Giorgio La Malfa: Quando Scalfari fece dialogare Ingrao con il padre Ugo - la Repubblica

Giorgio La Malfa: Quando Scalfari fece dialogare Ingrao con il padre Ugo

L'allora presidente del Pri Ugo La Malfa e Eugenio Scalfari nel 1977 nella sede di Repubblica
L'allora presidente del Pri Ugo La Malfa e Eugenio Scalfari nel 1977 nella sede di Repubblica (agf)
L'ex segretario del partito repubblicano racconta i rapporti con il fondatore di Repubblica a partire dalle vicende del Mondo di Pannunzio di cui suo padre era stato punto di riferimento. "Nei giudizi su Craxi aveva ragione, su Berlinguer meno"
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«Eugenio Scalfari è stato un grandissimo giornalista, ossessionato dalla sua creatura al punto da sacrificarle tutto. Ma pur convinto di avere altrettanto talento politico, non sempre ha visto lontano, ha commesso errori gravi, come con Berlinguer». Giorgio La Malfa, una lunga carriera da deputato e ministro costruita nel Partito repubblicano di cui è stato anche segretario, accetta di ricordare il fondatore di Repubblica e soprattutto il turbolento decennio tra gli anni Ottanta e Novanta in cui il confronto era molto fitto, a volte ruvido.

Quando il 14 gennaio 1976 Repubblica approda nelle edicole il giovane La Malfa è già in Parlamento da quattro anni. È figlio d’arte del grande Ugo, antifascista, azionista, padre costituente e per dieci anni, dal 65 al 75, a sua volta segretario del Partito repubblicano. Un punto di riferimento riconosciuto per quel gruppo intellettuale che si muove intorno al Mondo di Pannunzio e di cui Scalfari è parte.
Onorevole La Malfa che ricordo ha di quel sodalizio?
«Si trattava di un sodalizio tra persone con idee e valori comuni ma che si scontravano ininterrottamente. I litigi tra Pannunzio e Scalfari erano leggendari tanto che poi si consumò una rottura terribile a causa, mi pare, di un articolo di Gambino sui palestinesi. Scalfari se ne andò e fondò L’Espresso. Anche il rapporto tra lui e Ugo La Malfa era così: nel 1979 la mattina in cui mio padre, in coma, fu ricoverato in ospedale, Repubblica pubblicò una sua lettera di risposta ad attacchi feroci di Scalfari sul governo di cui papà era vicepresidente».
Sta dicendo che non erano amici? Eppure Scalfari nel 2019, per i quarant’anni della morte di Ugo La Malfa, scrisse parole toccanti. Ricordava la sera del 1956 quando, nel nobile palazzo romano di via del Teatro di Pompeo, nacque il partito radicale e tutti loro, in piedi, intonarono la Marsigliese…
«Le ripeto, mio padre sarà stato anche un punto di riferimento, ma i giudizi di Scalfari passavano dalla gratitudine eterna all’attacco più spietato. Essendo totalmente dominato dalla passione della sua vita, il giornalismo al quale sacrificava tutto, era incapace di rapporti diversi».
C’è una foto in cui Scalfari è tra Ugo La Malfa e Pietro Ingrao per un dibattito a Ravenna.
«Fu un fatto epocale, una sorta di prima tribuna politica. Era il dicembre 1965, mio padre era stato eletto segretario del Pri e venne organizzato un confronto tra lui e Ingrao. Il moderatore era Scalfari. Per dire che lui ha sempre fatto parte di quel mondo, ma la sua vera famiglia era il giornale».
Eppure Scalfari considerava la politica un faro.
«Non credo che in politica avesse lo stesso sguardo lungo che aveva come giornalista. Per esempio quando nell’81 intervistò Berlinguer sulla questione morale lo incoraggiò in un errore gravissimo. Con quella intervista il segretario del Pci condannò il suo partito a una inutile opposizione e all’irrilevanza lasciando campo libero a Craxi».
Parliamo di Craxi...
«L’unica cosa sulla quale ci trovammo sempre d’accordo negli anni Ottanta era il giudizio negativo sul leader socialista. Quando nell’83 Pertini chiese a Craxi di formare il governo il partito repubblicano si spaccò. Spadolini e Visentini si schierarono a favore. Io rimasi isolato perché contrario. Sostenere un governo Craxi significava rinnegare la nostra storia. Fu allora che iniziò un periodo di sintonia assoluta con Repubblica perché eravamo sulla stessa posizione, un periodo che è durato dall’83 all’87».
Ciriaco De Mita: per Scalfari era un grande democristiano.
«E su questo aveva assolutamente ragione. In quella fase, nel 1982, quando De Mita diventò segretario della Dc, era una delle migliori personalità del partito, l’unico rispetto ad Andreotti o Forlani che poteva costruire una svolta».
Cosa le piaceva del giornalismo di Scalfari?
«Credo sia stato innovativo soprattutto nella narrazione economica che prima di Repubblica era abbastanza marginale. D’altra parte il suo libro più bello è Razza padrona scritto con Giuseppe Turani, il capitalismo italiano come nessuno lo aveva mai raccontato. Con l’economia in prima pagina era davvero capace di dettare l’agenda».