Dilli Dark, di Dibakar Das Roy

Nato come satira contemporanea sul razzismo e sulla demonizzazione degli stranieri in India, un film molto interessante nelle premesse dal Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina 33

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Il lungometraggio d’esordio di Babacar Das Roy, regista autodidatta indiano arrivato dal mondo della pubblicità, non finisce mai di aggiungere carne al fuoco. Nato come satira contemporanea sul razzismo e sulla demonizzazione degli stranieri in India, Dilli Dark, presentato in concorso al 33esimo FESCAAAL, è un film che si prende molto più sul serio di quanto si possa pensare.

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Protagonista dell’odissea rapsodica tra le geometrie concentriche di New Delhi, è il giovane Michael, un ragazzo nigeriano che vive in India da sei anni. Non ha ancora il passaporto indiano ma studia economia all’università. Vorrebbe conseguire il master, trovare al più presto un posto fisso che gli permetta di prendersi il visto lavorativo ma soprattutto di abbandonare lo spaccio, unica sua vera fonte di reddito.

Black Odisseo, Micheal è alla costante ricerca di una legittimazione sociale e lavorativa. Di giorno cerca di ottenerla all’interno dell’ambiente universitario dove, però, viene costantemente discriminato. Di notte, la ottiene spacciando sotto il falso nome “Kevin”. Due identità speculari, Michael e Kevin, con la seconda che concretizza gli stereotipi razzisti che gli vengono lanciati durante il giorno.

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La frammentazione identitaria del povero Micheal ha il suo corrispettivo strutturale all’interno dell’intreccio narrativo adottato dal regista indiano. Si salta di palo in frasca ad ogni cambio di scena. Le disavventure del protagonista all’interno dell’inferno concentrico di New Delhi assumono la connotazione di un trip allucinato in cui diventa facilissimo perdere completamente l’orientamento. La densa coltre di smog che avvolge la città ci impedisce di comprendere davvero il senso ultimo di un’operazione che mischia tanto, forse troppo. In perenne equilibrio tra commedia nera e black empowerment, diventa difficile non farsi scivolare via un film molto intrigante nelle premesse ma che non riesce a coinvolgere fino in fondo. Probabilmente i momenti più riusciti sono proprio i più seri e riflessivi, legati alla storia culturale di una città con un alto numero di immigrati provenienti dall’Africa che formano il substrato sociale di Delhi, l’essenza di una città multiculturale, piena di contraddizioni e meravigliosamente nera nell’anima. “We are all dark, but we are all from Delhi”

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