Il processo di Verona in "Enciclopedia del Cinema" - Treccani - Treccani

Il processo di Verona

Enciclopedia del Cinema (2004)

Il processo di Verona

Paolo Simoni

(Italia/Francia 1962, 1963, bianco e nero, 120m); regia: Carlo Lizzani; produzione: Duilio Coletti per Duilio/Orsay; soggetto: Sergio Amidei, Luigi Somma; sceneggiatura: Ugo Pirro; fotografia: Leonida Barboni; montaggio: Franco Fraticelli; scenografia: Elio Costanzi; costumi: Giulia Mafai; musica: Mario Nascimbene.

25 luglio 1943. Il Gran Consiglio del Fascismo, con il voto del conte Galeazzo Ciano e di altri gerarchi, approva l'ordine del giorno Grandi che decreta la fine del governo Mussolini e, di fatto, la caduta del fascismo. Come conseguenze dirette della decisione e nell'evolversi del quadro bellico, si susseguono eventi cruciali: l'arresto di Mussolini, l'armistizio, l'occupazione tedesca. La situazione precipita anche per Ciano, che si rende conto della gravità del suo gesto e del clima d'odio creatosi intorno a lui. Decide quindi di fuggire in Spagna insieme alla moglie Edda Mussolini e ai figli. Nel frattempo Mussolini è liberato dai nazisti, che lo mettono a capo della Repubblica Sociale Italiana. Ciano rie-sce soltanto a fare tappa a Monaco, dove può contrattare coi tedeschi la propria definitiva uscita di scena. Al conte restano due sole armi: la posizione di Edda, cui si deve un certo riguardo, e i diari che contengono importanti rivelazioni e che potrebbe consegnare agli inglesi. I tedeschi prendono tempo e lo dirottano a Verona, dove ad accoglierlo in stazione ci sono i fascisti, ma per arrestarlo e processarlo. Oltre a lui, sono imputati con la stessa accusa di tradimento alcuni di coloro che votarono la caduta di Mussolini. La sete di vendetta dell'ala più dura esigerebbe una soluzione immediata: un gruppo di fascisti si avvicina al carcere con propositi di linciaggio, ma sono gli stessi nazisti a imporre l'ordine affinché si svolga un processo esemplare il cui verdetto pare segnato. In carcere Ciano è avvicinato più volte da Frau Beetz, una spia che cerca di recuperare i diari e, attratta da lui, sembra interessarsi alla sua salvezza. Allo stesso tempo Edda, che già aveva messo al sicuro gli scritti, cerca di trovare una via d'uscita per il marito. Non riuscendo a incontrare il padre, chiede aiuto alla madre Rachele che però la respinge. Spiata e inseguita dai tedeschi, è disposta a cedere i diari, ma non c'è più spazio per le trattative. Il processo si sta concludendo e l'esito è di condanna a morte per Ciano e tutti gli altri meno uno. Edda telefona a Mussolini e gli dichiara il suo disprezzo. Pur volendo evitare che la domanda di grazia dei condannati sia consegnata al Duce, nessuno tra i capi fascisti vuole assumersi la responsabilità di respingerla. Infine un gerarca è costretto a porre la sua firma sul documento; la richiesta è negata. I condannati sono portati al poligono di tiro dove ha luogo l'esecuzione, mentre un cineoperatore riprende la scena. È l'11 gennaio 1944, manca poco più di un anno alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, alla fine della guerra e alla morte di Mussolini.

Con Il processo di Verona appaiono per la prima volta nel cinema italiano, in qualità di protagonisti, alcuni tra i principali esponenti del regime fascista, e sono messe in scena vicende che li riguardano direttamente. I tentativi della famiglia Mussolini non riuscirono a impedire la realizzazione e la distribuzione del film, alla cui uscita la stessa Edda Ciano espresse giudizi sprezzanti; non mancarono nemmeno le reazioni di persone rappresentate e ancora viventi. Si scatenò quindi sulla stampa nazionale un dibattito durato alcuni mesi sulla liceità dell'operazione. Le dichiarazioni di Carlo Lizzani furono chiare: l'intento principale della sua opera, e di altre che avrebbe voluto portare a termine, era smascherare il mito del potere attraverso un "dramma di corte" in cui emergessero la personalità e la condotta di "personaggi che si muovono da protagonisti sulla scena della storia contemporanea".

Nel Processo di Verona il dramma spettacolare nasce e si sviluppa su una rigorosa documentazione storica. Fonti della sceneggiatura furono infatti diari, memorie private, documenti di diversa provenienza interpretati con l'ausilio di consulenti storici. Sul piano della costruzione scenica, inquadrature e scenografie vennero impostate a partire dallo studio delle fotografie d'epoca; la scelta dei luoghi delle riprese andò nella stessa direzione di fedeltà. La cronaca degli avvenimenti è completata da una didascalia iniziale e da alcune sequenze di repertorio, che fungono da contrappunto e integrazione alle parti ricostruite. Mussolini appare solo negli spezzoni di cinegiornali, a lui non è concessa rappresentazione, per meglio delineare l'ambiguità della sua condizione: ancora molto forte sul piano simbolico (si parla continuamente di lui), e allo stesso tempo assai debole sul piano dell'azione. Impossibilitato a decidere, Mussolini rimane il simulacro di un potere che va scomparendo e, ormai ridotto a fantoccio nelle mani dei tedeschi, non può che rimanere fuori campo. Nel climax finale, la telefonata di Edda al padre è un monologo: il Duce resta muto, completamente sommerso dalle parole della figlia, che lo priva definitivamente di autorità e dignità. Nel culmine del dramma, Silvana Mangano offre un'intensa interpretazione che le valse diversi premi come migliore attrice (David di Donatello 1962-63 e Nastro d'argento 1964). Il Ciano di Frank Wolff, più che stratega della situazione, risulta personaggio ingenuo e 'umanizzato' (di qui le accuse al film d'eccessiva indulgenza); gli altri gerarchi (Pavolini, Farinacci, ecc.) hanno soprattutto una funzione narrativa.

Il processo di Verona si apre con una sequenza che ricerca l'impressione di 'verità' (la concitazione dell'uscita dei gerarchi dal Gran Consiglio del Fascismo) e si chiude con la fucilazione dei condannati, anch'essa di simile taglio. In quest'ultima scena si svela l'intenzione di ricalcare le riprese originali dell'esecuzione (lo sfondo sonoro è dato dal ronzio della macchina del cineoperatore presente alla scena), e si fa chiara la funzione didattica del cinema: funzione attiva sia nel documentario di propaganda nazifascista (mostrare che cosa succede ai traditori), sia nella fiction di impegno civile (mostrare come finiscono i potenti). Lizzani, che già aveva affrontato temi legati alla Seconda guerra mondiale in altri film, tra cui Il gobbo (1960) e L'oro di Roma (1961), tornerà ad occuparsi della stessa fase storica in Mussolini ultimo atto (1974): il Duce, con il volto di Rod Steiger, sarà questa volta al centro della rappresentazione.

Interpreti e personaggi: Silvana Mangano (Edda Ciano), Frank Wolff (Galeazzo Ciano), Françoise Prévost (Frau Beetz), Vivi Gioi (Rachele Mussolini), Claudio Gora (giudice Cersosimo), Henri Serre (marchese Cosma), Salvo Randone (pubblico accusatore Fortunati), Giorgio De Lullo (Alessandro Pavolini), Andrea Checchi (Dino Grandi), Ivo Garrani (Roberto Farinacci), Filippo Scelzo (Marinelli), Umberto D'Orsi (Gottardi), Gianni Di Benedetto (Pareschi), Andrea Bosic (Cianetti), Gennaro Di Gregorio (generale De Bono).

Bibliografia

C. Lizzani, 'Il processo di Verona', dramma di corte, in "Cinema nuovo", n. 161, gennaio-febbraio 1963.

A. Ferrero, Il processo di Verona, in "Cinema nuovo", n. 162, marzo-aprile 1963.

M. Morandini, Il processo di Verona, in "Cinemasessanta", n. 34, aprile 1963.

G. Giaccio, Il processo di Verona, in "Rivista del cinematografo", n. 4, aprile 1963.

P. Baldelli, 'Il processo di Verona' e il problema dell'interpretazione cinematografica della storia contemporanea, in "Cinemasessanta", n. 35, maggio 1963.

F. Dorigo, Interpretazione della storia: 'Il processo di Verona', in "Cineforum", n. 27, settembre 1963.

P.L. Thirard, Le procès de Vérone, in "Cinéma 63", n.79, septembre-octobre 1963.

Sceneggiatura: in Il processo di Verona, a cura di A. Savignano, Bologna 1963.

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