Quarantacinque anni fa un gruppo di generali golpisti, in Argentina, iniziò ad attuare la “guerra sucia”, la guerra sporca. Quell’insieme di piccole e grandi attività liberticide che vengono messe in campo da magistrati ed inquirenti, mentre media e parte della politica si incaricano di spargere veleni con l’intento di inquinare la scena e confondere l’opinione pubblica. Trenta anni fa, nel 1992, lo stesso clima si era riproposto in Italia e Bettino Craxi, riparato in Tunisia, ne faceva le spese.

Non consegnandosi, si è lasciato curare in Tunisia le conseguenze di un diabete debilitante. Ventidue anni fa, il 19 gennaio 2000, Craxi spirava ad Hammamet, dove oggi è sepolto, vittima di un attacco al cuore al culmine dell’intervento delicatissimo cui veniva sottoposto. Abbiamo chiesto al figlio Vittorio, per tutti Bobo, di non lesinare i dettagli di quel giallo irrisolto. Perché nelle pieghe del “caso C.” si nasconde una delle chiavi centrali per capire le derive e gli approdi della politica del ventennio successivo, quello di questa seconda repubblica, giunta, con ogni probabilità, al capolinea.

Per raccontare la morte di Bettino Craxi bisogna partire dalla fine della prima Repubblica. Fu golpe bianco?
Tecnicamente fu un Colpo di Stato ma io la chiamo “Guerra sporca”: ogni metodo fu buono per spazzare via il vecchio regime democratico. Assoldarono contractors per le perquisizioni e le intimidazioni, lettere e telefonate anonime. Tentarono persino omicidi. In Tunisia io mi sono salvato due volte da due incidenti stradali che provocarono degli infiltrati dentro casa. Fu arrestato e rilasciato un uomo che sotto copertura di servizi internazionali aveva il compito di far fuori mio padre Bettino.

A chi pensate? A una unica regìa o a una concorrenza di soggetti e di interessi che lo avevano messo nel mirino?
La fine della logica di Yalta rese possibile un cambio ai vertici politici e gli interessi perché ciò accadesse furono molteplici ed anche di segno opposto: una tempesta perfetta.

Perfino per mandare in onda Hammamet la Rai sembra aver esitato. Quel film può aiutare a far emergere un’altro approccio alla vicenda di Bettino Craxi?
Il Film ha avuto il merito di rendere questa vicenda, romanzandola, un fatto storico popolare. La presenza di un grande attore come Favino ha alimentato l’interesse culturale. Le giovani generazioni si sono approcciate con curiosità alla vicenda storico-politica senza pregiudizi. Il film, che non aveva una tesi preconcetta e non ha saputo descrivere sino in fondo e con veridicità quella pagina, tuttavia ha avuto il merito di riaprire una questione. L’arte ha questo grande merito di aprire le menti, di suscitare emozioni. Che sono assai diverse dalle passioni e dagli schematismi della politica. Dopodiché la censura della Rai dimostrò che sulla figura di Craxi, anche sul grande schermo, vige un ostracismo da parte di chi collaboró alla guerra sporca del ’92.

E il paese oggi ha capito qualcosa di più di quello che è successo?
No. Capito no. Ragionato di più sì. Almeno nel giudizio su quella che viene chiamata la prima Repubblica e i suoi uomini, questo sì. Di quello che accade fra il ‘92 e il ‘93 no. Io la dico così: Mani Pulite fu una guerra sucia. Una guerra sporca. Di cui adesso affiorano gli elementi probatori. Il metodo del pool, del fascicolo unico. Con il giudice terzo che era sostanzialmente un cagnolino al loro guinzaglio.

Del Gip di allora, Italo Ghitti, ci siamo occupati sul Riformista…
Ghitti fu addirittura promosso al Consiglio Superiore della Magistratura, come premio. Sottoscriveva arresti e confermava centinaia e centinaia di arresti, altro che giudice terzo.

Perché Mani Pulite avviene proprio nel ’92? Data ad allora l’inizio di quella che chiama Guerra sporca?
Il 1992 era un momento di cesura tra due epoche, fine della guerra fredda, inizio della
globalizzazione. E quelle che furono le implicazioni internazionali e le complicità interne sono emerse soltanto parzialmente. Dovremo attendere degli anni, temo decenni, perché vengano confermati i sospetti che oggi sono presenti. E cioè quanto le grandi potenze straniere spalleggiarono quel colpo di Stato in guanti bianchi. E quanta manovalanza esterna ai poteri dello Stato contribuì a generare quel clima. Quel clima politico, l’intreccio mediatico-giudiziario non denunciato è emerso successivamente. Allora la guerra sporca generò un totale asservimento di poteri dello Stato e grandi pezzi dell’informazione che portarono alla demonizzazione, quindi all’inquisizione dei leader di quella stagione. Premendo perché il sistema dei partiti esistenti, già debilitati per propria mano, arrivasse al collasso, al suicidio e comunque alla sparizione.

Bettino Craxi fu un capro espiatorio, o finì per esserlo l’intero Psi?
La sparizione del Psi è il frutto di una dottrina. I colpi di Stato hanno bisogno di cancellare le tracce del regime precedente. Avendo cura di disperdere, disorientare o distrarre l’opinione pubblica: prima denigrare l’avversario, rendendolo il più odioso possibile. Nella prima fase. Poi quando l’opinione pubblica è più malleabile, colpirlo. Anche al povero Salvador Allende è accaduto così.

Il suicidio di Bursi, ventiduesima vittima di Mani Pulite, segnala un passato che non passa…
Bisogna però ragionare con serenità. Come sa, l’animo con cui abbiamo affrontato questi trent’anni è sempre stato un animo sereno. Accade a tutti coloro che subiscono un grande rovescio della vita: preferiscono non parlarne, lo mettono in un angolo della vita per non trovarsi a parlarne in modo perenne. E così è stato: sono alla soglia dell’età che aveva mio padre quando morì. Il ventennale della morte è stato occupato dall’arrivo nelle sale di “Hammamet” E si è finiti a parlare più di Favino che di Bettino. Meglio che niente.

Ha la sensazione che Bettino Craxi possa continuare a parlare, a dirci qualcosa?
Mio padre Bettino nasce politicamente con la temperie del dopoguerra, prima frontista e poi autonomista nenniano; costruttore del nuovo centrosinistra, uomo di Stato. Grande modernizzatore. Finisce la sua parabola politica su una posizione che potrei definire socialista democratica purissima. Il suo eurocriticismo lo posizionava in un aspetto critico di fronte a quello che stava avanzando. E quando muoveva queste critiche alle rigidità dei vincoli, quando denunciava gli squilibri che quei vincoli avrebbero determinato, non solo non veniva ascoltato, perché su di lui c’era una censura, ma quella critica veniva considerata influenzata dallo stato particolare dato dall’esilio politico.
Oggi a distanza di trent’anni, quel vaticinio rischiara le menti di tanti giovani, che hanno improvvisamente riscoperto Craxi. E ne colgono qua e là alcuni aspetti della sua vicenda politica, non approfondendo tutta la parabola, magari, ma fotografando degli aspetti importanti di un uomo che aveva la capacità analitica di leggere i processi e di anticiparli. La parabola del martirio, infine, ne disegna un’epica. La morte di un politico è una ricorrenza meramente burocratica. Non lo è mai nel suo caso, perché suscita sempre una certa passione.

L’idea di traslare il corpo in Italia non fa breccia.
Lui ha chiesto di rimanere ad Hammamet. Torno solo da uomo libero diceva. Ma poi c’è dell’altro: non si deve cambiare il destino. Quella storia è finita così. È finita male.

Entriamo nella vicenda, che a un certo punto il pubblico può confondere con la narrazione filmica, le illusioni di memoria, i rumors riportati. Bettino Craxi ha mai avuto intenzione di tornare in Italia per farsi curare?
Mai. Non ha mai avuto intenzione di tornare in un Paese che aveva servito e che lo voleva arrestare. Quel che è vero è che non si fece quel che era possibile fare.

Scrisse a Giovanni Paolo II, mancò un intervento del Papa?
Diciamo che la Chiesa, in generale, mantenne un atteggiamento molto distaccato. La Cei, che è sempre stata abbastanza interventista nelle vicende dello Stato, ha tutelato i suoi interessi e non si è messa a fare obiezioni sullo stato di detenzione incivile, sugli arresti indebiti e sui suicidi indotti da Mani Pulite. Ma Craxi non immaginò mai che un atto di clemenza, la Grazia – concessa dal Capo dello Stato – avesse potuto in qualche modo essere sospinta dalla Santa Sede.

Si sarebbe potuto in qualche modo intervenire per permettergli di curarsi altrove, con una esfiltrazione di cui non far sapere niente a nessuno?
Ci sarebbero voluti un coraggio e una determinazione che non esistevano. La maggioranza di governo nel 2000 aveva semmai un qualche istinto di vendetta. Per gli ex comunisti la fine politica di Craxi, e ancor più la morte, deve essere sembrata una vendetta per la morte di Enrico Berlinguer.
So bene di scene di gioia canagliesche.

Il Presidente della Repubblica era Ciampi, nel gennaio 2000. Com’era il rapporto Ciampi-Craxi?
Ottimo. Di stima, di sintonia. Durante i governi Craxi, Ciampi era governatore della Banca d’Italia. Negli anni Ottanta in una delle sue ultime Relazioni da governatore, sottolineò i successi dal punto di vista economico del governo guidato da mio padre. Ed era un governatore rigoroso, un tecnico che non faceva sconti. Sottolineò come il debito stesse rientrando, come fosse stato abbattuto il mostro dell’inflazione.

La Grazia avrebbe dovuto essere firmata da Ciampi. Avete la sensazione che la sua mano fu fermata?
No, anche perché nessuno, in quei giorni, formalizzò la domanda. Eravamo alla ricerca di una soluzione che consentisse di chiedere e ottenere. Ma il tempo che ci fu concesso, con il precipitare della situazione clinica, non fu sufficiente. Tuttavia, Ciampi mandò un messaggio benaugurale, il giorno dell’operazione.

Un gesto irrituale.
Fu tutto abbastanza irrituale. Per la prima volta un Presidente della Repubblica mandò un messaggio di pronta guarigione ad un latitante. Un corto circuito, in qualche modo, che la dice lunga. Poi però ebbe modo di stoppare coloro che chiedevano pubblicamente la Grazia.

C’era la possibilità di andare a operare Bettino Craxi a Parigi, a Londra?
Dal punto di vista strettamente tecnico, le cure assicurate furono quelle giuste. L’équipe medica che asportò il tumore al rene di mio padre era composta tutta da medici italiani, arrivati apposta. La sala operatoria dell’ospedale militare non era un ospedale da campo, ma era appena sufficiente. Non doveva cambiare Stato, ma cambiare status.

Insisto: non venne presa in considerazione l’ipotesi di portarlo fuori dalla Tunisia?
In alcun modo. Anche perché su di lui pendeva un mandato di cattura internazionale. Lo avrebbero arrestato quale che fosse stato l’aeroporto di arrivo.

Anche in Francia?
Anche in Francia. Però è vero che prima di decidere per l’esilio tunisino, provò a chiedere una mano a François Mitterand per capire se avrebbe potuto trovare riparo a Parigi.

Mitterand la negò?
Diciamo che all’inizio acconsentí. Successivamente non se ne fece nulla. Anche perché i socialisti francesi stavano subendo a loro volta un’aggressione giudiziaria. il socialista Pierre Bèregovoy il 1° maggio 1993, ex primo ministro, colpito da indagini giudiziarie si suicidó. Vennero meno le condizioni politiche.

La sera prima, il 30 aprile, Craxi aveva ricevuto quella pioggia di monetine uscendo dal Raphael che segnò, iconicamente, l’inizio dell’era populista.
Ne rimase colpito, ma poi se ne fece una ragione perché dopo le monetine sarebbero arrivate le pallottole. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Sceglierà la Tunisia, il suo primo amore. La casa di Hammamet comprata da giovane, con i primi risparmi…
Quella era “casa” dove riparò per cercare di vivere sereno gli ultimi anni della sua vita. Mi chiese di seguirlo. Cosa che feci.

Leggo memoriali Sismi che gli attribuiscono di aver “inventato” Ben Alì, il presidente che lo ha poi protetto. Vi risulta?
No. Aveva un rapporto eccellente con Bourghiba, di cui Ben Alì è stato primo ministro. La successione è avvenuta in modo naturale, internamente allo stesso gruppo che governava la Tunisia, e non è certo frutto di pressioni di mio padre.

Giuliano Amato non lo andò a trovare, e per la verità non si fece vedere neanche poi, al funerale.
Non gliene voglio. Ha preso una strada sua, si è messo in una posizione di “neutralità” che non ha nulla a che vedere con i sentimenti reali che so bene nutriva verso mio padre.

Sentimenti espressi in qualche modo, in quegli anni difficili?
Non manifestamente. Ma quando Gennaro Acquaviva venne, immagino per suo conto, ad Hammamet, recandogli i saluti di Giuliano (Amato, ndr) che stava per diventare capo del governo, questo lo rasserenò in parte. Nonostante qualche volta si lasciava andare a giudizi non benevoli. Verso i non combattenti Bettino aveva un moto di indulgenza, mai un moto di stizza. Perché certo non erano loro i promotori della guerra sporca.

Non la contrastarono, però. Provarono a offrire il suo corpo per salvarsi.
In qualche modo la agevolarono, con il loro comportamento. O non contribuirono a frenarla. Però era un’onda talmente violenta che spaventò tanti e probabilmente dietro alla guerra sporca c’era anche il disegno di protezione che veniva ritagliato per qualcuno. C’era chi doveva essere risparmiato. I sommersi e i salvati.

Ci fa un esempio?
Se al posto di Forlani ci fosse stato De Mita, la Dc sarebbe stata in buona parte risparmiata e comunque Ciriaco, come Moro, aveva una grande concezione della sacralità della Politica.

Suo padre lo avversò, nell’ormai storica mancata ‘staffetta’.
Sul piano politico erano competitivi, ma c’era stima e c’è stato un dialogo franco fino alla metà degli anni Novanta.

Oggi si guarda al Quirinale. Fu Craxi a ottenere nel 1978 il primo ed unico PdR socialista, Sandro Pertini. Come andò?
Pertini non era la sua prima scelta, ma Pertini rifiutò di farsi impallinare in Parlamento. La vera candidatura di mio padre era Giuliano Vassalli. Giurista, già capo partigiano, più giovane di Pertini. I comunisti rifiutarono Vassalli, che era stato molto critico con loro nei giorni del sequestro Moro. Si ritornò su Pertini, che aveva già rinunciato. E se Craxi sospinse Pertini al Quirinale, fu Pertini a sospingere Craxi a Palazzo Chigi.

Stiamo sul Quirinale, a cui oggi punterebbe Berlusconi. Che ruolo giocò il Cavaliere negli anni della Guerra sporca?
Mise il suo sistema informativo al fianco di Mani Pulite, tentando una doppia linea: da un lato assecondava il mainstream e dall’altro cercava di esprimere solidarietà al potere decadente che stava soccombendo. Poi organizzò la sua forza politica che riuscì a catturare, per eterogenesi dei fini, due tendenze diverse: il rinnovamento e il recupero dei valori che erano stati del Pentapartito.
Ad Hammamet purtroppo arrivó per pregare sulla tomba.

Con D’Alema lei ha un buon rapporto personale. Ma come si comportò in quel gennaio 2000, da presidente del Consiglio?
Cooperarono con la Guerra sporca, lui e Occhetto. Una volta garantito che il Pci-Pds-Ds non venisse toccato più di tanto si misero sul ciglio del fiume per attendere di veder passare i cadaveri dei nemici, contandone in effetti più d’uno. Si facevano forti per gli addentellati che avevano nelle Procure e nei giornali. Nel gennaio 2000 D’Alema era capo del governo da poco e scontava l’inesperienza. Non si poteva contare su di lui per quella operazione di esfiltrazione o per una tutela del governo su un ex capo del governo. La politica uscente da Tangentopoli era debole, sotto scacco. Non c’erano le condizioni per buttarsi nel fuoco. So che la cosa, a distanza di anni, lo ha sempre addolorato.

Vi era sembrato sotto ricatto lo stesso Pds dell’epoca? Avrebbe perfino voluto agire, forse, ma non glielo hanno consentito?
La magistratura aveva assicurato loro l’impunità, difficilmente andavano a mettersi contro ai magistrati. Ne furono oggettivamente i beneficiari della caduta del vecchio regime democratico.

I magistrati si comportarono, verso Bettino Craxi, peggio che con tutti gli altri. Armati per ‘dare la caccia al cinghialone.
Chi si comportò in modo disumano fu soprattutto Borrelli. E d’altra parte i conti con questo signore li ha regolati la natura. All’inizio avevano pensato di essere loro i destinatari dell’operazione Guerra sporca, pensavano che avrebbero avuto le chiavi d’accesso alle stanze del potere. Poi però, come tutte le compagnie di ventura, finita la missione, si è sciolta. Tutti gli ‘eroi’ di Mani Pulite hanno ricevuto dei premi, per poi scomparire uno a uno. Qualcuno ha perfino avuto modo di pentirsi.

Che eredità lascia Bettino Craxi?
Ha fatto la storia, con le sue limpide battaglie. Ha generato un pensiero originale. Ha rappresentato una fase di grande rilancio dell’Italia nel Mondo, ha difeso cause giuste come deve fare un Socialista. Oggi vedo tanti giovani che si incuriosiscono, prendono a studiare la sua figura, cercano di capire non facendosi sopraffare dai luoghi comuni.
È una vicenda che rinnova ogni anno la sua attualità nonostante per noi sia sempre un ricordo che ci obbliga a fare i conti con il dolore.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.