Giovanni Toti arrestato per corruzione, chi è il governatore della Liguria - La Stampa

GENOVA. Se il perno della politica ligure viene meno, l’intero asse traballa. A nove anni dal trionfante ingresso di Toti nell’ufficio di governatore, al quarto piano della sede della Regione di piazza De Ferrari, si può tracciare un bilancio di una parabola politica e amministrativa che - al di là dell’evoluzione delle vicende giudiziarie, ancora da definire - sembra aver imboccato il viale del tramonto.

Dai tg Mediaset a Strasburgo

Erede di Emilio Fede nella diffusione del verbo berlusconiano, allevato alla scuola Mediaset con Confalonieri e Pier Silvio, Toti scende nell’agone politico dieci anni fa, quando il Cavaliere lo candida a Bruxelles alle elezioni europee del 2014. L’allora direttore di Studio Aperto e Tg4 coltiva già da tempo la passione per la politica, germogliata da ragazzino nelle fila del movimento giovanile del Partito socialista. La scalata giornalistica lo porta a diventare consigliere di Berlusconi, fino al grande passo: alle europee sbanca, portando a casa poco meno di 150 mila preferenze: è il più votato in Forza Italia nel Nord Ovest.

Giovanni Toti nel 2011, allora dirigeva il tg di Italia 1, Studio Aperto

 (ansa)

Dal Parlamento Europeo a governatore

Neanche il tempo di prendere le misure del Parlamento europeo che arriva un’altra svolta. Si vota per le regionali, anche in Liguria, terra storicamente ostica per il centrodestra, e nel risiko delle candidature tra alleati quella casella finisce a Forza Italia. Nessuno crede davvero alla vittoria, a cominciare da Berlusconi: l’unico a nutrire speranze è Salvini. In una riunione notturna ad Arcore, Toti passa – complice il generoso passo indietro del leghista Edoardo Rixi – da consigliere di Silvio ed europarlamentare a candidato per la presidenza della Liguria. «Ti fai due mesi di campagna elettorale e poi torni a Bruxelles» gli avrebbe confidato il Cavaliere. Quei due mesi diventeranno nove anni.

Giovanni Toti fotografa i consiglieri durante l'apertura della sua prima legislatura nel 2015

 (ansa)

A quei tempi la sinistra ligure si dilania nella lotta per la successione a Burlando. Il 31 maggio 2015 si vota, e Toti a sorpresa vince per le divisioni degli avversari: spaccature e insipienze dei competitori saranno una costante nell’ascesa del totismo in Liguria. Fin da subito, dalla campagna elettorale in cui pure non mancano scivoloni (l’improvvida “annessione” di Novi Ligure è l’esempio più fulgido) si intuisce uno dei suoi punti di forza: la capacità di comunicare, applicando alla politica le strategie di marketing apprese da un genio in materia come Berlusconi.

Il modello Liguria

Dal punto di vista amministrativo, Toti inizia ad applicare sistematicamente quella mistura di turbo-liberismo e terziarizzazione dell’economia che diventerà marchio di fabbrica: nel campo della sanità guarda al modello lombardo con l’apertura ai privati, la crescita illimitata diventa un mantra, la riforma della formazione professionale un fiore da mettersi all’occhiello. Dinanzi alla crisi dell’industria punta forte sul turismo, settore in cui dà sfogo a una massiccia promozione spesso lontana dalla sobrietà e dall’understatement tipico dei liguri: dal red carpet di Portofino fino al più recente mega-mortaio gonfiabile finito sul Tamigi. Per i sostenitori è la “politica del fare” che relega all’insignificanza “quelli del no”; per gli avversari è un “modello predatorio” – copyright di Andrea Orlando – che mina diritti e alimenta diseguaglianze.

Toti all'ultimo Festival di Sanremo

 (lapresse)

Nel frattempo il suo slogan degli esordi - “il vento è cambiato” – diventa una profezia che si autoavvera. Si apre un ciclo: dopo le regionali del 2015, il centrodestra vince a Savona nel 2016, poi a Genova e La Spezia nel 2017. È il “modello Liguria”: il tridente Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia affiancato da liste civiche e candidati moderati pescati fuori dall’alveo della politica. È in questa fase che Toti, pur essendo ancora in Forza Italia, ha l’intuizione politica di occupare uno spazio al centro sotto la coperta di Linus del civismo.

Edoardo Rixi, Matteo Salvini e Giovanni Toti festeggiano l'elezione di Marco Bucci a sindaco di Genova nel 2017

 (ansa)

L’apogeo, però, arriva nel biennio 2018-2020: la tragedia di ponte Morandi - e il tentativo, stoppato dai grillini al governo, di avere il ruolo da commissario per la ricostruzione – consente a Toti di mostrare la capacità di ottenere centralità nella gestione dell’emergenza. Uno schema che si ripeterà durante la pandemia, quando assommerà su di sé anche la carica di assessore alla sanità, per poi mollare la delega quando l’emergenza sarà rientrata e sul campo resteranno solo gli scomodi effetti su liste d’attesa e qualità delle cure. Nel mezzo, tenta il salto di livello nell’agone politico. Dopo aver vestito i panni del grillo parlante forzista, criticando l’involuzione degli azzurri, Toti passa dalla comoda investitura a delfino al freudiano desiderio di parricidio politico del Cavaliere nell’estate del 2019.

Berlusconi a Toti, "Ricordo a tutti che il Centro siamo noi"

Per quaranta giorni diventa, in tandem con Mara Carfagna, coordinatore nazionale di Forza Italia. Quando comprende che il margine di manovra è inesistente sbatte la porta e lascia il partito per fondare Cambiamo: in quell’estate Salvini, dopo il trionfo alle Europee, s’illude di passare all’incasso e fa cadere il governo gialloverde con i grillini. Toti si offre sul proscenio nazionale come stampella centrista per il Capitano salendo sul Carroccio di un ipotetico governo Salvini. Sbaglia però i tempi, e non sarà l’unica volta.

La conferenza stampa del presidente di Toti con i simboli delle liste per le amministrative nel 2022

 (lapresse)

“Cambiamo” sarà solo il primo di un’interminabile sfilza di partitini che inseguono la medesima ratio: creare una “gamba” centrista, moderata e civica del centrodestra, che aspiri all’eredità politica del berlusconismo: seguiranno Coraggio Italia, Italia al Centro, Noi Moderati. Ma in Liguria, con un artifizio mimetico immaginato per non indispettire troppo gli alleati, il suo movimento continua a definirsi Lista Toti. Nelle trattative e nei crinali complicati il governatore sa farsi concavo, senza però rinunciare a una vis polemica alimentata da una puntigliosa ma fluente parlantina. Sa come apparire morbido, anche se chi lo conosce lo descrive tanto pragmatico da scivolare nel cinismo.

Il sospetto di un «civismo destrutturante»

Alle regionali del 2020 stravince il confronto con Ferruccio Sansa. Per un paradosso solo apparente, è nel periodo di massima forza che però quel modello Liguria costruito negli anni inizia a mostrare crepe: il trionfo della sua lista – che ottiene il 22,6% dei consensi alle regionali – nella narrazione totiana viene traslato in egemonia all’interno della coalizione, trasformando una formazione civica nella “prima forza politica” della regione. Il peso del civismo, confermato dai successi dei sindaci a-partitici candidati dal centrodestra, provoca un’auto-esaltazione che scivola nell’hybris politica. Gli alleati dei partiti, dinanzi allo strapotere totiano, iniziano a essere più diffidenti: quando si vota il centrodestra marcia compatto, ma le incrinature ci sono. Il sospetto è che Toti coltivi un “civismo destrutturante” – come l’ha definito di recente e non a caso, un big di Fratelli d’Italia come Carlo Fidanza – che punta a svuotare i partiti. Alla gestione del potere locale Toti affianca sempre di più l’ambizione politica, con l’avvicinamento graduale a Renzi e Calenda.

Le contraddizioni esplodono lontano dalla Liguria: a Roma, nel febbraio del 2022, in occasione delle votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica. Toti partecipa come uno dei “grandi elettori” scelti dalla Regione, ma non smette la casacca del leader di partit(in)o. E mentre il centrodestra si arrovella nelle trattative, Toti gioca di sponda con Renzi e fa mancare i voti dei suoi su Elisabetta Casellati. Se in Forza Italia abbondavano già prima i nemici, Fratelli d’Italia e Lega si legheranno al dito questa mossa. Si avvicinano le elezioni politiche, e la rottura di Toti con il centrodestra sembra a un passo: l’idea di confluire nel Terzo polo con Renzi e Calenda va in archivio quando quest’ultimo firma l’intesa (poi saltata) con il Pd di Letta.

Toti al consiglio Nazionale di Noi Moderati nel 2023

 

Toti torna a Canossa, e ottiene dagli alleati tre collegi, di cui due in Liguria. Al di là del flop nazionale (0,9%) del cartello Noi Moderati, a cui prende parte con Lupi, Brugnaro e l’Udc, pesa il ridimensionamento su scala ligure: il 2,1% dei consensi dimostra che il tentativo di sovrapporre consensi prettamente amministrativi con la dimensione nazionale è un’illusione, e confina Toti alla dimensione locale. È da qui che nasce l’ultima idea: l’arrocco in Liguria, con la neanche tanto velata exit strategy del terzo mandato. L’ennesima scommessa di un giocatore d’azzardo della politica. Potrebbe essere l’ultima.

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