Anita Garibaldi, l'eroina dei due mondi

Anita Garibaldi, l'eroina dei due mondi

Duecento anni fa, il 30 agosto 1821, nasceva in Brasile Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, passata alla storia come Anita Garibaldi, rivoluzionaria brasiliana che insieme al marito incarnò un ideale di libertà tanto in Italia quanto in America Latina

L'unico ritratto esistente di Anita Garibaldi eseguito dal vivo, a opera di Gaetano Gallino, Montevideo 1845

L'unico ritratto esistente di Anita Garibaldi eseguito dal vivo, a opera di Gaetano Gallino, Montevideo 1845

Foto: Gaetano Gallino, shorturl.at/qQ568. Pubblico dominio, shorturl.at/hjIP6

Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio nota come Anita Garibaldi, nacque in Brasile a Morrinhos, una frazione di Laguna nello Stato di Santa Catarina, il 30 agosto di duecento anni fa. Era la terza di dieci figli di un mandriano che morì di tifo nel 1834, lasciando la famiglia in gravi difficoltà economiche. Fu così che il giorno in cui Anita compiva quattordici anni, il 30 agosto 1835, la madre la costrinse a sposare Manuel Duarte, un calzolaio conservatore e reazionario molto più vecchio di lei.

Il sogno della rivoluzione

Il Brasile di quegli anni era in fermento: il Paese aveva raggiunto l'indipendenza dal Portogallo solo nel 1822, ma al potere c'era ancora un imperatore, Pedro II, e alcuni stati brasiliani, incluso quello di Santa Catarina, aspiravano all’indipendenza. Il primo a iniziare Anita ai discorsi politici e agli ideali di giustizia sociale non fu il marito, che anzi dopo tre anni di matrimonio la lasciò per unirsi all'esercito imperiale, ma uno zio, Antonio. La ragazza, emancipata e amante della natura, del nuoto e dei cavalli, guardava con ammirazione i ribelli farroupilha che nel 1835 portarono la rivoluzione a Laguna.

L'occasione di unirsi a loro arrivò il 27 luglio 1839, quando un guerrigliero corsaro al servizio della repubblica di Santa Caterina puntò il suo cannocchiale su un gruppo di ragazze sul molo di Laguna e s'innamorò di lei a prima vista: era Giuseppe Garibaldi. Nel 1836 il rivoluzionario nizzardo era fuggito in America Latina per evitare una condanna a morte per aver partecipato ai moti carbonari ed essersi iscritto alla Giovane Italia di Mazzini, e si era unito alle insurrezioni locali.

La casa di Anita a Laguna, Santa Catarina, nel sud del Brasile

La casa di Anita a Laguna, Santa Catarina, nel sud del Brasile

Foto: Stuckkey, CC BY-SA 3.0, shorturl.at/dhlIX

Le lotte in Brasile

Il colpo di fulmine fu reciproco e immediato e già il 20 ottobre Anita s'imbarcò con Garibaldi sulla nave Rio Pardo per seguirlo in battaglia. Il battesimo del fuoco avvenne a Imbituba il 3 novembre, quando la spedizione fu attaccata dalla marina imperiale del Brasile. A distanza di pochi giorni, il 15 novembre, Anita diede prova di grande coraggio nell’ultima battaglia navale di Laguna, in cui si espose a gravi rischi per trasportare in salvo sotto il fuoco nemico le munizioni di bordo prima che Garibaldi desse fuoco alle sue navi.

All'inizio del 1840, nella battaglia di Curitibanos, Anita cadde prigioniera delle truppe imperiali brasiliane, da cui venne a sapere che Garibaldi era morto. Sconvolta dal dolore, convinse il comandante a concederle di cercare il suo corpo tra i caduti, ma non trovandolo riprese a nutrire delle speranze: riuscì a rubare un cavallo da campo e fuggì al galoppo nella selva, fino a riunirsi al compagno e ai suoi uomini.

Pochi mesi dopo, il 16 settembre, nasceva il primo figlio della coppia, chiamato Menotti in onore del patriota modenese. Solo dodici giorni dopo il parto Anita sfuggì a una nuova cattura. I soldati imperiali avevano infatti circondato la casa e ucciso gli uomini lasciati da Garibaldi in sua difesa, ma prima che riuscissero a prenderla Anita, con il neonato in braccio, fuggì da una finestra, montò a cavallo e scappò nel bosco. Lì rimase per quattro giorni, senza cibo e con il bambino al petto, finché Garibaldi e i suoi non la trovarono.

Monumento e tomba di Anita Garibaldi al Gianicolo: lo scultore Rutelli ritrasse la donna in fuga col figlio stretto al seno e una pistola in mano

Monumento e tomba di Anita Garibaldi al Gianicolo: lo scultore Rutelli ritrasse la donna in fuga col figlio stretto al seno e una pistola in mano

Foto: Sergio D’Afflitto, CC BY-SA 3.0, shorturl.at/mnoO9

Una famiglia in Uruguay

Nel 1841 Garibaldi, convintosi che la lotta non era più una guerra di popolo contro la tirannia, ma una guerra civile, ottenne di lasciare l’esercito repubblicano. Dopo un lungo e faticoso viaggio verso l’Uruguay, la coppia giunse a Montevideo praticamente senza mezzi. Lì Garibaldi fu costretto a insegnare in un collegio, mentre Anita arrotondava il bilancio facendo la sarta.

Fu a Montevideo che il 26 marzo 1842, due anni e mezzo dopo il primo incontro, la coppia legalizzò la propria unione sposandosi nella chiesa di San Francesco. Un certificato di matrimonio era richiesto dalla costituzione dell'Uruguay a coloro che aspiravano a cariche pubbliche, e Garibaldi era in procinto di essere nominato comandante della piccola flotta in guerra contro il dittatore argentino Juan Manuel de Rosas. Stando alle Memorie del generale, Garibaldi dovette dichiarare formalmente di avere notizia certa della morte del precedente marito di Anita, la cui sorte è tuttora ignota agli storici. Negli anni a seguire nacquero Rosita (1843), che morì a soli due anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847), cognome di un collaboratore dei fratelli Bandiera.

Nel frattempo la guerra infuriava e Montevideo fu messa sotto assedio. Anita si prodigò come infermiera di campo, partecipando anche alla battaglia di San Antonio dove Garibaldi, con soli 190 uomini, ebbe ragione di 1500 soldati.

Stando alle Memorie del generale, Garibaldi dovette dichiarare formalmente di avere notizia certa della morte del precedente marito di Anita, la cui sorte è tuttora ignota agli storici

Lo sbarco in Italia

Nel 1848 la coppia fu raggiunta dalle notizie delle prime rivoluzioni europee e Garibaldi decise di tornare in Europa, mandando avanti Anita e i bambini. Sbarcata a Genova il 27 dicembre 1848, la donna fu accolta da una folla di tremila persone e da lì si spostò a Nizza, dove venne ospitata dalla suocera.

Garibaldi la raggiunse il 21 giugno, ma partì immediatamente per partecipare alla Prima guerra d'indipendenza nel nord Italia. Quando il 9 febbraio 1849 fu proclamata la repubblica romana, il generale raggiunse la città con un corpo di volontari per difenderla dall'attacco congiunto delle truppe francesi, spagnole e borboniche.

In queste circostanze disperate Anita, incinta di quattro mesi, decise di lasciare i figli alle cure della suocera e di raggiungere il marito. Arrivò a Roma il 26 giugno, poco prima della capitolazione. Un generale garibaldino racconta che nel vedersi apparire di fronte la moglie Garibaldi l'avrebbe presentata con queste parole: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!».

Nel veder comparire la moglie a Roma Garibaldi l'avrebbe presentata ai suoi uomini dicendo: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!»

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La morte nelle paludi

Il 4 luglio 1849 la resistenza romana sul Gianicolo cedette e Garibaldi fuggì con poco meno di quattromila uomini. A inseguirlo c'erano 40mila soldati di ben tre eserciti. Nemmeno in questo frangente Anita lo abbandonò: tagliatisi i capelli e indossate vesti maschili, salì anche lei in groppa a un cavallo per dirigersi a Venezia, l'ultimo baluardo repubblicano in Italia.

La brigata dei volontari si sciolse a San Marino, ma la coppia proseguì la sua corsa. Tuttavia quando s'imbarcarono per Venezia alcune navi austriache li intercettarono, impedendogli di proseguire. Anita, Garibaldi e il fedele capitano Leggero riuscirono a sbarcare a nord del porto di Magnavacca e da lì scapparono attraverso le valli grazie alla complicità di alcuni locali che li condussero su percorsi sicuri.

Anita era però ormai preda delle febbri malariche, e tra la gravidanza e gli stenti del viaggio le sue condizioni erano gravissime. Il 4 agosto venne trasportata nella fattoria Guiccioli, in località Mandriole di Ravenna, dove poche ore dopo morì, concludendo la sua vita a soli ventotto anni in un luogo del tutto simile alla terra in cui era nata: una zona lagunare, tra sabbia, specchi d’acqua e canneti.

Il marito non poté trattenersi nemmeno per seppellirla, ma dovette riprendere immediatamente la fuga per riparare in territorio piemontese. Anita fu così sepolta nella sabbia dietro la fattoria, per evitare che le truppe papali potessero individuare la famiglia che aveva aiutato Garibaldi nella fuga.

Anita morente trasportata da Garibaldi e dal capitano G. B. Coliolo, detto Leggero. Milano, Museo del Risorgimento

Anita morente trasportata da Garibaldi e dal capitano G. B. Coliolo, detto Leggero. Milano, Museo del Risorgimento

Foto: Pietro Bouvier, Cup3Tint3. Pubblico dominio, shorturl.at/uzPZ0

Cosa resta di Anita Garibaldi

Pochi giorni dopo quella sepoltura frettolosa fu individuata e il corpo di Anita identificato. Da principio le autorità tentarono di accusare Garibaldi di averla uccisa per poter proseguire la fuga più rapidamente, ma gli stessi ispettori papali dovettero riconoscere che si trattava di una morte naturale.

Anita fu seppellita nel cimitero di Mandriole, dove rimase fino a quando, nel 1859, Garibaldi e i figli poterono tornare a riesumarla. Con aperto intento polemico il marito scelse di trasferirla a Nizza, nel cimitero di famiglia. Ma nemmeno quella sarebbe stata la tappa finale del viaggio di Anita.

Nel 1932, infatti, a seguito di una richiesta ufficiosa del Vaticano di rimuovere la statua di Garibaldi dal Gianicolo, Mussolini accettò di sostituirla con quella della moglie. Fu così che i suoi resti vennero traslati definitivamente a Roma, per essere deposti nel basamento del monumento equestre eretto in suo onore. Alla cerimonia parteciparono decine di migliaia di persone, oltre alle delegazioni di molti Paesi, tra cui Brasile e Uruguay.

Oggi ad Anita sono intitolate piazze e città e il suo ricordo è onorato a Mandriole ogni 4 d'agosto. Il 26 ottobre 1860, durante lo storico incontro di Teano con il re Vittorio Emanuele II, a cui consegnò i territori dell'Italia liberata per unirli sotto la corona piemontese, Garibaldi scelse d'indossare la sua sciarpa a strisce, per portarla con sé anche in quell'ultima tappa della liberazione d'Italia.

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Questa litografia di un autore anonimo, ritrae la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso patriottica. Collezione privata

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