Dall'Interregno a Ludovico il Bavaro - Italia Medievale

Dall’Interregno a Ludovico il Bavaro

Sigillo di Ludovico il Bavaro
Sigillo di Ludovico il Bavaro

di Ornella Mariani.

Rodolfo d’Asburgo:

Il lungo vuoto di potere iniziato con la morte di Federico II nel 1250 e concluso con l’elezione di Rodolfo d’Asburgo nel 1273, fu definito Grande Interregno. Nel suo perdurare, l’Impero traversò una lunga fase di instabilità nel corso della quale si avvicendarono diversi Re senza che alcuno di essi riuscisse a cingere la corona imperiale. Infine, l’esigenza di restaurare l’autorità centrale indusse alla valutazione di due candidati: Riccardo di Cornovaglia, figlio cadetto di Giovanni Senza Terra e fratello di Enrico III d’Inghilterra, eletto Rex Romanorum con il sostegno della Renania e dell’Episcopato di Colonia ma costretto a rinunciare per la forte opposizione del Grande Elettorato tedesco ed Alfonso di Castiglia il Saggio, persuaso dal Papa a recedere dall’incarico: per indebolire la potenza di Carlo d’Angiò in Italia, Gregorio X guidò la nomina di Rodolfo d’Asburgo.

Era il 24 ottobre del 1273 quando egli indossò la tiara di Re dei Romani contro le proteste di Ottokar II di Boemia, di Filippo III di Francia e del Landgravio di Turingia Federico II l’Audace. Rodolfo si impegnò a sedare le guerre private in corso; a rispettare i diritti della Chiesa; ad allestire una nuova crociata che non fu mai realizzata.

Tenuto a battesimo da Federico II e figlio del Conte Alberto IV e di Edwige di Kiburg; Conte di Kyburg, d’Asburgo e di Löwenstein; Rex Romanorum; Landgravio di Thurgau di Svevia, egli era nato a Limburg il 1° maggio del 1218. In prime e prolifiche nozze aveva sposato Gertrude di Hohenberg dalla quale aveva avuto Alberto I; Hartmann; Guta, consorte di Venceslao II di Boemia; Rodolfo II; Clementia; Matilde, moglie di Ludovico il Severo di Baviera; Heilwig, sposa del Margravio di Brandeburgo Ottone IV; Agnese, maritata al Duca Alberto II di Sassonia; Caterina, impalmata da Ottone III Re d’Ungheria. Aveva poi contratto secondo matrimonio con Elisabetta di Borgogna ma, privo di prole, aveva aggiunto alla sua legittima discendenza il figlio naturale Albrecht von Schenkenberg.

Il più ostinato nemico di Rodolfo fu il potente Re di Boemia Ottokar II cui fu chiesto di prestare omaggio e di restituire i territori di cui si era appropriato. A fronte del rifiuto, nella Dieta di Augusta del 24 giugno del 1275, gli furono revocati feudi ed uffici e, nell’ottobre del 1276, col concorso del Re d’Ungheria, si pose sotto assedio Vienna: Ottokar si arrese e sottoscrisse la rinuncia ad ulteriori pretese su Svizzera e Austria. La tregua ebbe breve durata: nel giugno del 1278, le ostilità furono stroncate con la battaglia di Dürnkrut, nel corso della quale l’irriducibile Sovrano fu ucciso.

Rodolfo potette allora darsi alla restaurazione della giurisdizione in ampie zone dell’Impero e al rafforzamento del potere sovrano suscitando tale attaccamento nei sudditi da essere immortalato da Dante che lo citò nel VII canto del Purgatorio: il 9 agosto del 1281, annullò tutte le donazioni o cessioni di beni e diritti stipulati a far data dalla morte di Federico II e riorganizzò l’amministrazione del patrimonio imperiale; nel 1282, con il previo consenso degli Elettori, investì i figli Alberto e Rodolfo dei feudi d’Austria, Stiria, Carniola e Windische Mark elevandoli al rango di Principi Imperiali, ma il tentativo di assicurare ad Alberto il trono di Re fallì perché Rodolfo II non fu mai incoronato Imperatore.

Il Sovrano si spense il 15 luglio del 1291 a Spira. In danno di Albrecht I, unico erede ancora in vita, per evitare il consolidamento della potenza asburgica i Principi Elettori gli preferirono Adolfo I di Nassau accettando l’improbabile tesi della ingiustizia della successione padre/figlio propugnata dall’Arcivescovo di Colonia Siegfried von Westerburg.

Alberto I d’Asburgo

Nato nel luglio del 1255 e morto nel maggio del 1308, elevato dal padre Rodolfo I alla dignità di Duca d’Austria, fu Re di Germania e dei Romani dal 1298 al 1308.

La sua politica di emarginazione dell’Aristocrazia locale a vantaggio della Nobiltà sveva provocò rivolte in Stiria ed a Vienna ove nel 1296 fu concesso un nuovo statuto.

Dopo la morte di Rodolfo, nel 1291, gli Elettori rifiutarono di riconoscere i suoi diritti di discendenza ed elessero Re di Germania Adolfo di Nassau; ma col sostegno di una coalizione, Alberto riuscì a deporlo ed a succedergli nel 1298.

In virtù dei rapporti matrimoniali con la Francia, il Sovrano sottoscrisse un accordo con Filippo IV ed energicamente difese i diritti doganali dell’Impero dalle pretese degli Arcivescovi elettori e del Conte del Palatinato. Bonifacio VIII, però, solo nel 1303 gli accordò il riconoscimento in cambio di concessioni riduttive dell’autorità, soprattutto in Italia. Morto Venceslao III, Alberto insediò sul trono boemo il figlio Rodolfo vagheggiando un piano di unità territoriale europea; ma la Nobiltà locale insorse e decise di deporlo: ogni contrapposizione fu archiviata dal prematiro decesso del giovane cui successe Enrico di Carinzia e Tirolo.

Durante il governo asburgico, migliorò la vita della Servitù della Gleba, degli Ebrei e dei Mercanti pur conducendo una politica repressiva. Nel corso della campagna di guerra contro la Turingia, Alberto fu assassinato dal nipote Giovanni di Svevia cui aveva usurpato l’eredità.

Gli subentrò Enrico VII di Lussemburgo in esito alla cui morte improvvisa, la Germania scivolò in un clima di anarchia determinato dalla scelta di un nuovo Imperatore e concluso da una sorta di scisma: Federico d’Austria o Giovanni di Boemia?

Adolfo I di Nassau

Nato verso il 1250 e morto a Göllheim il 2 luglio del 1298; figlio del Conte Walram II e di Adele von Katzenelnbogen; marito di Imagina von Isenburg-Limburg, che gli dette otto figli; fratello di Diether Vescovo di Treviri, Adolfo fu eletto Re dei Romani attorno ai quarant’anni in virtù solo del supporto dei Primati di Treviri e Colonia e sulla base di un compromesso: avrebbe assunto linee politiche dettate dagli Elettori e concesso loro ampi benefici. Non a caso, prima dell’investitura, l’Arcivescovo di Colonia pretese il rilascio di un documento di conferma di una lunga lista di proprietà; venticinquemila marchi d’argento; il sostegno militare in caso di necessità; l’interdizione ai suoi nemici personali di entrare nel Consiglio imperiale.

Analoghe assicurazioni furono fornite anche agli altri Votanti, ma chi trasse maggior profitto fu il Re di Boemia Venceslao II al quale Adolfo promise la revoca dei Ducati d’Austria e Stiria di Alberto d’Asburgo.

L’incoronazione del 5 maggio del 1292, fu solennizzata ad Aquisgrana il 24 giugno: in sprezzo delle intese convenute, però, Adolfo si alleò con gli avversari dei suoi Elettori tenendo continue Diete ed utilizzando spregiudicatamente il Diritto feudale.

Nel 1294, il suo potere era all’apogeo. Tuttavia, alleatosi con Edoardo I d’Inghilterra contro la Francia in cambio di sessantamila sterline, decise di intervenire nella Turingia acquistando il Langraviato di Alberto il Degenerato. Profittando del conflitto di costui col figlio Federico l’Audace ed agendo con l’autorità di Sovrano, con i finanziamenti inglesi e con un’azione giuridicamente inoppugnabile, persuase un vassallo a cedergli i diritti sul feudo recuperandolo all’Impero assieme alla Marca di Meißen. L’atto si pose conflittuale con gli interessi dei quattro Principi Elettori: il Primate magontino eccepì che parte della Turingia non era feudo imperiale ma pertinenza del Principato ecclesiastico di Colonia; la Boemia si oppose al consolidamento della potenza imperiale al suo confine settentrionale, anche in considerazione della promessa del Margraviato di Meißen a Venceslao; gli altri tentarono di avvantaggiarsi del caos suscitato dall’evento. Inizialmente con diplomazia Adolfo ottenne la convalida del suo operato, riuscendo ad imporlo sia l’Arcivescovo di Magonza che al Duca di Sassonia. In seguito, a margine di due sanguinose campagne militari, nell’estate del 1296, proclamò di avere agito a vantaggio esclusivo del patrimonio imperiale.

La ragione del conflitto mosse proprio dalla politica attuata in Turingia; sicchè il giorno di Pentecoste del 1297 l’Elettore del Brandeburgo, il Duca sassone ed il Sovrano di Boemia si coalizzarono facendo vacillare la sicurezza di Adolfo: nel febbraio del 1298, cessato il conflitto per i Ducati d’Austria e di Stiria, Venceslao II e Alberto d’Asburgo si accordarono in previsione della deposizione di Adolfo e dell’eventuale designazione di Alberto. Forse si erano discussi i preliminari dell’iniziativa già durante l’incoronazione di Venceslao a Sovrano di Boemia nel giugno del 1297. Di fatto, nel successivo gennaio Alberto d’Asburgo fu invitato dall’Arcivescovo di Magonza a trovare un compromesso con Adolfo in un tribunale imperiale.

La vicenda non si risolse ma vi furono, anzi, duri scontri nell’alta valle del Reno e nel maggio del 1298 fu Adolfo ad essere citato in un tribunale imperiale per comporre il conflitto.

Il Re, quale parte in causa non poteva essere giudice: non si raggiunse, pertanto, alcun esito fino al 23 giugno quando si incontrarono il Primate di Magonza, con delega del Re di Boemia; il Duca di Sassonia e tre Margravi del Brandeburgo per aprire un procedimento contro il Sovrano.

Accusato di violazione del Landfrieden in Turingia e del mancato onore ai patti con gli Elettori, Adolfo fu dichiarato indegno della sua carica e spogliato della dignità reale. Tuttavia, Adolfo, finché non anche scomunicato, restava Re per volontà di Dio e destituendolo, i Principi avevano infranto il giuramento di fedeltà. Per prevenire l’eccezione, essi sostennero che dal diritto di eleggere il Sovrano discendeva anche quello di deporlo e si affrettarono a designare Alberto I, inizialmente restìo ad accettare la corona.

Il conflitto tra Adolfo e gli avversari alla fine si risolse in campo: il 2 luglio del 1298, nella battaglia di Göllheim, nel Palatinato, Adolfo morì.

Enrico di Lussemburgo

Verso la metà del X secolo, il Conte Siegfried delle Ardenne acquistò in Lotaringia, dall’abate di San Massimino di Treviri, il castello di Lussemburgo nel quale insiediò quell’importante casato comitale di cui fu esponente l’Imperatore Enrico VII, figlio del Conte Enrico VI e di Beatrice d’Avesnes, nato verso il 1274. Il 9 luglio del 1292 a Tervuren, egli sposò Margherita di Brabante dalla quale ebbe i figli Giovanni I, andato a nozze con Elisabetta sorella di Venceslao III così assicurando all’Impero la Boemia e la Moravia; Maria, coniugata a Carlo IV di Francia e Beatrice maritata a Carlo I d’Ungheria.

Morto Alberto d’Asburgo, il 6 gennaio del 1309 egli fu incoronato ad Aquisgrana dal fratello Baldovino Vescovo di Treviri, senza l’approvazione di Clemente V e contro la feroce opposizione del Re di Francia Filippo il Bello aspirante a quel trono per il germano Carlo di Valois.

Animato da solidi principi di pace e di giustizia, fin dal suo insediamento Enrico pensò di riordinare la situazione sociale e civile di Germania ed Italia ove, dopo essersi riconciliato con gli Asburgo a Spira e dopo avere assicurato al Papa l’impegno ad una nuova crociata, scese il 1° ottobre del 1310.

In quel periodo, la mentalità vigente fondava sull’unicità della fede; sull’obbedienza alla Chiesa e sulla sua superiorità sull’Impero come imprescindibile prerogativa della respublica christiana. Dopo la restaurazione imperiale voluta da Leone III a vantaggio della potenza franca, la tiara aveva cinto il capo dei Re di Germania: dal 962, l’Impero aveva assunto una sua specificità universale e superiore a tutti i Regni d’Europa; era diventato un istituto cristiano di riferimento della Chiesa; era stato sacralizzato dalla incoronazione papale, così implicando la responsabile assunzione del dovere alla lotta all’eresia ed al rispetto dei benefici ecclesiali; si era posto come prosecuzione dell’antico organismo consentendo all’Imperatore di trasformarsi da Rex Francorum ad Imperator Romanorum; aveva assunto una connotazione teutonica, saldandosi al Regno di Germania. In sostanza, l’elezione del Re di quella Nazione aveva smesso di essere un evento di politica nazionale e si era tradotta in un avvenimento basilare della vita sociale e politica del Papato: quel Sovrano, consacrato ad Aquisgrana dal Primate di Magonza, quale portatore della dignità imperiale doveva essere solennemente investito anche a Roma.

Non a caso Federico I aveva voluto le proprie costituzioni nel Corpus iuris giustinianeo; non a caso, in premessa al Liber Augustalis del 1231, Federico II aveva accentrato in sé potere legislativo ed esecutivo. In definitiva, l’Imperatore del S.R.I. era guida temporale ove il Papa era capo spirituale, discendendone che la dignità dell’eleggibile dovesse essere sottoposta all’ approbatione del Primate romano, dotato anche del diritto di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà ove egli avesse assunto comportamenti difformi dalle esigenze ecclesiali. Tanto, finché, verso la metà del XIII secolo, Innocenzo IV aveva affermato la prerogativa peculiare al Papa di disporre di iurisdictio et potestas de iure, licet non de facto su tutti, ovvero il diritto a detenere una Sovranità superiore de jure, ove pure non esercitata de facto: l’opinabile principio aveva reso possibile la deposizione di Federico II, nel 1245 a Lione.

Il medesimo concetto aveva ispirato la condotta di Bonifacio VIII il quale, con la Bolla Unam sanctam del 18 novembre del 1302, aveva affermato che ogni potere: spirituale quanto temporale, avesse la sua origine in Dio e da Dio fosse stato conferito alla Chiesa, sotto forma delle due spade: ai Re assegnando l’esercizio del potere temporale; ai Papi confermando il diritto di vagliarlo.

Quella stessa pretesa di dominio universale era vagheggiata anche da Enrico VII di Lussemburgo: nel giugno del 1312, comunicando d’essere stato incoronato ai Sovrani ed al Corpo Episcopale d’Occidente, egli aveva evidenziato che similmente all’obbedienza di tutte le schiere celesti ad uno solo Dio, tutti gli uomini dovessero essere sottoposti ad un unico Re cosicché il movimento del mondo, che procede da un solo Dio, suo creatore, ed è guidato da un solo sovrano, faccia crescere la propria pace ed unità.

Quella comune e conflittuale aspirazione alla plenitudo potestatis era stata condizionata da eventi nuovi: tra il ‘200 ed il ‘300, mentre Inghilterra, Francia e Spagna celebravano il passaggio dalla frammentazione feudale a sempre più stabili forme statali amministrate da monarchie dinastiche, in Germania e in Italia centro/settentrionale l’Imperatore era incapace di svolgere la stessa funzione aggregante. Se l’Italia annaspava nei sanguinosi conflitti guelfo/ ghibellini, la Germania restava frazionata in Länder indipendenti dalla Corona i cui Grandi Elettori, quando incapaci di convergere su un candidato, risultavano indeboliti da tensioni e rivalità. Il che, a margine della morte di Federico II, nel 1250, aveva prodotto il Grande Interregno a tutto svilimento della funzione e dell’autorità imperiale. Le nuove elezioni si svolsero solo quando Gregorio X riuscì a convogliarle nella direzione unitario/cristiana funzionale ad una crociata premiando, a suo avviso, un personaggio gestibile e modesto come Rodolfo d’Asburgo. In tal modo, se da una parte l’Impero aveva recuperato stabilità, dall’altra aveva inasprito l’antagonismo di Ottokar di Boemia ignaro che la disfatta subìta a Marchfeld nel 1278 avviasse la potenza asburgica: nel 1298, infatti, Alberto d’Asburgo cinse la corona tedesca e, con la sua politica repressiva, avrebbe accorpato al suo dominio anche la Boemia se non fosse stato assassinato. L’eventò destò gli appetiti di Filippo il Bello il cui tentativo di assegnare lo scranno imperiale al fratello Carlo fu condizionato dagli Elettori e da Clemente V: per arginare l’espansionismo capetingio, il Papa orientò la sua scelta su Enrico VII la cui intenzione di essere incoronato in Italia coincise con le aspre tensioni locali e con l’interesse della Chiesa all’autonomia. Pertanto, per mantenere la propria supremazia, gli raccomandò di non mutare le condizioni politiche lombarde; designò Rettore della Romagna Roberto d’Angiò; rinviò l’incoronazione; gli impose di mantenere integro lo Stato della Chiesa e di contrastare l’eresia. Tuttavia, al suo arrivo in Italia nel gennaio 1311, Enrico assunse il ruolo di referente ghibellino: giunto a Milano ed accolto con grandi onori, il 6 gennaio del 1311 vi cinse la tiara di Re dei Romani e nominò suo Vicario il cognato Amedeo V di Savoia. A fine d’anno, però, fu travolto da lotte di fazione malgrado avesse acceso grandi speranze di rinnovamento annoverando tra i suoi sostenitori anche Dante, che in lui individuò l’ideale del Sovrano universale la cui autorità derivando da Dio era indipendente dal Papa: ostilità e diffidenza erano esplose per le posizioni antiguelfe implicite nella cacciata di Guido della Torre e nella nomina di Matteo Visconti alla podesteria milanese. Della ribellione si fece portavoce Firenze entrata in sodalizio con Bologna, Modena, Lucca e Siena, e poi con anche Pavia, Brescia e Cremona.

Il 6 marzo del 1312, proseguendo il suo viaggio nella penisola, Enrico entrò armato in Pisa ed il 7 maggio entrò in una Roma occupata dalle truppe di Roberto di Napoli e di suo fratello Giovanni mentre il Papa filoangioino riparava in san Pietro.

Non vi furono scontri: nella basilica di san Giovanni in Laterano, il 29 giugno del 1312, si archiviò ogni memoria del Grande Interregno, senza che quei contrasti Papato/Impero che lo avevano determinato si ripianassero. Alleatosi con Venezia e con il Sovrano di Sicilia Federico d’Aragona, il 26 aprile del 1313 l’Imperatore aprì un procedimento giuridico contro Roberto d’Angiò e lo concluse dichiarandolo decaduto da tutti i feudi, diritti e possedimenti; bandendolo dall’Impero e condannandolo a morte, prima di accingersi ad invaderne il Regno di Napoli, in sprezzo della scomunica lanciata da Clemente V con la Bolla Inter cetera del 12 giugno 1313.

La morte, però, stroncò Enrico il 24 agosto di quell’anno a Buonconvento, forse avvelenato con un’ostia durante il rito della Comunione. Il Papa colse l’occasione per elaborare, tra l’autunno e la primavera successiva, la Bolla Pastoralis cura: vi confermò la superiorità della Chiesa sull’Impero e la dipendenza feudale di Roberto d’Angiò; vi annullò ogni provvedimento emanato contro di lui; vi assunse la reggenza del trono rendendo l’Angioino Vicario imperiale in Italia.

Maturava, intanto, l’inasprimento del contrasto fra Papato e Società Civile sul nodo della interpretazione del voto di povertà. Ne furono alfieri i Fraticelli: una frangia dell’Ordine francescano. Memori di un Bonifacio VIII vestito delle insegne imperiali; con sulla tiara due strisce ad indicare i due poteri; preceduto da due spade tenute da araldi che gridavano Io sono Cesare, io sono l’Imperatore, essi sostennero le ragioni dei Colonna in Italia e quelle di Ludovico il Bavaro nell’Impero.

Federico il Bello

Nato a Vienna verso il 1289 e morto a Gutenstein nel 1330, fra il 1314 ed il 1330, fu antiImperatore del S.R.I. . Era figlio di Albrecht I e di Elisabetta di Carinzia e, alla morte del fratello maggiore Rodolfo, era cresciuto assieme al cugino Ludovico il Bavaro. La loro solida amicizia si incrinò per la tutela sui Duchi dell’Alta Baviera: la gelosia armò Ludovico che sconfisse Federico a Gammelsdorf il 9 novembre del 1313 e lo costringendolo alla rinuncia dei diritti sulla regione.

Mancato Enrico VII, il naturale erede sarebbe stato Giovanni, Re di Boemia dal 1311 quale genero di Veceslao II; ma nella complessa e controversa successione imperiale egli sostenne la causa di Ludovico di Wittelsbach, Duca dell’Alta Baviera, contro Federico d’Austria.

Entrambi si candidarono al trono imperiale e, sotto la regìa del Primate di Magonza Peter von Aspelt, nel voto pronunciato nell’ottobre del 1314, l’uno riscosse quattro preferenze contro le tre accreditate all’altro e conseguite grazie alle pressioni esercitate dal fratello Leopoldo: si determinò, così, una duplice e scismatica investitura poiché il 25 novembre del 1314 l’uno fu incoronato ad Aquisgrana; l’altro a Bonn.

I rivali ricorsero al nuovo Pontefice Giovanni XXII che, per contenere la potenza angioina in Italia e per opporre l’Impero all’espansionismo francese, dichiarò vacante il trono ed avocò a sé l’amministrazione imperiale.

Ludovico respinse con fermezza quella decisione e si insediò.

Dopo anni di guerra civile, con un autentico regolamento di conti risolse la querelle col cugino a Muhldorf ove, il 28 settembre del 1322, lo batté; lo arrestò e lo tenne prigioniero per tre lunghi anni nel castello di Trausniz, nell’Alto Palatinato, rendendogli la libertà solo in seguito all’abdicazione del Re di Boemia ed alla scomunica il 13 marzo del 1325: il detenuto accettò di rispettare l’autorità del Sovrano e da quel momento i rapporti tornarono allo stato iniziale. Quella loro intesa, tuttavia, non fu approvata dai Principi Elettori e dal Papa e si procedette al trattato di Ulm del 7 gennaio del 1326: Ludovico sarebbe stato incoronato Imperatore mentre Federico sarebbe stato designato Rex Romanorum. Tuttavia, poco dopo, morto Leopoldo, egli decise di rinunciare all’impegno politico anche per le forti limitazioni subìte sul governo dell’ Austria. Ritiratosi a vita privata, si spense il 13 gennaio 1330 nel castello di Gutenstein privo di eredi poiché anche i figli avuti dalla moglie Elisabetta d’Aragona, morirono precocemente.

Giovanni di Lussemburgo, Re di Boemia

Figlio di Enrico VII; nato nel 1296 e sposato nel 1310 a Elisabetta figlia di Venceslao II di Boemia, nel 1311 fu incoronato Re a Praga.

Morto il padre, nel 1313, sostenne Ludovico il Bavaro contro Federico d’Austria e nel 1327 sottrasse la Slesia ai Polacchi contro essi armando i Cavalieri dell’Ordine Teutonico finché, nel 1335, Casimiro Re di Polonia rinunciò completamente alla regione.

Nel 1330 Giovanni venne in Italia, quale Vicario di Ludovico: prese Parma, Pavia e Modena; appoggiò Lucca contro Firenze e riscosse tali prestigio e potenza da allarmare lo stesso Imperatore che si coalizzò con Giovanni XXII e Roberto d’Angiò perché accettase di passare le Alpi e lasciare la penisola. Tuttavia, nei lustri successivi, egli riuscì a seminare discordia fra Ludovico e il Papa sotto la cui influenza gli Elettori al Concilio di Rense del 1346 elessero Re dei Romani suo figlio Carlo di Lussemburgo contro la volontà imperiale.

Malgrado abile e coraggioso, in Boemia Giovanni visse gravi problemi di politica interna dovendo difendersi dall’Aristocrazia contrastante il suo assolutismo; tentò, inoltre, di annettere il Tirolo ma riuscì solo ad ottenere il controllo della Moravia.

Nel 1337, partecipando ad una campagna in Lituania ove intendeva sostenere i Cavalieri Teutonici, diventò cieco. L’infermità non gli impedì di allearsi con Filippo VI di Francia contro gli Inglesi e di partecipare eroicamente alla battaglia di Crécy ove cadde, dopo aver combattuto sorretto ai lati da due cavalieri contro Edoardo di Woodstock detto il Principe Nero, il 26 agosto del 1346.

Ludovico di Baviera

Nato verso la fine del 1281 a Monaco e spentosi per le conseguenze di una caduta da cavallo a Fürstenfeldbruck l’11 ottobre del 1347, Ludovico discendeva dalla antica famiglia dei Wittelsbach: era figlio del Duca dell’Alta Baviera Ludovico II il Severo e di Matilde d’Asburgo. Trascorsa l’adolescenza a Vienna presso la Corte asburgica, nel 1308 sposò Beatrice di Svevia e, vedovo, nel 1324 a Colonia passò a nuove nozze con Margherita d’Olanda, Contessa di Hennegau, ampliando il potere della casata.

Nel XIV secolo, mentre Francia ed Inghilterra si dibattevano in quell’acceso nazionalismo premessa al processo unitario interno, nella Germania del Sud imperava una tendenza a consolidare politiche dinastiche a carattere locale; in quella del Nord fiorì l’Hansa; in quella dell’ Est si ampliò l’espansionismo dell’Ordine Teutonico.

Morto Enrico VII, nel 1314, dopo una lunga guerra civile, Ludovico di Baviera occupò il trono del S.R.I. mentre il Papa, dichiarandolo vacante, avocava a sé l’amministrazione imperiale. Verso il 1322, però, la situazione mutò: quando egli ascese al soglio imperiale, il Papato in cattività, si dibatteva in quel disagio finanziario causato dalla mancanza di redditi che indusse la Curia avignonese ad imporre nuove tasse. Le insistenti richieste di offerte e decime avevano rivangato le vecchie diffidenze e le accuse di simonia e mondanità, accendendo nelle Monarchie europee il sospetto che, dietro la condotta episcopale apertamente francofila e vassallatica, il danaro convogliato ad Avignone fosse una sorta di tributo alla Corona di Francia.

Di fatto, la dilagante e corrotta avidità spianò la via a quel diffuso laicismo umanistico che espose la Chiesa ad un fronte di lotta politico/religiosa contro presunti fenomeni di eresia e contro l’Impero.

Il problema era sorto dopo la morte di Francesco d’Assisi, quando la rigida disciplina della Regola si era attenuata rendendo sempre più urgente il ritorno al pauperismo evangelico, in particolare negli intransigenti Fraticelli che denunciarono l’immoralità interna allo stesso Ordine francescano. Clemente V non riuscì a contenerne la pesante onda d’urto ed il successore, il francese Giovanni XXII, venale; ambizioso; collerico e prepotente, intuiti i pericoli insiti nelle proteste dei Minoriti, li bollò come eretici emanando arresti; irrogando roghi e determinando in essi la necessità di allearsi all’Imperatore, in quella che fu una stagione difficile per tutta l’Europa: nella primavera del 1323 l’Imperatore inviò a Milano un contingente a supporto dei ghibellini Visconti, liberando la città dall’assedio del Cardinale Bertrando del Poggetto.

Il Papa non perse tempo: con la Bolla Attendentes dell’8 ottobre 1323, accusò Ludovico di usurpazione di titolo e di indebita ingerenza politica, invitandolo a giustificarsi ad Avignone entro tre mesi, lo minacciò di scomunica per il sostegno fornito a dichiarati nemici della Chiesa. Con la bolla Cum inter nonnullos del 12 novembre del 1323, poi, imputandogli la protezione fornita agli eretici frati, gli intimò di comparire avanti al suo tribunale ed archiviò la polemica dei Fraticelli circa la povertà del Cristo e degli Apostoli sostenendo che affermarne la povertà equivaleva ad una perversione delle Scritture.

Ludovico scelse lo scontro a viso aperto.

Il 18 dicembre del 1323 a Norimberga, manifestata la sua fede devota, contestò al Primate l’arbitrarietà del diritto a giudicare il Re dei Romani legittimamente eletto da una maggioranza nella sede istituzionale di Aquisgrana e, nel 1324 a Francoforte, a fronte dell’asserita vacanza imperiale, confermò la legittimità della sua elezione.

La scomunica arrivò puntuale con la Bolla Urget nos caritas del 23 marzo del 1324. Ad essa fece seguito l’appello di Sachsenhausen del 22 maggio successivo: incriminato il Papa per attentato all’Impero; per istigazione di discordie fra cristiani; per aperta eresia anche quale confutatore della povertà del Cristo e degli Apostoli, L’imperatore chiese la convocazione di un Concilio che eleggesse un nuovo Primate. L’iniziativa fu sostenuta dall’Ordine Teutonico; dai Fraticelli che si divisero in due fazioni: l’una, disposta a rimettersi alle decisioni del Papa; l’altra, decisa a parteggiare per la causa imperiale; da Marsilio da Padova che, proprio in quegli anni, aveva scritto il trattato Defensor pacis entrando in rotta di collisione col pensiero religioso del tempo; precorrendo la Riforma con la censura della asserita supremazia del Papato; negandogli il primato spirituale della Chiesa; indicando nel Popolo, di cui il Sovrano era espressione, la titolarità di ogni potere; teorizzando la subordinazione episcopale alla istituzione politica. Com’era prevedibile, il testo fu stigmatizzato dalla Curia, impensierita anche dalle condizioni della politica italiana: a capo del partito ghibellino, s’era posto il Signore di Milano Matteo Visconti, nominato già da Enrico VII Vicario. A quella designazione, i Guelfi opposero il Re di Napoli Roberto d’Angiò cui, dopo avere scomunicato il Visconti, il Papa conferì lo stesso titolo dichiarando la legittimità la nomina. La lotta di Giovanni XXII, del quale un cronista coevo scrisse il sangue che il papa ha sparso avrebbe reso rosse anche le acque del Lago di Costanza, e con i corpi di coloro che ha squartato avrebbe potuto costruire un ponte da una sponda all’altra, alla nobile famiglia lombarda era stata condotta dall’energico Cardinale Bertrando del Poggetto; ma la morte di Matteo e l’avvento del figlio Galeazzo avevano portato a quella tregua che aveva consentito alla Chiesa di contrapporsi duramente all’Impero riprendendo lo Stato Pontificio con notevole delusione dei Ghibellini italiani.

La situazione si fece incandescente e fu l’inizio di una contrapposizione che avvelenò il Bavaro compensato dalla riconciliazione con Federico il Bello che nel 1325 designò correggente dell’Impero, proprio per indebolire la posizione ecclesiale e per segnare un punto di svolta irreversibile: da quel momento, infatti, negandogli il diritto all’approbatione, Ludovico archiviò la tradizione medievale del Pontefice che incoronava gli Imperatori coinvolgendo nel conflitto l’intellighentia del tempo. Presero le sue parti Edoardo III d’Inghilterra; Marsilio da Padova; Guglielmo di Ockham; Giovanni da Jandun.

Giovanni XXII replicò con la Bolla Sicut ad curam dell’11 luglio del 1324, scomunicandolo ancora; anatemizzandone i fiancheggiatori; dichiarandolo indegno del Regno e dell’Impero; colpendo d’interdetto tutte le città che lo avessero sostenuto. Il dissidio si aggravò con il viaggio nella penisola e con la Dieta che Ludovico tenne a Trento nel febbraio del 1237 con Cangrande della Scala; Passerino Bonaccolsi; Obizzo d’Este; Castruccio Castracani; Azzo Visconti e le delegazioni di Federico di Sicilia e di Pisa: l’assemblea si risolse in un sostanziale processo a quel prete Giovanni!

Il 31 maggio del 1327, in sant’Ambrogio di Milano, il Sovrano fu solennemente incoronato dal ribelle Vescovo di Arezzo Guido Tarlati alla presenza di Galeazzo Visconti la cui ambigua condotta, presto urtò la suscettibilità della Corte: il 6 luglio, per l’omessa corresponsione del promesso contributo alla spedizione, egli fu rinchiuso con il figlio Azzo e i fratelli Luchino e Giovanni nei Forni di Monza: le terribili carceri fatte costruire per i nemici dei Visconti; poi la sua Signoria fu sostituita con un consiglio di ventiquattro presieduto da Guglielmo di Monforte; infine, a Brescia, fu reso noto che la Curia Imperiale disponeva di atti comprovanti che Galeazzo era un agente del Papato.

Il 23 agosto il corteo tedesco superò il Po e scese in Toscana: col Signore di Lucca Castruccio Castracani, raggiunto forse da Michele da Cesena, Ludovico assediò e prese Pisa il 10 ottobre e, il 7 gennaio del 1328, entrò indisturbato in una Roma dilaniata dalle lotte fra i Savelli, gli Orsini e i Colonna. Dieci giorni dopo, i Primati di Venezia e di Aleria: Giacomo Alberti e Gerardo Orlandini lo consacrarono; Sciarra Colonna, capo di un governo democratico formato da un Consiglio di cinquantadue Popolani, gli pose la corona sul capo e Castruccio Castracani gli porse la spada conferendo a quella incoronazione un significato di enorme portata: era il Popolo sovrano ad esprimersi attraverso il Senatore col quale iniziò il processo a Giovanni XXII, concluso con la condanna per eresia; con la decadenza dal rango; con la scomunica irrogata da un’assise mista di laici ed ecclesiastici; con la nomina, fra il 14 ed il 18 aprile, del Minorita Pietro Rainalducci da Corvara, ovvero Papa Niccolò V.

Prima di recarsi in Campidoglio, Ludovico fece leggere tre decreti affermando l’amore per la fede; il rispetto per il Clero e l’onore per le vedove. Non ritenne di dover senza indugi marciare su Napoli e liquidare Roberto d’Angiò che, invece, organizzò le sue risorse: galee napoletane attaccarono il presidio tedesco di Ostia e, quando sollecitato da Federico di Sicilia, a giugno, temporeggiò ancora per l’insufficienza economica, defezioni e tatticismi lo indussero a ripiegare verso Nord.

Prima di lasciare l’Italia riconobbe la Signoria dei Gonzaga a Mantova; formalizzò la rottura dei rapporti coi Visconti con i quali poi negoziò una tregua; regolò con il Trattato di Pavia la successione stabilendo che in caso di estinzione della linea rudolfina nel Palatinato, l’eredità sarebbe spettata alla linea ludoviciana in Baviera. Parallelamente, lo scomunicato Antipapa Niccolò V si rifugiava presso il Conte Bonifacio di Donoratico e, contando sul perdono del Papa, presentò la confessione dei suoi peccati prima all’Arcivescovo di Pisa e poi alla Curia di Avignone: il 25 agosto del 1330 Giovanni XXII lo avrebbe assolto e trattenuto in dignitosa prigionia fino alla morte, avvenuta nel 1333.

A fine gennaio, mentre la Chiesa ne sollecitava la destituzione, Ludovico rientrò a marce forzate in Germania, richiamato dalla notizia della morte di Federico d’Austria. In quel periodo forse era ancora accompagnato da Marsilio da Padova che, traendo spunto dall’incarico di Consigliere politico ed ecclesiastico, si accingeva alla compilazione del Defensor Minor: la più nota delle sue opere il cui fondamento risiedeva nel concetto di Pace intesa come premessa indispensabile dello Stato e come condizione essenziale dell’attività umana; ovvero nella convinzione che solo la volontà dei cittadini possa assegnare al governo, Pars Principans, il diritto di prevalere su ogni altra parte, in quanto esercitato su delega di una volontà comune. Di fatto, Ludovico seguì il movimento intellettuale di affrancamento del potere laico da quello ecclesiale propugnato dai nazionalisti Domenicani Ekkehard, Tauler e Seuse e dall’inglese Guglielmo di Ockham per i quali, in nessun caso, al Papa competevano diritto di nomina e poteri civili essendo egli stesso sottoposto a giurisdizione imperiale.

In quel periodo, l’Imperatore manifestò l’intenzione di abdicare in favore di Enrico di Baviera; ma, il 24 luglio del 1334, revocò la decisione a causa degli intrighi di Roberto d’Angiò. Così, su consiglio del Cardinale Napoleone Orsini e dei Fraticelli si dette alla meticolosa raccolta di elementi utili ad intentare un ulteriore processo a Giovanni XXII che, invece, il 4 dicembre si spense.

Nella primavera del 1335, la Curia imperiale tentò di ricomporre il conflitto Sacerdotium et Imperium con Benedetto XII, ma i negoziati fallirono per le pressioni di Filippo VI e di Roberto d’Angiò: il 16 luglio del 1338 l’inasprimento dei rapporti produsse la Dichiarazione di Rhens con la quale i Principi tedeschi proclamarono che il Re dei Romani, designato dagli Elettori dell’ Impero, non aveva bisogno della ratifica pontificia; nella Dieta di Francoforte del 6 agosto successivo, fu emanata la Costituzione Licet iuris con la quale venivano fissati i diritti, le libertà e le prerogative dell’Impero e nel settembre fu emanata la dichiarazione di decadenza di Filippo di Francia.

All’inizio del 1339, in una nuova Dieta, ancora a Francoforte, gli Elettori affermarono non solo che il Pontefice non dovesse giudicarlo ma anche che aveva l’obbligo di consacrare il candidato al trono; che, in caso di rifiuto, chiunque altri avrebbe potuto validarlo; che il potere imperiale non aveva bisogno di mediazioni clericali. Nel frattempo, ereditata la Bassa Baviera, Ludovico pose il figlio omonimo a capo della Marca del Brandeburgo.

Il 25 aprile del 1342, morto Benedetto XII il contrasto fu ereditato da Clemente VI che adottò la politica rigorosa di Giovanni XXII e con la Bolla Prolixa retro del 12 aprile del 1343, intimò al Sovrano di deporre la dignità imperiale entro tre mesi, pena sanzioni più gravi. Aveva concorso a tale drastica decisione la solidarietà manifestata da Ludovico ad Edoardo III d’Inghilterra nella Guerra dei Cent’Anni. Di più: perseguitando il Clero a lui sfavorevole, egli era venuto alienandosi molti consensi. Non restava che sottomettersi al Papa ed abdicare.

Era il 18 settembre del 1343. L’auspicata assoluzione non arrivò. La Curia, anzi, nel maggio del 1344 manifestò l’impossibilità a riconoscergli l’autorità per assenza di nesso fra pentimento e perdono: era la più sfrontata manifestazione teocratica che Ludovico potesse aspettarsi.

Gli Elettori tedeschi se ne indignarono, ma il 13 aprile del 1346, con la Bolla Olim videlicet, Clemente VI reiterò la scomunica; depose l’Imperatore; chiese nuove elezioni ed individuò il contraltare in Carlo di Boemia, figlio di Giovanni del Lussemburgo. La manovra tendeva ad arginare l’ampliamento della potenza imperiale: Ludovico aveva assunto, quale lascito della moglie, Frisonia, Paesi Bassi ed Hennegau!

Carlo fu eletto nel 1346, previo impegno a chiedere il placet papale prima di assumere qualsiasi iniziativa di governo.

Defraudato delle sue prerogative come eretico e scismatico ma pronto a contrattaccare, l’11 ottobre del 1347 Ludovico si spense.

Bibliografia:
R. Manselli: L’Europa medioevale
C. Grimberg: Storia Universale
G. Scherr: Duemila anni di vita tedesca

Ornella Mariani

Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia

Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.

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