PALATINO in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

PALATINO

Enciclopedia Italiana (1935)

PALATINO (Palatium)

Giuseppe Lugli

È il colle sacro di Roma, su cui Romolo tracciò il solco primigenio, e sul quale fondò la nuova città, recingendola con muro e fossato, a guisa delle più antiche città italiche, e delimitandone l'area con una linea di carattere sacro, detta pomerio (v.). Tra i sette colli della città, il Palatino è quello che ancora oggi presenta una configurazione meglio difesa dalla natura e più isolata, col Tevere a poca distanza, che fa da confine, e le depressioni del Velabro e del Foro che lo dividono dal Campidoglio e dall'Esquilino. Al Tevere, il Palatino dovette tutta la sua importanza, perché i primi abitatori, i Prisci Latini, si stabilirono lassù per difendere e controllare il passaggio del più importante corso d'acqua del Lazio, passaggio che avveniva all'Isola Tiberina, naturale testa di ponte fra gli Etruschi, che occupavano la riva destra, e i Latini e i Sabini che occupavano la riva sinistra.

L'etimologia del nome è incerta: i più pensano a riconnetterlo con altre parole simili di significato pastorale, come Pales, Palatua, Palilia. In ogni caso Palatium non deriva da Pallantium e non ha che fare con Pallante, come supponevano gli antichi, volendo ricollegare il nome alla mitica venuta di Evandro e di Pallante nel Lazio.

La primitiva città ebbe forma quadrata, o per meglio dire di un trapezio, ma a causa della configurazione assai accidentata del terreno non ebbe il cardine e il decumano rettilinei e incrociati nel centro; così pure non ebbe le porte disposte regolarmente verso la metà dei suoi lati, ma nei luoghi dove il pendio lo permetteva: esse furono tre: la porta Mugonia, sulla Velia, verso il punto dove sorse poi l'arco di Tito, la porta Romanula verso il Tevere, e le Scalae Caci verso la valle Murcia.

Nell'età più antica tutto il colle si divideva in tre alture, più piccole e separate da vallette abbastanza profonde: il Palatium propriamente detto, dove è oggi la domus Augustana, il Germalus, dov'è la casa detta di Livia, e la Velia, dove sorge la chiesetta di S. Sebastiano. Le tre alture riunite formavano la città, che fu detta, per la sua configurazione, Roma Quadrata, consacrata in una delle rituali primavere italiche, col sacrificio delle primizie nella fossa sacra detta mundus. L'identificazione di questa fossa con un pozzo coperto a thólos rinvenuto da G. Boni sotto il peristilio del palazzo dei Flavî è molto dubbia, e più probabile è che si tratti di un silo per grano, come se ne riscontrano anche sull'acropoli di Ardea e in altre località dell'Etruria e del Lazio.

Delle mura rimangono avanzi notevoli nell'angolo che guarda il Velabro; essi dimostrano due periodi di costruzione: uno più antico, del sec. VI a. C., a piccoli blocchi di tufo granulare, e uno più recente in tufo di Fidene, databile alla metà del sec. IV, insieme con la cinta generale della città, che passa sotto il nome di Serviana. Pochi sono sul colle i resti di quell'età remota: la famosa cisterna a thólos presso la casa detta di Livia, col vicino pozzo per l'estrazione dell'acqua; un'altra cisterna a cielo aperto, racchiusa in un basamento più tardo, che servì forse per un piccolo tempio; alcune tombe con sarcofagi di pietra presso il Velabro; un'ara scolpita in caratteri ancora arcaici, e dedicata a divinità ignota, nel luogo ove era il Lupercale: l'ara fu posta da C. Sestio Calvino nel 129 a. C. invece di altra più amica, distrutta o deperita. Il Lupercale era un antro, alle falde del Palatino che guardano la chiesa di S. Anastasia, dentro il quale scaturiva una sorgente di acqua, e che traeva il nome dal Fauno Luperco (v. lupercali), il cui culto aveva qui il suo centro. Due templi principali sorgevano sul Palatino prima di Augusto: il più antico, dedicato a Giove Vincitore, o Propugnatore, nel 295 a. C. dal console Q. Fabio Massimo Rulliano, dopo la vittoria di Sentino sui Sanniti, e il più recente alla Magna Mater, Cibele, eretto subito dopo il 204 a. C. e restaurato una prima volta da Metello verso il 110 a. C. e una seconda volta da Augusto nel 3 a. C., come egli ricorda nel suo testamento.

Quest'ultimo è il solo che si può identificare con sicurezza, perché nello scavo compiuto sulla fine del secolo XIX vi fu trovata vicino l'immagine marmorea della divinità, seduta e fiancheggiata da due leoni, insieme con un cippo dedicato alla dea. È quel basamento che resta a sud-ovest dei Giardini Farnesiani, oggi sormontato da un pittoresco boschetto di elci.

Augusto, stabilita la sua abituale dimora sul colle, fondò presso di essa due nuovi templi, uno dedicato ad Apollo, il più grande e il più ricco di tutti, e un altro a Vesta, piccolo santuario che va considerato come uno sdoppiamento di quello del Foro, sdoppiamento determinato dalla necessità in cui egli era, in qualità di pontefice massimo, di alloggiare vicino alla dea tutelare della città.

Ambedue i templi sono perduti, a meno che non si voglia riconoscere il primo in quel grande basamento che è ad occidente del palazzo dei Flavî, attribuito comunemente a Giove Vincitore: questa ipotesi è molto probabile, perché il tempio è fondato sopra avanzi di case romane della fine della repubblica, e quindi non può risalire all'età molto antica a cui la tradizione riferisce il tempio di Giove. La difficoltà, nata dall'assenza intorno al tempio di tracce del grande portico delle Danaidi che lo contornava, si può risolvere pensando ai gravi danni subiti dal colle durante l'incendio neroniano, e quindi alla nuova sistemazione delle fabbriche imperiali, dettata prima da Nerone e poi definitivamente da Domiziano.

Del tempio di Apollo e dei suoi annessi abbiamo la vivace e fedele descrizione in Properzio nella 31ª elegia del libro secondo. Le immagini delle tre divinità adorate nel tempio sono riprodotte sulla nota base del Museo di Sorrento (v. fig. apollo, III, p. 675), ed erano opera di tre eminenti scultori greci: l'Apollo di Scopa, la Latona di Cefisodoto il Giovane, e la Diana di Timoteo (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 25, 24, 32)

Sul Palatino sorgeva inoltre un tempio dedicato alla Vittoria, eretto nel 292 a. C. presso un altare più antico; in seguito ai restauri di Caligola, prese il nome di tempio della Victoria Germaniciana; esso era forse nel lato che guarda il Foro, a fianco del palazzo di quell'imperatore e presso il clivus Victoriae, che dal Velabro saliva al Palatium.

Per la sua posizione centrale e salubre, e nello stesso tempo appartata dai rumori della città, il Palatino fu prescelto fino dai remoti tempi della repubblica per abitazione dai ricchi patrizî, e poi dagli imperatori.

Gli scavi eseguiti da G. Boni agl'inizî del secolo XX hanno condotto alla scoperta di notevoli avanzi di case dell'età fra Silla e Cesare, decorate con pitture pregevoli dell'inizio del secondo stile pompeiano. È però arbitrario parlare di casa di Catilina e d'altri personaggi dell'epoca; è solo opportuno ricordare che queste case si trovano nella valle fra il Germalus e il Palatium, valle che fu riempita da Nerone con lo scarico delle rovine dell'incendio e che appunto per questo i loro resti si conservarono sotto i nuovi palazzi imperiali.

Sotto la basilica e sotto il triclinio del palazzo dei Flavî si sono scoperti inoltre avanzi della domus transitoria di Nerone, che si estendeva dal Celio al Palatino, e che fu distrutta anch'essa nell'incendio del 64 d. C. Particolarmente notevole è una stanza con pitture di soggetto mitologico, già situata a fianco di un piccolo cortile, ornato da un ninfeo.

La prima abitazione imperiale sul Palatino fu quella di Augusto; egli nacque, o almeno fu educato, nella vecchia casa paterna, che sorgeva sul colle stesso ad capita bubula, località che si pone presso l'arco di Tito. Eletto imperatore, egli acquistò una nuova casa dall'oratore Ortensio, e la trasformò a sua regolare dimora mediante l'aggiunta di un portico detto tecnophion o Syracusae. I moderni topografi non sono d'accordo sull'identificazione della dimora palatina del fondatore dell'impero.

I più ritengono che la domus Augustana o Augustiana, costruita da Domiziano verso l'81-85 d. C., occupi il sito stesso della vecchia casa d'Augusto, rifatta dall'imperatore Flavio conservando il nome originale; ma ciò è poco probabile perché un passo di Svetonio (Aug., 72 seg.) lascia intravedere che la primitiva abitazione imperiale era visibile e venerata al tempo dello scrittore (prima metà del sec. II d. C.). In tal caso essa si deve ricercare fra una di quelle che ancora esistono, e l'unica che convenga, per la tecnica della costruzione e per la sua posizione centrale, è quella detta già di Livia o di Germanico, fra il palazzo dei Flavî e il tempio di Cibele. È una piccola casa, adorna con pitture eleganti, che si compone di un atrio con un triclinio a destra e un tablino nel fondo, diviso in tre sale: in quella centrale è dipinto il noto quadro di Io, custodita da Argo e rapita da Mercurio per volere di Giove. Tutte le pitture seguono il secondo stile pompeiano, sebbene con particolari proprî dell'arte di Roma; nella parte posteriore si svolgono le stanze di abitazione; verso ponente e in loco edito atque singulari, come dice Svetonio nel passo citato, era un piccolo peristilio con altre stanze intorno, e probabilmente un secondo ingresso laterale. Dai rilievi e dai testi sappiamo che la fronte principale del palazzo di Augusto si apriva sull'Area Palatina e aveva sul davanti un piccolo portico fiancheggiato da due lauri: sulla porta era infissa la corona civica.

Intorno a questo primo nucleo, che per venerazione verso il fondatore dell'impero fu sempre conservato intatto, anche attraverso le grandi trasformazioni subite dal colle nelle età posteriori, sorsero a mano a mano gli altri palazzi imperiali: primo quello di Tiberio, che si suole riconoscere nel grande fabbricato sotto i Giardini Farnesiani, il primo palazzo veramente degno del signore del mondo, costruito su grande pianta rettangolare che occupava quasi tutta la lunghezza del lato nord-ovest del colle, fra il clivus Victoriae e il Velabro; purtroppo assai poco conosciamo di questo edifizio, di cui due interi piani giacciono sepolti sotto i giardini suddetti e per la cui escavazione sarebbe necessario abbattere i numerosi alberi d'alto fusto che ammantano la vetta del colle.

Nella domus Tiberiana si conservava una pregevole biblioteca, ricordata più volte dalle fonti, mentre nel centro esisteva un grande peristilio, noto per gli scavi eseguiti alla metà del secolo XVIII. A nord del palazzo suddetto, fra il clivus Victoriae e il Foro, era il palazzo di Caligola, che scendeva fino a toccare il tempio dei Dioscuri, trasformato da quell'imperatore in vestibolo della sua casa. Di Claudio non abbiamo alcuna notizia. Nerone cominciò alcuni fabbricati per la decorazione della sua domus transitoria, ma poté goderli per poco tempo, poiché sopravvenne l'incendio tristamente celebre, del luglio del 64.

Sprigionatosi alle pendici fra il Palatino e il Celio e spinto dal vento di ponente, il fuoco avviluppò a tenaglia il primo dei due colli e distrusse quanto si trovava sui fianchi e sui bordi, lasciando intatti soltanto i pochi monumenti della parte più interna. Nerone ne approfittò subito per colmare le asperità del colle e soprattutto la valle fra il Palatium e il Germalus, gettando quivi le fondamenta di nuovi edifici colossali, che rimasero però sospesi per la sua morte.

Toccò a Domiziano l'onore di dare un nuovo piano regolatore a tutto il Palatino. Egli, o per meglio dire il suo architetto Rabirio, progettò la costruzione di un nuovo grandioso palazzo che, salvo alcune aggiunte verso il Circo Massimo, non fu più toccato in tutti i secoli seguenti. Esso si compose di quattro edifici distinti, e nello stesso tempo collegati fra di loro: il grande palazzo ufficiale, detto anche domus Flavia, perché cominciato da Vespasiano, che conteneva le sale di ricevimento, la sala del trono, la basilica per le sedute del consistorium imperiale, il vasto triclinio e il tablinum; la domus Augustana, o palazzo privato dell'Augustus (v. nella pianta: Palazzo di Augusto), il vero palazzo d'abitazione della famiglia imperiale, che è stato completamente scavato a cura del direttore degli scavi Alfonso Bartoli, e in cui si è trovato un peristilio ornato da fontane e con un tempietto nel mezzo; lo stadio o ippodromo per le gare ginniche e per i passeggi della corte; e infine le terme nell'angolo che guarda il Celio, per le quali furono necessarie opere di rinforzo e di ampliamento del colle a mezzo di potenti arcate sostruttive. Queste ultime furono riprese oltre un secolo dopo da Settimio Severo, aumentando ancora il piano artificiale verso il Circo Massimo e costruendo sulla fronte un ampio palco per godere dall'alto degli spettacoli del circo.

A Settimio Severo si deve anche la costruzione del famoso Septizonium, specie di grande facciata monumentale dei palazzi imperiali verso sud, eretta appunto dinnanzi alla Via Appia perché, secondo riferisce il biografo dell'imperatore, i viaggiatori che venivano dall'Oriente avessero subito la sensazione, entrando in città per la porta Capena, della magnificenza dell'Urbe e in particolare di quella della dimora dell'imperatore. Alcuni disegni del Rinascimento lo mostrano come un edificio a più piani, con portici o loggiati in ogni piano, ornati con colonne di marmi preziosi, con cornici e cassettoni tutti di marmo, in modo da risultare un'opera imponente e di grande fasto. Fu demolito da Sisto V per restaurare varî monumenti romani.

Come un annesso del palazzo imperiale si può considerare il fabbricato a mezza costa del colle verso il Circo Massimo, denominato comunemente Pedagogio; è opinione prevalente che servisse di abitazione e di scuola ai servi imperiali. Vi furono rinvenuti molti graffiti, fra cui famoso quello interpretato dai più come caricatura del Crocifisso, oggi nel Museo delle Terme (v. asino, IV, pagina 951). L'edificio è dell'età di Domiziano, ma subì più tardi dei restauri.

Poche sono le memorie che abbiamo del Palatino nel Basso Impero e nel Medioevo. Un'iscrizione degl'imperatori Valente, Valentiniano e Graziano, copiata nell'Itinerario di Einsiedeln (v. itinerarî, XX, p. 4) in foro Palatini (area palatina), parla di restauri eseguiti da quei principi alle fabbriche imperiali.

Sappiamo che i re barbari che tennero Roma nei secoli V e VI, e specialmente Odoacre e Teodorico, fissarono la loro dimora nella sede degli antichi imperatori, e così pure Narsete; Eraclio nel 629 vi fu ricevuto solennemente dal Senato, ivi radunato nella sala del trono.

La più antica memoria cristiana che conosciamo sul Palatino è la chiesa di S. Cesario, sostituita intenzionalmente al larario dei palazzi imperiali, con carattere di cappella palatina; essa fu fondata fra il 375 e il 379 d. C. In certo modo si può dire che essa fu più tardi sostituita dalla chiesa della Anastasis, divenuta poi S. Anastasia, antichissima chiesa che ripeteva quelle di ugual nome di Gerusalemme e di Costantinopoli.

Uno speciale funzionario, col titolo di curopalata, doveva provvedere alla custodia e alla conservazione degli edifici imperiali; di tal titolo fu insignito Platone padre del papa Giovanni VII.

Nel sec. IX fu costruito presso S. Cesario un monastero greco, che assurse a grande importanza, specialmente nel sec. XII, allorquando vi fu eletto papa Eugenio III nel 1145. Troviamo quindi ambedue questi edifici racchiusi nelle fortificazioni dei Frangipane, che occuparono tutta la Velia e gran parte del Palatium, stabilendo una torre di difesa presso l'arco di Tito, detta turris chartularia perché prossima al chartulanum, archivio militare degl'imperatori bizantini, passato poi in mano dei pontefici, che vi posero l'archivio ecclesiastico.

Da quell'epoca vi è una lacuna nella storia del Palatino fino al sec. XVI, in cui il colle viene di nuovo ricordato nei testi del Rinascimento col nome di Palazzo Maggiore; nel 1550 circa, il cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, comprava tutto il Germalo e vi fondava sopra i magnifici giardini, che ancora oggi formano la delizia del colle, costruendovi il casino occupato attualmente dalla Direzione degli scavi. Contemporaneamente il centro del colle passava in potere dei Paolostati e la parte meridionale in quello dei Ronconi, mentre dappertutto si accentuava la spietata spoliazione di materiali per i nuovi edifici della città.

Per tutto il sec. XVI, e più ancora nel XVII, il Palatino fu oggetto di scavi irregolari, specialmente per opera dei Farnese, che devastarono le vecchie fabbriche sconvolte, e ne affrettarono la rovina. Soltanto nel secolo seguente furono iniziati i primi scavi sistematici sotto la direzione del Bianchini, proseguiti poi dall'abate francese Rancoureuil e, sui primi dell'Ottocento, dal napoleonico prefetto de Tournon. Nel 1860 Napoleone III comprò dal re di Napoli i Giardini Farnesiani e ne affidò lo scavo al valente architetto Pietro Rosa, il quale vi compì notevoli lavori, gettando la terra di rifiuto sul fianco compreso fra S. Teodoro e Santa Anastasia, che rimase perciò considerevolmente alterato. Nel 1870 i giardini passarono al governo italiano, costituendo così il primo nucleo della proprietà demaniale del Palatino, al quale furono aggiunti poco dopo i terreni dei conventi di S. Bonaventura e della Visitazione (villa Mills). Quindi a mano a mano vennero espropriate la vigna Nusiner, presso il clivo della Vittoria, la vigna Butirroni, la vigna del Collegio Inglese, la vigna dei Fatebenefratelli, e infine la vigna Barberini, completando così la demanialità di tutto il vetusto colle.

V. tavv. CLXI-CLXIV.

Bibl.: C. L. Visconti e R. Lanciani, Guida del Palatino, Roma 1873; E. G. Haugwitz, Der Palatin. Seine Geschichte und seine Ruinen, Roma 1901; H. Marucchi, Le Forum Romain et le Palatin, d'après les dernières découvertes, 2ª ed. Roma-Parigi 1925; Ch. Hülsen, Forum und Palatin, Monaco-Vienna-Berlino 1905, con app. 1910; id., Topogr. der Stadt Rom, I, iii, Berlino 1907; G. Pinza, Studi di architettura e di topografia romana. L'angolo sud-ovest del Palatino, in Annali della Società degli Ingegneri, XXII (1907), p. 27 segg.; id., Il tempio di Apollo Palatino, in Bull. arch. com., 1910; O. L. Richmond, The Temples of divus Augustus and Apollo Palatinus upon Roman Coins, Cambridge, 1913; id., The August. Palatinum, in Journal of Roman Studies, 1914, p. 193 segg.; V. Groh, La storia primitiva del Germalus, in Athenaeum, VII (1929), fasc. 3°; A. Bartoli, Scavi del Palatino (Domus Augustana), in Notizie scavi, 1929, p. 3 segg.; G. Lugli, Il Palatino, Roma 1931 (estratto da I monumenti antichi di Roma e suburbio, I).

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