30 anni di Velluto Blu, misterioso e onirico capolavoro
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30 anni di Velluto Blu, misterioso e onirico capolavoro

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Festeggiamo l'anniversario dell'uscita, il 19 settembre 1986, del quarto film di David Lynch, uno dei nostri film preferiti in assoluto.


Il 19 settembre 2016 esce al cinema Velluto blu, quarto lungometraggio di David Lynch e suo film più personale - fino ad allora - dopo il folgorante esordio con Eraserhead. Dino De Laurentiis tiene fede alla parola data con una stretta di mano al giovane regista di fargli girare un film col final cut, se accetterà di dimezzare budget e cachet e nonostante il disastro di Dune (erano altri tempi e i produttori avevano un’altra stoffa) glielo distribuisce anche. Non parliamo di un blockbuster ma di un film che resterà nella storia del cinema, diventando oggetto di culto e influenzando decine di altri autori e varrà la seconda candidatura all'Oscar a David Lynch, anche se in tutta la sua vita cinematografica incasserà una cifra di poco superiore agli otto milioni di dollari, il che fa pensare a quanto certi capolavori siano destinati a raggiungere un pubblico ristretto, che Lynch allargherà solo nel corso della sua carriera col successo mondiale della pionieristica serie Twin Peaks.

Ed è proprio la Lumberton in cui si svolge il voyeuristico mystery/noir con numerosi richiami non solo a Hitchcock ma ai classici del genere, declinati però secondo l’ottica visionaria e onirica di Lynch, che prefigura la cittadina in cui le cose non sono quello che sembrano, l’agitarsi delle tende rosse nasconde una realtà di decomposizione e malvagità, i colori e l’operosità di una cittadina che vive dell’industria del legno di notte lasciano il posto a un mondo strano, come ripete più volte Jeffrey, interpretato dall’alter ego del regista Kyle McLachlan. Quando il film esce, la coppia di critici Gene Siskel e Roger Ebert discute accanitamente: il primo sostiene che gli ha fatto lo stesso effetto che da ragazzo gli fece Psycho, mentre il secondo insiste sul disagio che gli ha provocato assistere alla violenza sul personaggio di Dorothy. Ed è noto che il film venne rifiutato dal festival di Venezia perché l’allora direttore Gian Luigi Rondi ritenne il personaggio di Isabella Rossellini un insulto alla memoria della madre Ingrid Bergman.

Certo è che Velluto blu come un brutto sogno può (deve) mettere a disagio lo spettatore e chi è incline a una visione moralistica della vita ci proietterà la propria paura e il proprio disgusto. Rossellini alla sua prima prova importante (come più o meno tutto il cast), dimostra un coraggio fuori dall’ordinario nel farsi plasmare dal suo pigmalione (che diventerà anche il suo compagno): nel suo apparente masochismo Dorothy è una bambola spezzata, dominata da un gangster che per averla le ha rapito marito e figlio e vittima di una specie di sindrome di Stoccolma. E se è vero che a tratti sembra partecipare e godere di questa sua condizione, si tratta solo di una storia, neanche troppo insolita a guardar bene, che non rappresenta certo tutte le relazioni e tutte le donne e viene messa in scena con crudezza ma senza alcun compiacimento.

Il personaggio di Frank - un Dennis Hopper strepitoso che fa la sua grande rentrée dopo un lungo periodo di disintossicazione da droga e alcool - è uno degli psicopatici più feroci e al tempo stesso misteriosi della storia del cinema: forse in Dorothy vede davvero una mamma e la ama di un amore sincero, forse ha visto il padre fare alla propria quello che lui fa a lei, ma in questo rapporto di feticismo e violenza c’è molto di più di quanto non appaia. Quanto a Jeffrey e Sandy, la loro apparente pulizia viene ben presto sporcata: un innocente che entri in contatto col male può scoprire che la sua curiosità nasconde parti di sé che non voleva vedere ma che una volta conosciute lo fanno crescere.

E poi ci sono i temi affascinanti e ricorrenti dell’opera di David Lynch: L’oscurità, l’accensione di una fiamma che brucia e non riscalda, le splendide musiche sinfoniche e quasi hermanniane di Angelo Badalamenti alla sua prima collaborazione con Lynch, l’emergere dei personaggi dal buio alla luce, i parallelismi tra il gangster Frank e Killer Bob, le disabilità fisiche (il cieco che vede meglio dei vedenti nella ferramenta del padre di Jeffrey), gli anni Cinquanta, gli steccati bianchi, le canzoni romantiche che possono diventare inquietanti e spettrali, i pettirossi meccanici alla Mary Poppins, la Dorothy del Mago di Oz (che ritroveremo sotto altre spoglie in Cuore selvaggio: in fondo non vogliamo tutti tornare nel Kansas?), il “soave” Dean Stockwell, che mima In Dreams con una luce da set al posto del microfono, i paesaggi industriali coi suoni e i rumori creati dal compianto genio di Alan Splet (paragonabile solo al Gonzalo Gavira che creò il tessuto sonoro dell’Esorcista), le sequenze grottesche e quelle in cui si ride senza sapere perché. Rivedendolo 30 anni dopo, Velluto Blu è ancora un capolavoro e un pozzo senza fondo di idee e suggestioni, che ha resistito indenne alla prova del tempo e uno di quei film che non ci stancheremo mai di rivedere: buon anniversario!

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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