Cocainorso è un film parecchio sfigato, soprattutto per quello che riguarda la sua distribuzione italiana e una certa imprevedibile coincidenza con un tragico fatto di cronaca, e questo unito al fatto che è un film su un grosso orso strafatto di cocaina che fa a pezzi la gente dovrebbe in teoria rendermelo molto simpatico. E in effetti sulla carta Cocainorso doveva essere il film-simpatia del 2023, una roba alla Sharknado in termini di impatto ma un filo più curata in quanto a budget, scrittura, messa in scena, regia, montaggio, insomma tutto quanto. Purtroppo, alla prova dei fatti, Cocainorso si rivela invece essere un filmetto sgonfio e in crisi di identità, o meglio che vorrebbe trovare la sua identità in una certa confusione creativa ma che finisce in realtà per inseguire un certo citazionismo cialtrone e per buttarsi via quanto il peggiore dei film della Asylum. Oltre a essere un film su un orso strafatto di cocaina che riserva all’orso meno screentime (scusate il forestierismo: “tempo a schermo”) di quello concesso al personaggio di Margot Martindale, una character actress che sta vivendo una seconda giovinezza professionale grazie a BoJack Horseman e che qui è solo uno dei mille personaggi le cui vicende si intrecciano come in una commedia nera dei Coen, senza averne però la stessa profondità antropologica né (vivaddio!) lo stesso senso dell’umorismo.

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Cocainorso è un film sfigato perché, nei piani iniziali, qui in Italia sarebbe dovuto uscire più o meno in concomitanza con la data americana (24 febbraio). Poi sono successe delle cose del cinema, e il film è stato rimandato al 20 aprile; nel frattempo, in Trentino è successo quello che sapete. E quindi ovviamente si è cominciato a discutere anche dell’opportunità di far uscire un film del genere in questo momento: è quello che si dice già dai tempi di Cappuccetto Rosso – che effettivamente almeno in Italia ha avuto una certa influenza sulla nostra percezione dei lupi – ma anche di Lo squalo di Spielberg, un film che negli anni ha partorito fenomeni come la Shark Week e ha probabilmente, dopo lo shock iniziale, contribuito a ri-formare in positivo l’immagine dello squalo nell’immaginario collettivo, e a renderlo non solo un letale predatore ma anche una bestia da proteggere a tutti i costi. Insomma non ho idea di quale possa essere l’effetto di un film come Cocainorso sulle menti di un paese che è stato messo artificialmente sotto shock e terrorizzato ad arte, né riesco a prendere una posizione definitiva su film di questo tipo che dipingono la natura come molto più selvaggia, pericolosa, feroce e aggressiva di quanto in realtà sia.

So però che di solito più la rappresentazione dell’animale feroce è distante da quella reale, più è accettabile: nessuno si lamenterebbe mai che Mega Shark vs. Giant Octopus mette i polpi in cattiva luce. L’orso di Cocainorso non è un orso normale, come suggerisce il titolo del film: pensate che ha pippato un sacco di cocaina! Sicuramente lo sapete, ma quella di Pablo Escobear è una storia vera, o quasi. Cioè: è vera la storia dei sacchi di coca caduti nel bosco e dell’orso che se li è pappati. Ma l’orso vero, poraccio, morì di crepacuore nel giro di pochi minuti. Quello del film di Elizabeth Banks, invece, vive la bamba come Braccio di Ferro vive gli spinaci, e diventa un grosso turbine di morte, violenza e fame atavica che inaugura la sua striscia di uccisioni facendo a pezzi una turista nordica che sta vagando nei boschi insieme al fidanzato, chiacchierando amabilmente in quel modo socialdemocratico che solo i nordici hanno.

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Il presupposto è quindi quello di ogni film di mostri e/o animali assassini che si rispetti: c’è una creatura feroce che non dovrebbe esistere, e c’è la comunità locale che deve difendersi. Nel caso di Cocainorso, Elizabeth Banks ha preso tremendamente sul serio la parte sulla comunità locale, al punto da dimenticarsi più volte dell’orso per concentrarsi sul nutritissimo cast e sulle loro buffe e un po’ ridicole vicende. E qui arriviamo al primo, grande, imperdonabile difetto del film, che non ha alcuna idea di cosa voglia davvero essere e quindi insegue due, tre, quattro storie contemporaneamente, facendo l’impossibile e anche l’implausibile per riuscire alla fine a incrociarle tutte nel Gran Finale, ma dimenticandosi di renderle interessanti lungo il cammino.

Il problema è questo: Cocainorso vorrebbe davvero tanto essere un film dei Coen. Ci sono i criminali pasticcioni, il detective pigro, la guardiaparco che prende troppo sul serio il suo lavoro… tutta una collezione di facce prese da quell’America un po’ scema ma sempre genuina e affascinante (proprio perché quasi aliena) che popolano la filmografia dei due fratelli. E l’impressione è che Elizabeth Banks dia per scontato che chi sta guardando il suo film abbia già visto l’intera filmografia dei Coen, e ne abbia assorbito le atmosfere e gli archetipi. Per cui più che dare vita a dei personaggi Cocainorso ci presenta dei cartonati che assomigliano ad altri personaggi già visti in altri film, e ci chiede di riempire i vuoti con la nostra conoscenza pregressa. È un film di gente che si comporta in modo strano, e tutte le volte lo fa perché “così avrebbero fatto i Coen”. Ma i Coen hanno sempre spiegato perché i loro personaggi fanno quello che fanno: qui invece lo fanno perché lo prescrive la formula.

I Coen sono anche crudeli, capaci di una cattiveria bestiale verso i loro personaggi. Anche Cocainorso lo è (in fondo parla di un orso che squarta la gente), ma lo è in maniera assolutamente gratuita, non fa mai nulla per meritarsi di poter essere così stronzo. È un film sadico, che si diverte a vedere la gente che soffre senza prima spiegarci davvero perché dovremmo trovarlo divertente invece di pensare “ma povero/a!”. Ed è ancora più assurdo quindi che una delle storyline portate avanti profumi di avventura anni Ottanta, di Stand By Me e Goonies, con una madre single e due bambini coraggiosi e un po’ scapestrati che si mettono nei guai perché vogliono esplorare il magico mondo della foresta dove vive Cocainorso. È un film che procede per scarti di tono, bruschi e spesso immotivati, che fa anche discretamente bene quello che vuole fare nelle singole scene ma non trova mai il modo di cucirle efficacemente tra loro.

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È un patchwork, un collage, un’altra parola non italiana che definisce questo Frankenstein cinematografico, un po’ commedia, un po’ splatter, pochissimo horror, ecco parliamo di quest’ultima cosa: Cocainorso è il classico film che pesca dall’horror le cose più stuzzicanti ma che guarda al resto dell’impianto con malcelata aria di superiorità. È lo stesso approccio usato da Jim Jarmusch nel suo “““film di zombie”””, quello di chi non vuole sporcarsi davvero le mani con questo cinemaccio di serie B e indossa quindi un paio di guanti belli spessi per pescare tra le sue viscere e tirare fuori solo quello che serve.

L'inghippo è che quando fai un’operazione del genere si vede: si vede che non hai alcun rispetto per quello che stai scimmiottando, e si vede che ti interessa fare altro – nel caso di Cocainorso, che ti interessa scrivere, parlare, blaterare, inscenare una sfilza di quei dialoghi circolari e un po’ nonsense che piacciono tanto al cinema americano post-Tarantino e che hanno rotto il Cocainorso, dicevo, è un film che potrebbe esistere anche senza l’orso ma tenendo solo la cocaina. Ma l’orso ce l’ha, e in qualche modo deve usarlo, e quindi lo butta lì, in sequenze che staccano clamorosamente verso il basso in termini qualitativi rispetto al resto del film, piene di scelte pigre e soprattutto ripetitive. Robaccia girata e infilata solo per riempire i novanta minuti e giustificare il fatto che il film si chiami Cocainorso, quando in realtà preferirebbe chiamarsi, boh, Cocaine Simple o qualcosa di simile.

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Io odio usare termini soggettivi e per nulla critici come “noioso”, ma Cocainorso è un film noioso. È un film parlato più che mostrato e vissuto, è un film che vorrebbe far ridere ma ricicla umorismo stantìo e sta ai suoi modelli come la cover di Creep di Vasco Rossi sta a Creep. È un film statico e ingarbugliato senza motivo, indeciso sulla propria identità, talmente approssimativo che sembra esistere solo ed esclusivamente perché l’idea di un orso strafatto di cocaina era troppo bella per sprecarla, e quindi tanto vale improvvisarci un film intorno. È una delusione, perché è un film antipatico. E da Cocainorso non me l’aspettavo.

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Stanlio Kubrick

Scrivo di cinema, in particolare quello con i mostri, le esplosioni e i calci volanti, da prima della crisi dei mutui subprime del 2008. Ho scritto anche dei libri sull'argomento insieme al resto della redazione dei 400calci. Traduco libri, organizzo eventi e parlo anche, quando me lo chiedono. Ho persino lavorato alla scrittura di un gioco di ruolo fantasy-satirico, giusto per non farmi mancare nulla.