grado di estrarre tutte le informazioni di cui avevamo bisogno dai dati che abbiamo ricevuto e che ancora continuiamo a ricevere”, spiega Mark Panning, sismologo presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California, coautore degli studi.

L’ABC dei ricercatori che si occupano dei martemoti è noto a tutti i sismologi sulla Terra: onde P e onde S, due tipi di onde sismiche che si propagano nelle viscere di un pianeta.

Proprio come le onde sonore, che si propagano nell’aria o nell’acqua, le onde P comprimono le particelle lungo il loro percorso. Le onde S si muovono più lentamente delle onde P e, mentre attraversano un materiale, scuotono lateralmente le particelle, come le corde di una chitarra quando vengono pizzicate.

Poiché si muovono in modi diversi, le onde P ed S non passano attraverso gli stessi tipi di materiale e ciò offre agli scienziati indicazioni importanti sull’interno dei pianeti. Le onde P possono attraversare solidi, liquidi e gas senza problemi, ma le onde S possono propagarsi solo attraverso i materiali solidi poiché solo i solidi resistono alla sollecitazione laterale.

Questa differenza è stata essenziale per individuare il nucleo di Marte in quanto le onde P possono passare attraverso un mantello solido e un nucleo liquido al contrario delle onde S. In base all’orientamento del loro movimento orizzontale, alcune onde S possono anche raggiungere il margine che separa il nucleo dal mantello, rimbalzarvi senza perdere energia e tornare in alto, verso la superficie.

Stähler e i suoi colleghi di InSight erano alla ricerca proprio di questo tipo di riflessioni sismiche. Dopo aver individuato spunti curiosi nei dati raccolti durante un martemoto del luglio 2019, Stähler e un numero sempre maggiore di scienziati di InSight hanno cercato i martemoti arrivati in tre fasi distinte: l’onda P, seguita dalla onda S principale e da una seconda onda S, più piccola, qualche centinaio di secondi dopo, con l’orientamento corretto per essere un’onda riflessa.

In totale, il team ha riscontrato sei martemoti che mostravano questo schema in tre parti. Confrontando i segnali rispetto a 5.000 modelli diversi del mantello di Marte, i ricercatori hanno scoperto che queste onde dovevano per forza rimbalzare da un margine a circa 1.600 km sotto la superficie del pianeta rosso: la linea divisoria tra il mantello solido di Marte e il suo nucleo liquido.

Basandosi sulla profondità del confine fra nucleo e mantello, il team di InSight stima che il nucleo di Marte abbia un’ampiezza compresa tra i 3.590 e i 3.740 km leggermente più grande rispetto alle aspettative degli scienziati. Tali dimensioni del nucleo implicano anche che la sua densità media sia leggermente inferiore rispetto a quanto si pensava in passato. Se alcune delle ipotesi plausibili sulla composizione di Marte dovessero essere confermate, il nucleo liquido composto da ferro e nickel dovrebbe contenere dal 10% al 15% di zolfo in peso oltre ad alcune tracce di elementi più leggeri come ossigeno, idrogeno e carbonio.

I risultati chiariscono anche che il mantello di Marte non raggiunge la profondità e la pressione necessarie per formare un mantello inferiore distinto, il tipo di strato geologico che all’interno della Terra è una regione calda e densa formata da rocce solide, che inizia all’incirca a 660 km al di sotto della superficie del nostro pianeta. I minerali ad alta pressione che si trovano nel mantello inferiore della Terra aiutano a isolare il nucleo del nostro pianeta quindi l’assenza di questo involucro in Marte probabilmente significa che il suo nucleo si è raffreddato in molto meno tempo.

A seconda della composizione del nucleo, il suo potenziale rapido raffreddamento potrebbe aver favorito lo spostamento del calore attraverso il nucleo stesso di Marte durante i primi periodi di vita del pianeta, generando quel genere di correnti convettive che avrebbero creato un campo magnetico attorno al giovane pianeta.

Anche se su Marte oggi quel campo magnetico non è presente, la crosta dell’emisfero sud è fortemente magnetizzata e ciò significa che il pianeta rosso aveva un campo magnetico simile a quello della Terra all’incirca tra i 3,7 e i 4,5 miliardi di anni fa, che poi è sparito. La scomparsa del campo magnetico di Marte è stata collegata alla perdita di gran parte della sua atmosfera quindi raccogliere più dati sulla scomparsa del campo magnetico può aiutare gli scienziati a capire quando e perché Marte è diventato il pianeta secco e apparentemente arido che conosciamo oggi.

Di cosa è fatto Marte

I martemoti registrati da InSight non hanno solo svelato caratteristiche del nucleo del pianeta rosso ma hanno anche fornito indizi sui primi strati al di sotto della superficie, il mantello e la crosta. Per la prima volta, gli scienziati possono “vedere” l’interno di questi strati di Marte come abbiamo fatto con la Terra.

In un altro studio, pubblicato sempre il 22 luglio su Science, un team guidato dal geofisico del Politecnico federale di Zurigo Amir Khan ha utilizzato i dati del martemoto per individuare un netto taglio termico all’interno del pianeta a una profondità di circa 400-600 km. Al di sopra di quella profondità, la crosta e la parte superiore del mantello conducono il calore insieme, come uno scudo stabile, chiamato litosfera termica. Al di sotto di quella profondità, il mantello si comporta in modo più simile a un fluido viscoso, trasmettendo il calore lentamente per convezione, come una lampada di lava.

La modellizzazione suggerisce anche che la crosta inferiore di Marte sia molto più ricca di elementi radioattivi che producono calore da 13 a 21 volte in più rispetto al mantello sottostante. Nel loro insieme i risultati potrebbero aiutare a spiegare perché i vulcani compaiono in certe posizioni nonostante l’assenza di una tettonica a placche globale del pianeta.

A completamento dello spaccato del pianeta rosso, i ricercatori si sono concentrati anche sulla struttura della crosta di Marte, in un terzo articolo pubblicato sulla rivista Science. I risultati dello studio consentono due interpretazioni diverse: la crosta potrebbe essere spessa all’incirca 20 km e composta da due strati oppure avere uno spessore di 39 km circa ed essere composta da tre strati. Comprendere quale delle due è l’interpretazione corretta potrebbe aiutare gli scienziati a capire in che modo si è formato il pianeta e le mutazioni avvenute nel corso del tempo.

“Speriamo ancora che ulteriori dati o analisi diverse ci permettano di arrivare al punto in cui potremo escludere uno dei due scenari” afferma Brigitte Knapmeyer-Endrun dell’Università di Colonia, in Germania, che ha guidato lo studio sulla struttura della crosta con Mark Panning del JPL (Jet Propulsion Laboratory della NASA).

Tuttavia il grande nucleo di Marte potrebbe rendere molto più difficoltoso rilevare alcuni interessanti tipi di scosse. Tra i luoghi più promettenti dal punto di vista sismico su Marte c’è la straordinaria regione di Tharsis, sede dell’Olympus Mons e di altri massicci vulcani dormienti nonché di crepe e faglie geologicamente recenti. Il nucleo di Marte è abbastanza grande da bloccare le onde S di Tharsis impedendo loro di raggiungere InSight e, di conseguenza, impedendo al veicolo spaziale di individuare eventuali martemoti che si verificano in quella regione.

Forse, altrove, Marte nasconde altre “sorprese sismiche”. InSight sta ancora raccogliendo i dati e con il prolungamento della missione fino alla fine del 2022, i ricercatori prevedono di assistere a ulteriori scosse e di dare uno sguardo al grande cuore metallico del pianeta rosso in modo più diretto di quanto non sarebbe possibile dall’orbita.

“Abbiamo fatto dei notevoli progressi rispetto alla semplice interpretazione dell’interno del pianeta dallo spazio”, conclude Stähler, “ora disponiamo di autentiche prove concrete”.